Anno 2000: Jon Cazacu al rogo
recensione di Gian Marco Martignoni a «Un uomo bruciato vivo» di Dario Fo e Florina Cazacu
Suscitò una forte indignazione nell’opinione pubblica e una immediata mobilitazione del movimento sindacale la tragica morte di Ion Cazacu, bruciato vivo il 14 marzo del 2000 con una tanica di benzina dal suo datore di lavoro Cosimo Jannece a Gallarate, e spirato dopo un’agonia durata trenta giorni nel reparto Centro Ustionati dell’ospedale di Sanpierdarena a Genova.
Senonché il lancinante dolore della famiglia è stato ulteriormente acuito da una storia processuale tutt’altro che esemplare, in quanto se nel primo e nel secondo grado di giudizio erano stati comminati a Jannece trent’anni di carcere (per atto criminoso con l’aggravante del motivo abietto) nel terzo grado la Corte d’assise e d’appello di Milano ha ribaltato la pena a tredici anni, confermando solo la volontarietà del caso.
Tredici anni che durante l’esecuzione della pena sono stati ridotti, grazie allo sconto per buona condotta, a dieci. Allora altro che imprecazioni per una giustizia più che dimidiata, solo la testimonianza scritta può raccontare una storia che è la misura di quella profonda regressione del diritto del lavoro cha ha caratterizzato il nostro Paese a partire dagli anni ’80. Non a caso il libro «Un uomo bruciato vivo» che raccoglie il dialogo tra Dario Fo e Florina Cazacu (la figlia di Ion) edito per Chiarelettere – pagine 97 per euro 10 – è stato presentato dalla Fillea Cgil di Varese il 13 maggio di quest’anno presso il Teatro del Popolo di Gallarate, toccando le corde sensibili del pubblico che lo affollava.
D’altronde la tragica vicenda di Ion si è sviluppata in quel campo di battaglia, minato dalla logica infernale dei subappalti e del lavoro nero, che contraddistingue storicamente il settore dell’edilizia.
Ove la rivendicazione dei propri diritti e di una condizione dignitosa di lavoro si scontra brutalmente con le condizioni di ricatto esercitate con modalità “bestiali” da parte di imprenditori e caporali di ogni risma.
Ion Cazacu aveva tentato di recuperare con Jannece quanto non era stato corrisposto a lui e ai suoi compagni di lavoro, così come Florina si batte orgogliosamente e senza peli sulla lingua, in nome di suo padre, per rivendicare le spettanze del suo compagno Andrej.
Per queste ragioni il messaggio di Florina è chiaro e diretto: «non bisogna arrendersi, non bisogna accettare le ingiustizie», anche se amaramente sottolinea che non si sarebbe mai immaginata che chi migra per migliorare la propria sorte, per sopravvivere invece debba fare i conti con situazioni assurde di inospitalità e addirittura di degrado della condizione umana.
Ma quando un ordine economico e sociale ha strutturalmente al suo interno settori di lavoro ove è consistente l’utilizzo di manodopera al ribasso – dall’agricoltura ai trasporti, dall’edilizia al turismo, come puntualmente segnala Salvatore Cannavò nella sua postfazione al libro – la giustizia tanto auspicata è tutta da conquistare attraverso dure lotte sindacali e adeguati provvedimenti legislativi. Per fare un solo, terribile esempio è passata come una mera notizia di cronaca (il 15 settembre del 2014, a Fermo) l’uccisione a colpi di pistola da parte del datore di lavoro di due operai kosovari, perché rivendicavano quindicimila euro di arretrati.
Pertanto urge un rinnovato impegno dal movimento sindacale per contrastare sia lo sfruttamento bestiale della forza lavoro che il dilagare, soprattutto in tempi di crisi prolungata, del lavoro sommerso e in nero, nella consapevolezza che l’azione sindacale incontra senz’altro maggiori difficoltà e ostacoli laddove deve misurarsi con un tessuto produttivo polverizzato sul territorio.