Antonia Piredda – Colori a dita
(quando qualche folle ventilò l’ipotesi delle impronte digitali ai bimbi rom)
ho capito dal viso di mia madre che mi porterà in un brutto posto. è seria, preoccupata, mi stringe le dita una per una come mordendole dolcemente. mi ha fatto abbandonare la bambola ed il carretto lì, nel cortile del campo, che mulinella di panni vecchi e colorati, non ne ho altri. non importa, gioco rido canto col mio tamburo, nessuno mi costringe a seguire suoni che non conosco – me li invento da me! –
nessuno mi ferma ad un palo di semaforo, come può succedere a qualcuno. ma oggi mia madre è diversa, attraversa la via nervosa e spenta. ho lasciato la bambola ed il carretto, unici miei giochi ora che la scuola ha chiuso.
c’è un palazzo davanti a noi, tanti gradini, niente alberi: non è il mio asilo. mia madre si ferma, mi scruta le mani, saranno pulite?
poi, di scatto, percorriamo in fretta in fretta anditi, saltando gradini -sono brava a saltare!- davanti ad occhiate curiose.
una signora mi sorride, ma di un sorriso triste.
e d’improvviso, vedo la gente: ci assomiglia un pò. una bambina ha la gonna come la mia, gialla e viola, ed ha perso i dentini di davanti,
come me! ride, nonostante qualcuno la stia sgridando.
ho capito che si entra in quella porta che è davanti a tutti; la gente poi ne esce con gli occhi che guardano a terra, le mani nascoste. un uomo si sfrega le dita, vedo il suo viso lucido, avrà pianto? dicono che i maschi non piangono, ma forse è una favola per bambini che raccontano lontano, in quel posto freddo da dove siamo arrivati, un giorno. io ero piccola, non ricordo molto, conservo però l’immagine di mia madre che sistema tendine, una diversa dall’altra, nelle aperture di quella che ora è la nostra casa: è sorridente e soddisfatta.
un tetto, finalmente, per fermarci un pò, ci piove dentro ma le ciotole rosse e leggere che ha costruito mio padre raccolgono l’acqua e lui dice che è l’acqua migliore del mondo, perchè arriva direttamente dal cielo.
davanti, nella fila, ora abbiamo solo la bambina senza denti come me, e sua madre. adesso sta zitta, in attesa di entrare: le leggo la curiosità un pò preoccupata per quello che troverà lì dentro. veramente, anch’io lo sono….
ci fanno entrare insieme, io e mia madre, lei con la sua.
un tavolo, grande, più grande di quello di casa, più alto di quello di scuola. ci chiamano, non capisco da dove arriva la voce; le nostre madri tirano fuori dei fogli dalla gonna, dove conservano le cose più importanti – io, nella mia, non lo sa nessuno, tengo un gessetto rosso che mi ha regalato la mia maestra.
danno quei fogli ad un signore che non solleva lo sguardo, non vedo i suoi occhi. fa tutto con calma ed io ne approfitto per guardarmi intorno. c’è molto caldo, un vecchio ventilatore, peggio del nostro, fa molto rumore; ai muri quasi verdi sono appesi quadri di persone che non ho mai visto, ma devono essere persone importanti perchè hanno medaglie luccicanti appese sulla giacca
il signore che non alza lo sguardo ora lo ha sollevato su di me, mi fissa e non capisco cosa vuole. mi fa un segno con la mano e mi fa avvicinare; non arrivo bene al tavolo, è troppo alto, ma c’è uno sgabello di legno dove mi fa salire. mia madre mi dà la mano per aiutarmi e mi accorgo che tutte le punta delle sue dita sono macchiate di nero quasi blu…..cosa le è successo? ha toccato qualcosa, quà dentro, che l’ha fatta ammalare?
la guardo, lei non ha paura di piangere e lo fa, in silenzio, ed in silenzio mi prende le mani avvicinandole ad una striscia lunga e nera.
sembra una spugna, fa anche piccole bollicine.
e piano piano il signore preme ogni mio dito su quella spugna e, lento lento, le schiaccia su un foglio con i quadri grandi.
ha finito.
mi osservo le dita con le punte nere, non sembrano le mie.
e piango, più forte di mia madre, più forte di quando cado e mi sbuccio le ginocchia… dov’è la mia maestra?
lei mi faceva prendere i colori dai vasetti, con le mani, giallo, verde, rosso, bianco, blu, arancio! tutti i colori dell’arcobaleno impiastrati sulle mani mie e dei miei compagni, felici di colorare fogli e banchi; ci pasticciavamo i nasi, i visi, come pellirosse, i primi abitanti di un posto chiamato america. e poi un girotondo: per chiedere la pioggia se non pioveva, per chiedere il sole se c’era freddo… potevamo così andare a giocare in giardino!
ed ora dove andiamo con le dita così? nessun giardino ci vorrebbe, gli alberi non si pasticciano, non potrò toccare la bambola perchè non voglio macchiarla, è l’unica che ho.
dov’è la mia maestra?! perchè hanno chiuso la scuola? mi divertivo tanto e , di sicuro, nessuno mi avrebbe colorato le dita con questo colore triste.
la bambina con la gonna come la mia si osserva, mi guarda ed il nostro pianto si unisce disperato. qualche volta ho sentito dire, per strada, che eravamo sporchi, vestiti male, fastidiosi e brutti da vedere…la mia maestra no, non l’ha mai detto, e neanche i miei compagnetti! giocava con tutti noi rotolandosi ridendo, mi chiedeva le parole della nostra lingua per impararle e portava a tutti i dolcetti, i palloncini, sempre colorati.
perchè?
ora usciamo anche noi da quella stanza di personaggi con le medaglie, nessuno ci saluta.
oltre la porta, gli altri in attesa, in silenzio.
mi nascondo le mani dentro le mani di mia madre, l’altra bambina si aggrappa al mio braccio, singhiozzando.
come faremo, ora, ad uscire davanti a tutti con i luccicori delle lacrime negli occhi, così diversi da quelli che risplendono quando gioco. questo, ora lo capisco, non è un gioco.
oggi, qualcuno, mi ha sporcato per davvero.
Antonia Piredda
Antonia Piredda, http://mere2.wordpress.com/ (se non l’ha chiuso stonotte), nota nei Blog con lo pseudonimo di Api o Mere, o altri ancora che si inventa quando è indecisa su chi essere, oppure perché il cielo non presenta spiragli dove trovare un nome da esporre; bene, Antonia Piredda è una minuscola donna di Barbagia, e alla Barbagia ha sottratto timbro di voce e colore di sguardo, quel nero notturno di territorio di Sardegna conosciuto solo da chi ha avuto il coraggio di perdersi tra canyon e anfratti, restarci una notte, e poi rientrare, dove, non lo saprà più. Incontrandola i suoi occhi sono la prima cosa in cui precipiti, ma vanno affrontati, due punti interrogativi come quelli. Altrimenti te ne vai. E così mi ha inviato un suo racconto breve, scritto senza neppure una maiuscola. Non credo, facendo psicologia spicciola, che quest’ultima cosa sia capitata per scarso orgoglio nutrito da Api verso la sua scrittura, no, orgoglio ne ha da vendere, la barbaricina. È che in una storia come questa le maiuscole disturbano, come un’alzata di voce improvvisa. E quando sono i bimbi, a parlare, non si dovrebbe mai gridare. Neanche tra adulti, ma questo viene più difficile. Il racconto è breve, scarno di orpelli, giusto così, per descrivere un’onda disgustosa di pregiudizi verso un popolo intero, verso i bambini. Antonia Piredda scrive molto in certi periodi, in altri tace a lungo. Lei spesso è, La scomparsa. Ogni suo scritto, di narrativa o poetico, lo dedica alle strade battute dagli umili, agli spaventati, alle cose dimenticate, agli avanzi ignorati, a una pecora quanto ad un re caduto, a un sordo quanto a un cieco. Api è tenebrosa, Mere è malinconica. Le altre che incarna potrete e potrò, forse, comprenderle con un paragone: la pietra gettata nell’acqua, e i suoi cerchi. Antonia Piredda sarà sempre la pietra, i cerchi i suoi desideri d’essere, altro. La sua scrittura ricerca le donne che è, e che l’accompagnano costantemente, diverse dentro, ma accomunate da un unico destino: combattere per proteggersi tutte. (S.D.M.)
(nota di Savina Dolores Massa)
per informazioni e invio testi:
clelia pierangela pieri – xdonnaselva@yahoo.it
luigi di costanzo – onig1@libero.it
Antonia Piredda, conosciuta nel web anche come Api, è grande…
Gino, come sempre, esagera… ma gli mando lo stesso un abbraccio 🙂
ringrazio Clelia per avermi portata sin qui, ringrazio Daniele Barbieri per l’ospitalità, ringranzio Savina per i suoi pensieri su di me e tutti quelli che, nel tempo, hanno apprezzato questa piccola cosa di piccola bimba.
un caro saluto, api
Hai fatto un ritratto bellissimo e credo, molto veritiero, della mia amica furfuraja (un altro dei suoi alias), Savina. La conosco da qualche anno, so le sue ferite, le sue guerre interne ed eterne. Meritava quello che hai scritto. E merita, soprattutto, l’abbraccio di chi , come te, ha capito tutto di lei. Anche il mio che, pure, non ho mai visto i suoi occhi ma ho sentito la sua voce.
Blumy *
anche il mio un alias, anch’io, almeno sul web, sono un’altra , o meglio, sono questa qui, questo piccolo fiore azzurro che chiede di non essere dimenticato (il myosotis, da cui blu-myosotis, Blumy). io ti conosco da quando (tre, quattro anni) mi parlò con entusiasmo di te il bravo Antonio Fiori. anch’io uso il minuscolo, raramente il maiuscolo, soltanto nelle lettere, nelle comunicazioni formali. qui, da te, mi sono accorta d’aver usato le maiuscole. forse perchè non ho (ancora, spero) confidenza.