Ancora repressione e morti in Colombia
La violenta risposta della Polizia a seguito dell’omicidio dell’avvocato Javier Ordoñez ha ricevuto il sostegno dello Stato. La sedia vuota lasciata da Duque in occasione della commemorazione delle vittime del 9 settembre, promossa dalla sindaca di Bogotá Claudia López, rappresenta un ulteriore oltraggio alla società civile colombiana.
di David Lifodi
La Colombia brucia. L’indignazione per l’omicidio dell’avvocato Javier Ordoñez, avvenuto lo scorso 9 settembre a Bogotá, per mano di due agenti della Polizia nazionale che lo hanno ucciso tramite 10 scariche elettriche con una pistola taser, ha provocato una serie di proteste tra le più partecipate degli ultimi anni e che si sono concluse con una violenta repressione di Stato.
In tutta la Colombia i manifestanti si sono radunati di fronte alle sedi del Comando de Acción Inmediata – Cai – chiedendo il rispetto per quei diritti umani da sempre calpestati dalle istituzioni. Il bilancio degli scontri è stato di 7 morti e 140 feriti (87 agenti e 53 civili).
Il presidente Duque, che nemmeno si è degnato di partecipare alle commemorazioni dei morti provocati dalla sua stessa polizia, ha fatto sapere al paese che i due agenti responsabili dell’omicidio di Javier Ordoñez sono stati individuati e che si terranno delle indagini approfondite per chiarire lo svolgimento dei fatti.
Concetti simili sono stati espressi anche dal ministro della Difesa Carlos Holmes Trujillo (dal quale dipende la Polizia Nacional), che ha annunciato a sua volta “indagini esaustive”, non solo per l’assassinio di Ordoñez, ma anche per le decine di massacri che hanno caratterizzato il 2020 in Colombia. Parole vuote e poco credibili.
I colombiani non chiedono solo lo scioglimento del famigerato Esmad – Escuadrón Antimotines, ma anche la separazione della Polizia Nazionale dal Ministero della Difesa, che ha provveduto a militarizzarla ulteriormente. A questo proposito, in molti hanno ricordato l’articolo 218 della Costituzione, che definisce la polizia “un cuerpo armado permanente de naturaleza civil, a cargo de nación, cuyo fin primordial es el mantenimiento de las condiciones necesarias para el ejercicio de los derechos y libertades públicas y para asegurar que los habitantes de Colombia convivan en paz”, auspicandone la smilitarizzazione.
Da sempre utilizzate dal governo e dall’oligarchia per svolgere il lavoro sporco, spesso in combutta con i paramilitari, le Forze armate colombiane hanno come unico scopo quello di reprimere la protesta sociale militarizzando ulteriormente i territori per compiacere la massiccia presenza dell’estrema destra nelle alte sfere del governo e creare al tempo stesso le condizioni affinché in Colombia sia allontanata ogni possibile ipotesi di governo democratico.
Le manifestazioni di questi ultimi giorni, autoconvocate, hanno sorpreso per la rapidità e la capacità di coinvolgimento della società civile colombiana, per la massiccia partecipazione dei giovani e soprattutto per l’adesione alla protesta di interi quartieri popolari delle più grandi città del paese, dei disoccupati e dei lavoratori informali messi a dura prova dall’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 e gestita nel peggiore dei modi da parte del governo del presidente Duque.
Javier Ordoñez è stato solo l’ultima vittima della brutalità di una polizia sempre più fuori controllo che agisce per tutelare la parte della società colombiana distante anni luce dalla realtà del paese. Al tempo stesso, la sedia vuota lasciata da Duque in occasione del ricordo e della commemorazione delle vittime del 9 settembre, promossa dalla sindaca di Bogotá Claudia López, fa capire con evidenza che il presidente ha perso totalmente il polso della situazione. L’omicidio di Ordoñez è stato solo l’ultimo dei 55 massacri del 2020, nei quali sono stati uccise 218 persone, cifra che non si vedeva dal quadriennio 2000-2004.
La violenza che in Colombia deriva dalle profonde disuguaglianze sociali persistenti, si è manifestata, il giorno successivo all’uccisione di Ordoñez, con un episodio di violenza sessuale, sempre compiuto dagli agenti, ai danni di tre donne, detenute e apostrofate dalla frase “¿Cómo vamos a arreglar?” che faceva ben intendere quale fosse la volontà di agire dei poliziotti. A questo proposito Cláudia López, sindaca di Bogotá , ha inviato a Duque un’ora e mezzo di registrazioni in cui emergono ulteriori abusi polizieschi contro i manifestanti, definendo la repressione delle forze dell’ordine come un vero e proprio “massacro di giovani” e sottolineando l’urgenza di una riforma della polizia.
Per la Colombia, ancora una volta, vale l’appellativo di Locombia, un gioco di parole che definisce la situazione di questo paese stretto nella morsa di oligarchia, paramilitari, narcotraffico e la troppa vicinanza politica agli Stati uniti.