Argentina: Marie Anne Erize, la donna che mise paura ai generali
La brutta pagina della giustizia italiana che lasciò scappare il suo torturatore
di David Lifodi
Stavolta l’oblio non avrà la meglio: Marie Anne Erize, la donna argentina che, per parafrasare Gioconda Belli, ha vissuto molte vite, è una desaparecida a cui sarà resa giustizia. Il Grupo de Argentinos en Italia por la Memoria, la Verdad y la Justicia ha chiesto al sindaco di Roma Ignazio Marino di intitolare a lei e ai desaparecidos argentini una via della capitale.
Per Marie Anne Erize il Grupo de Argentinos en Italia por la Memoria, la Verdad y la Justicia ha chiesto anche l’intitolazione di uno spazio verde quando, pochi giorni fa, si è recato all’isola Tiberina per gettare fiori nel Tevere in ricordo della giovane. In precedenza, a Tor Bella Monaca, quartiere difficile della capitale, il Centro antiviolenza autodenominatosi proprio “Marie Anne Erize”, aveva organizzato una distribuzione del pane alle famiglie del quartiere in difficoltà economiche ricordando proprio la desaparecida argentina, i trentamila scomparsi (molti dei quali di origine italiana), e soprattutto le donne torturate e violentate dai militari agli ordini del triunvirato Videla-Massera-Agosti. Marie Anne Erize fu tra le giovani violentate dagli aguzzini del regime, in particolare dal maggiore Jorge Olivera, che quando era nel nostro paese fu lasciato colpevolmente scappare. È per questo che lo stato italiano ha enormi responsabilità nella vicenda della ragazza argentina e il minimo che può fare è omaggiare la memoria della giovane e dei desaparecidos intitolando loro una via di Roma. Marie Anne Erize se la llevaron il 15 ottobre 1976: aveva 24 anni. La sua storia è stata raccontata nei dettagli dal giornalista francese Phillipe Broussard, che nel 2000 lavorava per Le Monde e adesso fa parte della redazione del settimanale L’Express. Marie Anne , di origine francese, divenne presto una famosa modella che occupava le copertine di riviste di moda quali Gente e Siete Días, ma al tempo stesso fu studentessa di Antropologia all’Università di Buenos Aires e impegnata a lavorare nelle villas miserias della capitale argentina a fianco di Carlos Mugica, uno dei fondatori del gruppo Sacerdoti per il Terzo Mondo e che finirà anch’esso nel gorgo dei centri di tortura clandestini e poi ucciso su ordine del regime. Infine, quando aderì ai montoneros, Marie Anne passò alla clandestinità con il nome di battaglia di Katy, come racconta Broussard nel suo libro La desaparecida de San Juan. Presto Marie Anne Erize capisce che l’Argentina reale non è quella che accorre per assistere alle sue sfilate e pensa che lotta dei montoneros sia l’unica strada per giungere alla giustizia sociale. Divenuta un simbolo per la comunità francese di Buenos Aires e, più in generale, per una parte della classe media argentina ostile al regime, Marie Anne non partecipò mai ad azioni armate, preferendo la dimensione sociale della lotta in qualità di attiva militante di base. Il suo rapimento avvenne a San Juan, dove la giovane si era stabilita dopo l’arresto del suo fidanzato Daniel Rabanal, anch’esso montonero. Il cognato, Rodolfo Rabanal, giornalista, la supplicò di cercare riparo in Francia, ma lei rifiutò e, quando meno se lo aspettava, fu rapita. Marie Anne si era recata a riprendere la sua bici, che aveva dei problemi ai freni, dal biciclettaio Domingo Palacio, quando fu aggredita da un uomo all’uscita. Lei cercò di divincolarsi e il biciclettaio corse in suo aiuto, ma fu immobilizzato da tre uomini armati: fu qui che iniziò il calvario di Marie Anne Erize, scomparsa e condotta con la forza dentro un’automobile con i vetri oscurati. Alcuni diplomatici francesi cercarono di tirarla fuori dai centri di tortura, ma altri non mossero un dito, così come lo stato allora presieduto da destrissimo Valéry Giscard d’Estaing. In pratica, la Francia chiese all’Argentina notizie sulla ventina di desaparecidos di cui non si aveva più traccia, ma senza insistere troppo: del resto i due paesi vantavano degli stretti legami in ambito economico e così, quando la Casa Rosada garantì che Marie Anne Erize era caduta in battaglia, la sua storia finì nel dimenticatoio. Il 6 agosto 2000 il maggiore Jorge Olivera, torturatore e violentatore della giovane, si trovava in Italia quando venne raggiunto da un mandato di cattura internazionale per sparizione e tortura. Starà in Italia, nel carcere romano di Regina Coeli, solo poche settimane, prima di avere l’ok per tornare in Argentina, dove diventa l’avvocato difensore dei repressori come lui. “Dimenticatela”, dissero i militari ai genitori di Marie Anne Erize, che aveva percorso le strade del Perù, del Brasile ed era entrata in contatto con i migranti paraguayani che avevano raggiunto l’Argentina, percependo le fortissime disuguaglianze sociali dell’intera America Latina. Alla fine, nonostante la pessima immagine data dal nostro paese, la giustizia raggiunse anche Olivera e compagni. Il 7 novembre 2011 i tre militari che avevano immobilizzato Marie Anne furono condannati all’ergastolo, altri tre a 25 anni di reclusione ed uno a dieci: tra loro Jorge Antonio Olivera, che aveva sempre mentito sulla sorte della ragazza vantandosi però con i suoi commilitoni per averla violentata.
L’Italia, spiega Stefania Catallo, presidente del Centro antiviolenza di Tor Bella Monaca, deve rendere giustizia a Marie Anne Erize, una delle tante e coraggiose militanti per la giustizia sociale che il nostro paese ha dimenticato.