Antonio Russo, cronista di guerre
di Gianluca Cicinelli
Il 16 ottobre 2000 Antonio Russo viene rinvenuto col torace sfondato, ma altre fonti parlano di due proiettili in testa, in una stradina di campagna nel circondario di Tbilisi, Georgia. Stava seguendo per Radio Radicale il conflitto ceceno dalla Georgia, ma non era la prima volta che si trovava come inviato in una zona di guerra. Tra le caratteristiche di Antonio Russo c’era quella di non essere iscritto all’albo dei giornalisti, senza però che nessuno possa mettere in dubbio sia stato un giornalista, e tra i più bravi, in zone da dove normalmente le testate sono costrette a prendere per buoni i bollettini di guerra delle fazioni in campo. Russo era stato in Algeria, in Burundi, Ruanda, Ucraina, nell’ex Yugoslavia e fu l’unico giornalista occidentale a dare conto dei bombardamenti della Nato nel Kosovo, a cui scampò fuggendo insieme ad altri migliaia di profughi verso la Macedonia.
Conflitti locali dimenticati, conseguenze della fine della Guerra Fredda, luoghi dove si era recato spontaneamente per portare con le sue cronache la testimonianza di un essere umano che non voleva arrendersi alle disparità nel mondo. Per qualcuno era un ingenuo, un sognatore che aveva unito la propria battaglia politica al giornalismo per individuare le cause e i responsabili dei conflitti che nel mondo causano la morte di incolpevoli civili.
Nel ’99, un anno prima di essere ucciso, si era recato nel Mar Nero per raccogliere prove dell’uso di armi illegali da parte dell’esercito russo, che con la scusa di difendere l’integrità territoriale della Federazione russa violavano di fatto il diritto penale internazionale e l’ambiente. Lo scopo era la compilazione di un dossier per il Procuratore del Tribunale dell’Aia per la ex-Jugoslavia. Il suo lavoro è stato quindi su due piani. Da una parte la cronaca della guerra con gli attacchi, le diserzioni e i fondamentalismi del conflitto in Cecenia, dall’altra il recupero di prove, video e testimonianze dirette, per consentire alla giustizia internazionale di individuare i responsabili di crimini contro l’umanità.
Antonio Russo aveva 40 anni la notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000 quando viene ritrovato cadavere. Il suo corpo venne scoperto ai bordi di una strada di campagna a 25 chilometri da Tbilisi, torturato con tecniche riconducibili a reparti militari specializzati. Il suo materiale, block-notes, videocassette e appunti, non fu mai ritrovato e persino il suo alloggio a Tbilisi fu svaligiato metodicamente, mancava ad esempio il telefono satellitare ma erano stati lasciati oggetti di valore. Pochi giorni prima Russo aveva detto per telefono alla madre di essere in possesso di materiale video che documentava orrende mutilazioni a bambini, prove del massacro russo sui civili ceceni e dell’utilizzo di armi non convenzionali.
La prima inchiesta condotta in Georgia e una seconda partita da Roma non condussero alla verità sulla sua morte. Tuttavia la Digos mise sotto accusa, poi del tutto scagionato, un documentarista olandese, Renzo Pons Martens, che nel 2002 si recò a trovare la madre di Russo. Venne convocato in questura e lì fu messo sotto torchio, ma senza alcun risultato. A difenderlo fu l’avvocato Antonio Buttazzo, con il quale abbiamo provato a ricostruire il clima di quei giorni.
Avvocato Buttazzo, come legale di Pons Martens lei ebbe l’impressione che gli inquirenti avessero in mano qualche prova concreta che indicasse l’olandese come killer di Russo?
Antonio Buttazzo: Onestamente no. La Digos arrivò a Martens su indicazione di alcuni esponenti del Partito Radicale, che nutrivano sospetti sul documentarista olandese che aveva conosciuto Russo a Tbilisi. Martens era stato ospite di Russo per qualche giorno e il fatto di essere stato tra le ultime persone ad averlo visto vivo ha insospettito qualcuno, anche perché pensavano si fosse eclissato senza motivo dalla Georgia. In realtà Martens, che aveva ottenuto un visto per la Russia tramite l’organizzazione Human Right Watch, partì il giorno dopo la morte di Russo, volò da Tblisi a Mosca e da lì in Inguschetia, in quegli stessi giorni dove avrebbe completato il documentario di guerra che gli era stato commissionato. Martens venne interrogato per delle ore, ma ha sempre risposto, anche quando la sua posizione giuridica mutò da teste ad indagato. In seguito, con una memoria appositamente predisposta, fornimmo agli inquirenti tutti i riscontri alle sue dichiarazioni sulla sua presenza in Georgia che in fondo era solo un passaggio per andare in Cecenia sui territori di guerra. Aggiungo che vi fu una scarsissima cooperazione da parte della Georgia che non rispose mai alle rogatorie italiane.
D. Le venne in mente che potesse trattarsi di un “trappolone” organizzato dai veri killer di Russo per sviare le indagini?
R. Neanche questo in verità. Il fatto è che nessuna pista offriva spunti concreti. Nel corso delle indagini emersero i nomi di diversi personaggi, georgiani e ceceni anzitutto, che gravitavano intorno a Russo. L’interrogatorio mirava anche a capire il ruolo di qualcuno di questi, sui quali evidentemente si erano accentrate le indagini anche in Georgia. Ma emerse ben poco.
D. Qual è il ritratto di Russo che esce dalle parole di Martens?
Gli inquirenti chiedono a Martens anche dei suoi rapporti con Russo. Lui rispose che erano molto sereni, ma che si irrigidirono quando il giornalista radicale seppe che Martens avrebbe avuto la possibilità di recarsi in Cecenia con un visto che evidentemente lui non era riuscito ad ottenere. Probabile si trattasse di una forma di invidia professionale. Comunque Martens realizzo’ un ottimo lavoro, premiato anche con una consistente somma di denaro da parte di una Fondazione olandese. Mi inviò i VHS che io produssi al PM. Erano servizi sugli ospedali da campo in Cecenia, si vedeva gente operata senza anestesia. Immagini crude e terribili ma giornalisticamente eccellenti.
Lei si è occupato di casi molto complessi, secondo la sua esperienza quando in un omicidio eccellente sono coinvolti servizi e interessi di altri Stati è possibile arrivare a una verità giudiziaria?
E’ molto difficile. Sicuramente Russo era a conoscenza di un traffico di armi, che riguardava la Cecenia, gli inquirenti mostrarono a Martens le foto ritrovate nella disponibilità di Russo che ritraevano un missile denominato M79M. Un altro georgiano vicino ai radicali poi riferisce, con ciò alimentando i sospetti sull’olandese, che i Servizi segreti russi avevano un accordo con gli olandesi nato da presunti accordi tra i due governi. Chiacchiere, queste si un probabile depistaggio. Martens comunque riferisce di alcune cassette VHS pervenute a Russo, senza peraltro specificare come, e sostiene di aver sentito il giornalista radicale parlare in italiano di “crimini di guerra” con alcuni suoi interlocutori. Quanto questo possa aver preoccupato i servizi segreti dei Paesi coinvolti però non è dato sapere, Certo è che se un coinvolgimento c’è stato, una efficace cooperazione giudiziaria non c’è stata affatto.