Ancora zia Ursula, un piccolo dossier
1 -breve ricordo di db; 2- «Ciao grande donna» di Francesco Troccoli, 3- una vecchia recensione (di Erremme Dibbì) a «La fantascienza e la signora Brown»
Ursula Le Guin: signora fantascienza, signorina anarchia
di Daniele Barbieri (*)
E’ morta a 88 anni una delle più grandi scrittrici del ‘900: Ursula K. Le Guin, figlia della scrittrice Theodora e del famoso antropologo Alfred Kroeber (ecco la K). Le Guin è il cognome del marito.
Chi ama le etichette dirà che scriveva fantascienza, fantasy e favole (più qualche saggio) ed era femminista, pacifista e anarchica. In parte sono bugie: la grande letteratura non si chiude nei barattoli.
I romanzi più famosi restano i premiatissimi La mano sinistra delle tenebre (1969) e I reietti dell’altro pianeta (1974) con lo spiazzante sottotitolo Un’ambigua utopia ma quasi tutti i suoi libri (l’ultimo tradotto è Paradisi perduti) sono magici. Come la Venezia di un suo racconto dove un terrestre è al cospetto di una “civiltà superiore” ma ben poco gli interessa raccontare di armi, affari o tecnologie: «Se mi chiedessi di punto in bianco se desidero ritornare sulla Terra e perché risponderei “Sì, per vedere Venezia d’inverno”». Spiazzante e incantatrice, come (quasi) sempre.
«Letteratura di idee» (così è definita la migliore fantascienza) o pura evasione? Nella raccolta di saggi Il linguaggio della notte lei ha risposto così: «L’argomento più antico a sfavore della fantascienza è allo stesso tempo il più superficiale e il più profondo: è l’affermazione che la fantascienza, come tutta la narrativa fantastica, sia un’evasione dalla realtà. Se un soldato è fatto prigioniero dal nemico non consideriamo suo dovere evadere? Gli strozzini, gli ignoranti, gli autoritari ci hanno imprigionato tutti: se diamo valore alla libertà dell’intelletto e dell’anima, se siamo partigiani della libertà, è nostro chiaro dovere evadere e portare con noi quante più persone possibile».
Dalle parti della fantascienza i fans di Isaac Asimov lo chiamavano «il buon dottore» mentre Philip Dick per molti è un guru. Chi conosceva la Le Guin la pensava invece “zia Ursula”. Come per Odo, che lei inventò per guidare la rivoluzione mondiale nonviolenta, la voce della Le Guin non era la più rabbiosa o geniale ma quella empatica con la maggior parte delle persone che sognano o progettano mondi migliori.
(*) pubblicato sul quotidiano “L’unione sarda”.
2 – «Ciao grande donna»
di Francesco Troccoli (**)
Ho sempre raccontato aneddoticamente l’origine dei nome dei miei personaggi come un omaggio a questa immensa scrittrice, ma in realtà fu un vero e proprio furto. Senza l’aggravante della premeditazione, però. Come un bambino che passa davanti al bancone delle caramelle e se ne mangia una, senza pagarla. A mia discolpa posso dire che a quel tempo non pensavo che qualcuno avrebbe mai pubblicato quello che stavo scrivendo. Invece accadde. Terminai il romanzo e lo pubblicai.
Il bambino era cresciuto e si ricordò del debito. Preso dalla vergogna e dalla necessità di saldarlo in qualche modo, sperai che una confessione accompagnata da una copia del libro potessero rispondere allo scopo, e inviai a Ursula K. Le Guin l’una e l’altro. In quella lettera, però, ammetto che parlai di “omaggio”. Io, che inviavo a UKL una copia del mio libro, e per giunta con tanto di autografo! È proprio vero che l’ego degli scrittori non conosce confini. Sarò cestinato, ma in qualche modo mi sarò sdebitato, pensai. E invece, dopo appena qualche giorno, mi arriva una lettera manoscritta, con la firma che si può vedere qui sopra. UKL mi ringraziava, mi prometteva che avrebbe letto il libro tenendo il dizionario a portata di mano e mi augurava di trarre gioia dalla scrittura. Fu proprio grazie a quelle parole, penso, che proseguii in quest’avventura.
Però… non avevo affatto risolto il mio problema. Da debitore di una gustosa caramella, ero diventato debitore di un tir carico di casse di gustose caramelle.
Ursula se n’è andata qualche giorno fa.
Ho cercato di ricordarla trasmettendo al pubblico l’immagine che mi sono fatto io della sua vita e della sua carriera, sul sito web del settimanale Left e in un’intervista radiofonica alla Radiotelevisione Svizzera. Ringrazio di cuore entrambi per la loro sensibilità.
Ma non posso più illudermi: sdebitarsi sarebbe impossibile e questi sforzi non saranno sufficienti.
Se non avete mai letto i suoi romanzi, vi invito a farlo. A questo link ci sono i titoli più noti, mentre qui si possono cercare quelli disponibili nel sistema OPAC .
Ciao, grande Donna.
(**) da http://francescotroccoli.it/ciao-ursula-maestra-di-vita-e-di-fantascienza/
3 – La conturbante bellezza dell’aliena Brown
di Erremme Dibbì (***)
«Thea Cadence. Nobusuke Tsagomi. Vi dicono niente questi nomi? A me sì, dicono molto. Sono i nomi di due delle prime signore Brown che ho trovato nella fantascienza moderna». Così Ursula Le Guin nel suo saggio «La fantascienza e la signora Brown». Thea è il personaggio di “Sinthajoy” di David Compton: un autore pubblicato in italiano perlopiù dalle edizioni La Tribuna e quindi oggi difficilmente reperibile, ma che con il suo “L’occhio insonne” – editrice Nord – ha ispirato il film “La morte in diretta” di Bertrand Tavernier. Il signor Tagomi è invece uno dei protagonisti di “La svastica sul sole” (Editrice Nord) di Philip Dick.
Ursula Kroeber Le Guin in Italia è nota soprattutto come scrittrice. E “il manifesto” ha recentemente parlato sia della ristampa del romanzo “I reietti dell’altro pianeta” sia della nuova antologia di racconti “La rosa dei venti”, ambedue Editrice Nord. In veste di saggista è da noi pressoché sconosciuta. Queste 50 pagine – che anticipano un più articolato volume, “Il linguaggio della notte” – si prestano a due diverse letture. Chi è del tutto digiuno di science fiction rimarrà probabilmente affascinato e si chiederà come mai da noi si parla così poco di Zamjatin, Lem, Compton, Dick, Tappan Wright (e per quest’ultimo nome il suo stupore sarà condiviso anche dagli “esperti”). Chi invece è addentro in ciò che la Le Guin espone – con lo stile e la bravura ben noti – non sarà interamente soddisfatto di una esposizione così sintetica.
Nel rispondere alla domanda se la signora «qualunque» Brown (cui fece riferimento Virginia Wolf 50 anni fa in una famosa polemica) può trovare posto nell’astronave, ovvero nella fantascienza, sembra qui che Ursula Le Guin salti da Zamjatin (si consiglia vivamente a chiunque la lettura di “Noi”, ristampato l’anno scorso da Feltrinelli, nel quasi assoluto silenzio) fino agli anni ’60. E sembra anche – pag 20, a esempio – che l’autrice pensi che alieni, robot e mostri contengano solo stereotipi e archetipi anziché persone. Si potrebbe obiettare: e gli umani (meno che umani, più che umani) di Sturgeon? Per esempio Horty Bluett, il protagonista di “Cristalli sognanti” – che è del 1950 – non è una straordinaria/ordinaria signora Brown? E Andrew Martin (il robot-persona di “L’uomo bicentenario” di Asimov) che desidera essere riconosciuto come umano più di ogni altra cosa? Un corpo di metallo – sia o no la metafora di una pelle differente – o gli improbabili/possibili poteri (semplici annunci della diversità?) hanno in generale un grande potenziale di signore e signori Brown.
«… I sinistri e meravigliosi alieni improvvisamente appaiono per niente affatto alieni ma puri e semplici elementi della stessa signora Brown, abitanti fedeli e familiari, benché causino sbigottimento, della sua mente inconscia». Certo è anche questo un grande risultato e la Le Guin ha ben ragione a diffondersi – specialmente nelle ultime pagine – in una appassionata esaltazione della science fiction. Ma non è chiaro se Ursula Le Guin in queste pagine difendi/esalti l’importanza che la signora Brown sia un alieno, l’essere più diverso da noi che si possa immaginare, eppure raccontato con «vette» e «abissi»: persona, anche se non umana.
Probabilmente l’occasione del breve saggio qui tradotto era una conferenza (o una pubblicazione) per “profani” e non è il caso di sottilizzare troppo. Ma chi conosce le opere di Ursula Le Guin sa bene che la totale alienità non le fa paura.
La presenza di connotati scientifici e tecnologici ovviamente continua a permeare la science fiction; ma «ciò che un tempo costituiva tutto l’oggetto della fantascienza (l’invenzione di aggeggi miracolosi» o vicende storiche ipotetiche) è ora utilizzato in modo soggettivo per esplorare e spiegare cosa succede dentro la signora Brown o Thea o Tagomi». Coerentemente la Le Guin racconta che per «capire» un personaggio (lo Shevek di “I reietti dell’altro pianeta, un’ambigua utopia”) «ho dovuto inventare due interi mondi». Ma ne è valsa la pena, commenta. E chi conosce il romanzo le darà ragione.
Del resto Ursula Le Guin parla dei suoi libri in punta di piedi, con modestia. E non lancia slogan, anzi – nelle ultime pagine – si diverte a fare “l’avvocato del diavolo” ovvero a sostenere che scrittori e scrittrici di science fiction non potranno mai essere romanzieri… per controbattere poi, con sicurezza: «ci può far vedere chi siamo e dove siamo e che scelte ci aspettano, con chiarezza insuperata e grande conturbante bellezza». Sta parlando di Zamjatin e di Lem ma chi ha letto anche i libri di questa straordinaria scrittrice sa che proprio lì ci sono persone e mondi di questa bellezza che turba.
(***) apparso sul quotidiano «il manifesto» – al solito: parola più e parola meno – del 3 maggio 1985 a firma Erremme Dibbì; come ho già raccontato altre volte “Erremme” sta per Riccardo Mancini e “Dibbì” per Daniele Barbieri. Il saggio «La fantascienza e la signora Brown» fu pubblicato da Editori Riuniti e l’anno dopo confluì nel bel volume «Il linguaggio della notte» a cura di Susan Wood (stesso editore: 224 pagine per 15mila lire, traduzioni di Anna Scacchi).