Annamaria Sanguigni: Wizwondk

Wizwondk passò qualche anno in prigione. Quando si resero conto che aveva ormai 98 anni lo lasciarono andare.

In quel gelido stato del Nord Atlantico non si uccidevano i criminali, ma si accompagnavano alla tomba giorno dopo giorno. Anni, mesi, settimane, giorni ore, minuti, attimi trascorsi non sapeva come.

Quando le porte d’acciaio del penitenziario si erano spalancate per lui aveva venti anni.

Era cresciuto solo con sua madre, una donna scialba e rinsecchita con la mania del pulito. Ogni santo giorno lo metteva nella vasca e lo insaponava con una spugna ruvida che gli arrossava tutto il corpo, lo lavava dappertutto. Gli occhi gli bruciavano con la schiuma e il suo piccolo pene si arricciava e spesso si faceva la pipì addosso. Il lavaggio dei capelli avveniva furiosamente per paura dei pidocchi.

La odiava tutte le volte. Poi lo adagiava sul letto, lo asciugava con teli di lino e per lenire la pelle strofinata malamente, lo ungeva con creme profumate e gli preparava una tazza di cioccolata.

Una volta le chiese perché non c’era un papà nella loro famiglia. La donnina scialba diventò una iena. «Quel boia di tuo padre, che mi ha sbattuto e rovinata, quello sporco essere che chissà da dove arrivava, quel maiale dal nome impossibile: Wizwondk, se ci è consentita  questa presunzione a noi poveri cristi, crediamo che uno con questo nome poteva solo fare schifo».

E continuò: «Ero giovane quel giorno su quel prato fuori dal traffico della città  infernale dove sono nata. E che, una non può andare a spasso dove gli pare! Pare proprio di no! Le cicale cantavano come delle stupide bestie quel giorno. Andai su per il Tempio fino alla Spianata, le isole laggiù galleggiavano nel mare, e il profumo dei ginepri m’intontiva. Ho sentito un fruscio, come di foglie secche schiacciate, un piccolo fischio e…una botta mi ha rovesciata in terra».

«Mi ha presa e portata con sé, via con sé e il suo nome straniero, un nome duro che mi ha incatenata per un tempo che non so. Vieni figlio mio vieni fra le mie braccia che la mamma ti lava le orecchie e poi sai che facciamo, laviamo gli occhietti e poi il nasino e il collo che gli diamo tanti bacini, poi la schiena e il culetto, le gambine, i piedini e il pisellino che la mamma gli dà tanti baci. Vieni caro, vieni e non parliamo più di niente».

All’asilo il primo giorno lo misero nella classe delle femmine, il secondo giorno disse qualcosa piano e Gould, la sua piccola nuova amica, con i riccioli d’oro e gli occhioni blu, rimase a bocca aperta e poi esclamò «Sei maschio? no non voglio che vai via, stai qua con noi, ti prego».

La suora lo prese per mano e lo portò immediatamente nell’altra aula, quella dei maschi. Solo lui aveva i capelli lunghi sulle spalle come quelli di Gould.

Quel giorno odiò sua madre, ma quando lei lo venne a prendere lo portò al bar a bere una cioccolata.

A quattordici anni era un ragazzo timido con i capelli corti e senza un filo fuori posto. La pelle chiara sempre arrossata, le spalle cadenti e l’umore nero.

Non andava da nessuna parte, la mamma piagnucolava se chiedeva di partecipare a qualche festa della scuola. Le era venuta una strana malattia che la riduceva senza fiato se si allarmava, e così per non aggravarla preferiva rinunciare a tutto.

Una volta andando in farmacia per le medicine di sua madre, passò davanti al cinema a luci rosse che era nel quartiere. Non capì più niente, non pensò alle lamentele che avrebbe ricevuto al ritorno, entrò. Finalmente provò un piacere. Un piacere tremendo, fatto di nascosto, velato di mistero, quasi un tradimento.

Lei lo insultava e gli urlava le stesse frasi mostruose che aveva detto a suo padre.

«Sei un boia come lui, uno sporco essere che mi lascerà, un maiale dal nome impossibile, Windzwondk».

Il giorno del suo ventesimo compleanno decise di fare l’ultimo bagno con sua madre, poi sarebbe partito per il Sud. Lontano dagli incubi e dai racconti indecenti.

Si sarebbe fatto lavare, insaponare, toccare, baciare ancora una volta e poi anche lui l’avrebbe abbandonata al suo destino.

Era pieno di schiuma, le gambe , il corpo, la faccia,con una mano si scostò una ciocca dagli occhi e la vide:  era nuda con i seni che pendevano e il ventre molle. I peli del pube grigi e la bocca un po’ aperta. Chissà, forse aveva capito la sua intenzione. Si sentì in trappola, soffocare, alzò le braccia e gliele strinse intorno al collo piccolo e grinzoso e la piegò nella vasca. La tenne giù fino a che le bollicine d’acqua non smisero di gorgogliare. Poi la tirò fuori, l’asciugò per bene, le chiuse gli occhi, la pettinò, le mise del rossetto sulle guance e la distese sul letto.

Le fece compagnia per una settimana, quando cominciò a svuotarsi e a puzzare se ne andò col primo treno che partiva per il Sud.

Trascorse tre mesi nella libertà più completa, fu anche felice senza sua madre.

Lo presero con delicatezza quel giorno: i poliziotti gli chiesero se il suo nome era Wizwondk e lo pregarono di seguirli.

Le porte del penitenziario si aprirono per lui a vent’anni.

Redazione
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