Argentina: macrismo e repressione
Cambiemos, il partito del presidente Mauricio Macri, vara una riforma del Codice penale dall’orientamento esclusivamente punitivo nei confronti delle organizzazioni popolari
di David Lifodi
In Argentina, negli ultimi mesi, il macrismo ha mostrato, una volta di più, le sue ricette all’insegna della repressione. Sia nei confronti dei docenti in lotta sia verso i militanti di sinistra impegnati nei blocchi stradali, solo per citare alcuni degli episodi più recenti, il governo ha utilizzato la mano dura. “La repressione è fondamentale per guadagnarsi il consenso di importanti settori sociali”, hanno sottolineato Santiago Asorey, giornalista dell’agenzia Paco Urondo, ed Esteban Rodríguez Alzueta, esponente della Campaña Nacional Contra la Violencia Institucional ed autore dei libri Temor y Control e La máquina de la inseguridad.
Non si è trattato di errori o di eccessi, ma di una politica studiata a tavolino, caratterizzata dall’intimidazione sistematica nei confronti di qualsiasi organizzazione che si mette sulla strada del presidente Mauricio Macri e dei suoi uomini. La strategia di Cambiemos, il partito del presidente, è orientata su diversi fronti. Pugno duro a livello politico nei confronti dei sindacati, che si tratti della più istituzionale Cgt (Confederación General del Trabajo), del Movimiento de Trabajadores Excluidos o della Confederación de Trabajadores de la Economía Popular, leggi di emergenza sociale contro le organizzazioni popolari, allo scopo di isolarle, fino al provocatorio protocolo antipiquete varato dalla ministra Patricia Bullrich, titolare del Ministero della sicurezza.
Ciò che però preoccupa maggiormente è il progetto legislativo proposto da Cambiemos per riformare alcuni articoli del Codice penale argentino. In particolare, il partito di Mauricio Macri ha proposto di inasprire ulteriormente l’articolo 194, dedicato ai cortes de ruta e introdotto all’epoca della dittatura militare di Juan Carlos Onganía, il presidente dell’Argentina tra il 1966 al 1970 costretto a fare i conti con il cordobazo, una serie di crescenti mobilitazioni popolari il cui fine era quello di cacciare lo stesso Onganía. Secondo Cambiemos, l’articolo 194 dovrebbe prevedere pene da due a sei anni per i partecipanti a volto coperto ai cortes de ruta che avvengono in occasione di manifestazioni pubbliche caratterizzate dalla presenza di oggetti contundenti, proiettili ed altri strumenti atti ad offendere. Pene da tre mesi a quattro anni per i reati di devastazione e saccheggio, secondo quanto sancito dall’articolo 184 e arresto immediato, a cui vanno aggiunti da uno a tre anni di reclusione, per tutti coloro che partecipano ai cortes de ruta con il volto coperto dai passamontagna.
Questa riforma, denunciano Santiago Asorey ed Esteban Rodríguez Alzueta, è rivolta soprattutto contro le fasce sociali più deboli e ad ottenere il plauso del giornalismo imprenditoriale.
Inoltre, la riforma del Codice penale, così come prospettata da Cambiemos, presenta come assunto incontestabile che le proteste delle organizzazioni popolari vengano sempre contrassegnate dalla violenza, allo scopo scopo evidente di criminalizzare ed isolare i movimenti sociali. In realtà, premesso che i manifestanti hanno il sacrosanto diritto di difendersi nei confronti di una polizia tra le più violente del continente latinoamericano e fin troppo legata ai nostalgici della dittatura militare del triumvirato Massera-Videla-Agosti, la presenza di oggetti contundenti ai cortes de ruta, al pari della gran parte dei manifestanti a volto coperto, merita alcune precisazioni. Innanzitutto, la presenza di giovani incapucciati ai cortei risale alle proteste contro il default economico che decretò il fallimento dell’Argentina tra il 2000 e il 2001. I poliziotti inviati a fronteggiare i cortes de ruta abitavano negli stessi quartieri di coloro che protestavano, per questo i manifestanti iniziarono ad utilizzare passamontagna e cappucci in testa, per evitare che nei giorni successivi alle mobilitazioni gli agenti venissero a prenderli, contando sul fatto che già erano a conoscenza di chi fossero perché abitavano nello stesso barrio. I blocchi di strade, autostrade e ponti non sarebbero stati possibili da effettuare a volto scoperto poiché la polizia avrebbe facilmente individuato i responsabili, a maggior ragione nei casi in cui si trattava di agenti che abitavano negli stessi quartieri dei ribelli. Lo stesso discorso vale per l’utilizzo dei bastoni, di cui i manifestanti si servivano, e si servono tuttora, soprattutto per difendersi dagli automobilisti recalcitranti a fermarsi di fronte ai blocchi stradali improvvisati durante i piquetes.
La stessa applicazione del Plan Procrear è stata all’insegna della militarizzazione dello spazio pubblico. La consegna di una ventina di abitazioni in una località poco distante da Buenos Aires, in un complesso abitativo edificato all’epoca della presidenza di Cristina Kirchner, è stata caratterizzata dalla presenza di cecchini dell’esercito sui tetti e da uno schieramento di polizia decisamente esagerato, tanto che i principali giornali e le televisioni filogovernative si sono guardati bene dal segnalarlo, al pari dei cartelli che inneggiavano alla ex presidenta e definivano Macri un repressore.
Nell’Argentina macrista non solo le proteste sociali sono state caratterizzate da una repressione indiscriminata, ma sono andate di pari passo con politiche discriminatorie nei confronti delle classi sociali più deboli, vessate dalla perdita del potere d’acquisto, dall’aumento astronomico dei beni di prima necessità e da un modello produttivo che privilegia l’agronegozio, l’industria mineraria e quella degli armamenti a scapito della sovranità del paese, faticosamente riconquistata all’epoca del kirchnerismo. Se non ci saranno cambiamenti si preparano le premesse per un crescente conflitto tra coloro che non hanno niente e una piccola minoranza, a cui rispondono Macri e il suo governo, che è padrona di tutte le ricchezze del paese.