Anche in Nicaragua, il lupo perde il pelo…
… ma non il vizio.
di Bái Qiú’ēn
Nonostante questa sia follia, c’è del metodo! (William Shakespeare, The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark, 1600-02)
Nella sua torre tutta d’avorio / il genio studia le sue carte / concentrazione, ispirazione / la sua cultura, la sua arte. (Giorgio Gaber, Il dente della conoscenza, 1973)
Qualcuno tra i lettori ricorderà che l’astuto contadino Bertoldo, il noto personaggio di Giulio Cesare Croce (1550-1609), non riesce a individuare l’albero più adatto al quale farsi impiccare. Secondo la sua ultima volontà: «Morire impiccato a un albero che mi piace, non mi sembrerà neanche un morire. Comanda agli uomini che debbono appendermi che lo facciano soltanto a quell’albero che io stesso sceglierò e indicherò loro. Così morirò contento». Il re longobardo Alboino gli concede questo ultimo desiderio e, naturalmente, l’albero giusto non si trova, per cui il boia e le guardie reali che lo accompagnano nella ricerca infinita, ormai stanchi di girare a vuoto nelle campagne del regno, lo lasciano libero e non eseguono la condanna a morte.
Scarpe grosse e cervello fino, il buon Bertoldo. Altro che intelligenza artificiale!
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Venerdì 21 giugno 2024 sarà invece ricordato con lettere dorate negli annali dell’arroganza sconsiderata. Nel suo quotidiano sproloquio Rosario Murillo ha infatti comunicato che «Questa domenica [23 giugno], Festa del Papà, verranno installati 16 Alberi della Vita, come riconoscimento delle gesta eroiche di tanti Eroi e Martiri che hanno donato la loro vita affinché potessimo vivere con dignità, sovranità e diritti nel nostro Nicaragua». Non soddisfatta di queste sue stesse parole, ha aggiunto: «salutando il nostro Comandante Carlos [Fonseca], salutando tutti i padri nicaraguensi, installando questi emblemi, questi simboli che sono di vita e di speranza, come ha detto Rubén [Darío], e quanta vita, quanta speranza, quanto trionfo abbiamo in questo nuovo Nicaragua, dove siamo costruendo insieme il futuro che vogliamo, che meritiamo e costruendolo nella pace».
Che Carlos Fonseca fosse nato un 23 giugno 1936 a Matagalpa serve esclusivamente per continuare a spacciare l’attuale ortego-chayismo come la continuazione del sandinismo storico (quello di Sandino e del FSLN). Come pure il riferimento ai Cantos de vida y esperanza di Rubén Darío (opera pubblicata la prima volta in Spagna nel 1905) è funzionale per legare l’attualità al passato grazie alla semplice parola «vita». Il fatto che né Carlos né tantomeno Rubén abbiano a che vedere con i metallici alberi della vita è del tutto irrilevante.
C’è pure da dubitare che gli Eroi e i Martiri della Rivoluzione abbiano dato la loro vita per vedere “fiorire” questi alberi metallici. È assai più probabile che desiderassero una società libera per tutti e tutte, non una galera a cielo aperto.
Che ciascuno di questi alberi abbia un costo di circa 25mila dollari, per un importo complessivo che si aggira sui 400mila dollari, è ancor meno importante. Che nessuna voce di spesa risulti dal bilancio statale per il ripristino di questi inutili e costosi simboli dell’esoterismo di Rosario è marginale. Come pure il fatto che ogni anno si getti dalla finestra un milione di dollari per accendere tutte le lampadine per la visione notturna di questi orribili e inutili oggetti metallici. (Per inciso, la spesa è a carico di tutti i nicaraguensi nel momento in cui pagano le bollette dell’energia elettrica, sotto la generica voce «illuminazione pubblica»). Qualche esperto potrebbe persino calcolare quanto questo spreco di energia incida sui costanti apagones che quotidianamente lasciano al buio centinaia di abitazioni e persino di attività produttive.
Ciò che più conta è che questi sedici oggetti inutili e costosi saranno collocati esattamente nei luoghi dove nel 2018 furono abbattuti i loro “progenitori” nel corso delle proteste popolari spontanee. Operazione che, a oltre sei anni di distanza, vorrebbe significare il trionfo definitivo dell’orteguismo e il ripristino della situazione ante quem. Occorre comunque ricordare che dall’inizio di maggio il personale della statale Empresa Nacional de Transmisión Eléctrica (Enatrel) ha iniziato il “restauro” di quelli danneggiati, dipingendoli con colori brillanti e sostituendo le lampadine fulminate, rotte o rubate (poiché il costo di queste inutili strutture è totalmente a carico della collettività, ogni “furto” di lampadine potrebbe in realtà essere considerato come una forma di recuperación económica).
Tutto è tornato alla normalità dopo sei anni, come se nulla fosse accaduto e persino il ricordo di quelle manifestazioni popolari sia stato cancellato per sempre.
Peccato che a ricordarlo sia proprio la famiglia reale Ortega-Murillo, preferendo starsene rintanata nel bunker di El Carmen, al quale i comuni mortali non possono avvicinarsi, e uscire di tanto in tanto solamente con una nutrita scorta di armigeri.
Peccato pure che nel primo dei Cantos de vida y esperanza Rubén avesse scritto, in maniera fortemente autocritica:
La torre de márfil tentó mi anhelo;
quise encerrarme dentro de mí mismo,
y tuve hambre de espacio y sed de cielo
desde las sombras de mi propio abismo.
(La torre d’avorio ha tentato il mio desiderio; ho voluto rinchiudermi dentro me stesso, ed ebbi fame di spazio e sete di cielo dalle ombre del mio stesso abisso). La critica non abita di certo nella mente di Rosario, tanto meno potrebbe praticare l’autocritica. Anni luce la separano dai versi iniziali di Rubén:
Yo soy aquel que ayer no más decía…
El dueño fui de mi jardín de sueño,
lleno de rosas y de cisnes vagos…
(Io sono colui che non più tardi di ieri diceva… Ero il padrone del mio giardino di sogno, pieno di rose e di cigni svogliati…)
Dall’oscurità del suo stesso abisso, la famiglia reale Ortega Murillo non si rende conto che la popolazione ha fame di spazio e sete di cielo. Rosario, continua infatti a sognare e a propagandare l’idea che il popolo nicaraguense viva in una realtà immaginaria, stracolma di rose e di cigni svogliati.
A questi versi di Rubén si potrebbe aggiungere che, al termine della prefazione, il poeta aveva affermato: «Se in questi canti c’è della politica è perché questa pare universale. […] in ogni modo la mia protesta resta scritta sulle ali di cigni immacolati, immortali come Giove».
La lussuosa residenza di El Carmen non è di certo una torre d’avorio e a tutti gli effetti assomiglia più una galera volontaria (per quanto dorata) nella quale la famiglia Ortega-Murillo preferisce stare rinchiusa entro solide mura alte almeno quattro metri con torrette di guardia. Se Daniel esce davvero poco, la stessa Rosario recita al telefono i suoi sproloqui quotidiani, senza mai recarsi di persona negli studi televisivi di Canal 4 Multinoticias (tanto varrebbe che fossero trasmessi da un’emittente radiofonica). Eppure la sede di questo canale televisivo è ubicata a poche centinaia di metri dal portone principale dell’abitazione di El Carmen (per l’esattezza m 242, stando a googlemaps): de la estatua de Montoya 1 cuadra al Sur, 1 cuadra al Este. Oltretutto è proprietà dell’impresa Informativos de Televisión y Radio SA (Intrasa), la quale risulta appartenere dal 2007 ai fratelli Carlos Enrique e Daniel Edmundo Ortega Murillo. Una sorta di dependance del bunker di El Carmen (poco meno di 2 ettari), ubicata all’interno dell’area super-vigilata dalla polizia (circa 47 ettari), circondata da alte e robuste transenne metalliche (popolarmente chiamate miguelitos) e barriere di jersey con almeno 35 posti di blocco funzionanti 24 ore al giorno, dai quali possono transitare soltanto gli abitanti della zona per recarsi in una delle circa 350 abitazioni.
Il costo per il mantenimento di questa protezione si aggira sui 260 milioni di córdobas annuali, a spese del contribuente.
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Visto che il ministro delle Finanze Iván Acosta, in carica dal 2012, si è dimesso ed è stato recentemente sostituito dal suo vice (in carica dal novembre 2021), il poco più che adolescente Bruno Mauricio Gallardo (appena 79 anni), non sarebbe una sorpresa trovarlo prossimamente alla direzione di un nuovo dicastero: quello degli Ornamenti e Addobbi (ammesso e non concesso che sia falsa l’informazione della sua incarcerazione ai domiciliari). La Gaceta Diario Oficial n. 111 del 20 giugno afferma infatti che l’ormai ex ministro «se traslada a otras tareas y funciones» (Accordo presidenziale n. 93-2024, art. 1). Oltre al fatto che, per quanto ci si mostri fedeli esecutori degli ordini ricevuti non esiste alcuna sicurezza personale, è ormai evidente che all’ortego-chayismo interessi soprattutto l’apparire piuttosto che l’essere. Apparire un Paese normale, tranquillo, senza problemi di nessuna specie.
Se l’aparentar è un vizio abbastanza generalizzato tra i nicaraguensi, quello mostrato giorno dopo giorno dall’ortego-chayismo è più che patologico: la martellante propaganda, infatti, non è altro che un tentativo di far apparire il Nicaragua attuale ciò che non è. Una maschera, né più né meno: «La mona, aunque se vista de seda, mona se queda», recita un detto assai ripetuto dai nicaraguensi, che trasmette un insegnamento relativo proprio all’apparire. La scimmia, per quanto si vesta con abiti di seta, resta sempre una scimmia.
Che la pace (sociale) evocata da Rosario nel suo sproloquio del 21 giugno sia quella dei morti, dei fuoriusciti e degli esiliati privati della loro nazionalità, poco importa. Quella pace che lo storico e oratore romano Publio Cornelio Tacito definiva «un deserto» («ubi solitudinem faciunt, pacem appellant»), nella Neolingua assume infatti un significato positivo. Anzi, addirittura rivoluzionario.
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Nulla si sa ancora sui risultati relativi al Censimento che doveva concludersi il 30 maggio. Quella fotografia del Paese reale chissà se sarà disponibile almeno entro la fine dell’anno in corso: non solo nelle numerose aree remote e isolate, ma persino in alcune zone urbane nessuno ha visto gli addetti con i loro modernissimi tablet. La versione ufficiale (sempre in Neolingua) è che in molte case non c’erano gli abitanti, per cui si è reso necessario tornare due volte (ma anche tre, quattro, cinque…).
«Censo Nacional de Población y Vivienda avanza con éxito en todo el territorio nacional», ripeteva con insistenza e quasi quotidianamente il portale ufficiale El 19 Digital.
Ciò che si è però appreso da fonti extra-ufficiali è che a partire dal 1° giugno sono stati “formati” con urgenza numerosi altri addetti, reclutati tra i dipendenti statali e pubblici.
Probabilmente le famiglie desaparecidas nel corso del censimento erano intente a osservare il restauro dei vecchi e l’installazione dei nuovi Alberi della vita, attrazione imperdibile per bambini e adulti.
«Managua appare più bella: gli Alberi della Vita illuminano la Carretera Nord Panamericana», ha ovviamente titolato El 19 Digital il 23 giugno. 16 strutture metalliche con migliaia di lampadine al led per «abbellire la città di Managua, renderla più visibile e avere una città illuminata tutta la notte».
Per fare un facile raffronto nostrano: che importa se la Sicilia si sta desertificando, i siciliani avranno il ponte sullo stretto.