Approdo sbagliato, stavolta, per Gabanelli
di Filippo Miraglia (*)
In molti ci siamo chiesti come mai Milena Gabanelli, tra le poche giornaliste a fare in questi anni inchieste di valore su vicende scomode, abbia scelto di intervenire, da tempo ormai, su una questione complessa come l’immigrazione con un approccio ambiguamente «pragmatico». Nell’articolo apparso venerdì scorso, ancora una volta sulle pagine del Corriere della Sera, Gabanelli richiama le organizzazioni umanitarie, che operano in accordo con la nostra guardia costiera per fare operazioni di salvataggio, a forzare i porti di altri Paesi dell’Ue. In pratica invita quelle associazioni che salvano vite umane nel rispetto delle leggi, a fare ciò che il governo italiano non è riuscito ad ottenere: obbligare Francia e Spagna ad accogliere i migranti salvati davanti alle coste della Libia. La giornalista sembra ignorare che le Ong sono tenute a portare i naufraghi nel porto più vicino più sicuro, ossia in un porto italiano. Sembrerebbe un appello alla disobbedienza, giustificato dall’atteggiamento di chiusura dei governi dell’Ue, se non fosse che Gabanelli usa argomentazioni palesemente non vere e che, per l’ennesima volta, sostiene le politiche del Ministro Minniti, interprete della linea dura del governo sull’immigrazione. Colui che, secondo la giornalista, «si fa in quattro», per promuovere accordi con le tribù libiche per bloccare i porti, «con soldi dell’Ue». Si suggerisce così che i soldi non siano del contribuente italiano, perché Minniti fa gli interessi nazionali. Informazione non veritiera perché spendiamo soldi italiani per fornire servizi e strumenti ai libici: 200 milioni il fondo per l’Africa, più il finanziamento di motovedette alla guardia costiera libica. Non si dice inoltre che le stesse tribù sono quelle che, secondo testimonianze dirette e secondo l’Onu, torturano, ricattano, violentano e uccidono i migranti prima di metterli in mare con imbarcazioni precarie. Ovvero si trascura il piccolo dettaglio che il governo italiano stia promuovendo, con molta probabilità, accordi con dei veri e propri criminali. L’articolo poi inanella un’altra serie di amenità incredibili. A partire dalla considerazione che l’Italia sarebbe l’hub dell’Ue e omettendo che la Germania nel 2016 ha avuto più di 700 mila richieste d’asilo a fronte delle nostre 121 mila. Inoltre sostenendo, con lapidaria leggerezza e intrepida ignoranza, che il 90% di quelli che arrivano non sarebbero richiedenti asilo. I dati dello stesso Ministero dell’interno dicono tutt’altro. Quelli che arrivano in Italia sono quasi tutti richiedenti asilo, salvo alcune nazionalità che otterrebbero certamente asilo (eritrei, somali, siriani, sud sudanesi), ma che preferiscono andare nel nord Europa violando il regolamento Dublino per raggiungere familiari o amici. Ma soprattutto è necessario ricordare alla giornalista che anche negli ultimi mesi, il 40% circa dei richiedenti ottiene un titolo di soggiorno (protezione internazionale o umanitario) dalle Commissioni competenti. Chi non lo ottiene e fa ricorso, secondo i dati disponibili, almeno nella metà dei casi ottiene un titolo di soggiorno dalla sentenza di un magistrato. Quindi non meno di 7 richiedenti asilo su 10 alla fine ottengono un permesso di soggiorno. Altro che 10%. Purtroppo, i recenti interventi di Milena Gabanelli sull’immigrazione appaiono sempre più «organici», se si considera che quasi tutti oramai, da Renzi a Minniti, ai sindaci democratici, dal razzismo grillino alla destra xenofoba forza leghista, sostengono tesi simili: «c’è l’invasione», «aiutiamoli a casa loro», «l’Italia è sola», «blocchiamo le partenze», «chiudiamo i porti», «la colpa è delle Ong». Se è vero che i buoni sentimenti non potranno mai sostituire competenza e correttezza amministrativa, resta il fatto che le cose non vere, per quanto provengano dalla voce o dalla penna di personaggi autorevoli, non potranno mai ribaltare la verità e che è obbligo per tutti, anche per i «ministri che si fanno in quattro», il rispetto delle leggi e della Costituzione.
(*) Vice Presidente dell’Arci
Articolo tratto dal quotidiano il manifesto del 16 luglio 2017