Argentina: militari alla sbarra

di David Lifodi

“Il 6 luglio è una giornata storica”, ripete Estela Carlotto, storica portavoce delle Abuelas de Plaza de Mayo, di fronte alle radio e alle televisioni. Il Tribunal Oral Federal 6 di Buenos Aires ha appena reso pubblica una sentenza attesa da almeno trenta anni: i più alti papaveri della giunta militare hanno ricevuto condanne esemplari per il furto e l’appropriazione indebita dei figli nati dalle prigioniere nei centri di detenzione clandestina, uno schiaffo non solo a loro, ma anche ai troppi simpatizzanti di quel regime così feroce e spietato che ancora proliferano in Argentina.

50 anni a Videla, esponente di spicco della giunta militare, 40 ad Antonio Vañek, deus ex machina dell’Esma, la Escuela de Mecánica de la Armada, 15 a Reynaldo Benito Bignone, uno degli ideatori dei campi di sterminio, 30 a Jorge “el Tigre Acosta”, responsabile dell’assassinio delle fondatrici delle Madres de la Plaza de Mayo e principale sostenitore dei voli della morte: le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet, impegnate attivamente con le organizzazioni per i diritti umani e gettate un mare dopo essere state definite come le “suorine volanti”. Questi, e altri personaggi, non meno squallidi, ma ancora in vena di provocazioni durante tutto il corso del processo, sono stati condannati perché la corte ha ritenuto il furto dei bebè, l’assegnazione indebita a famiglie di militari collusi con la dittatura, e in certi casi addirittura la tortura dei piccoli, come parte di un piano sistematico programmato dagli alti vertici di quel regime che considerava l’impunità come un dato acquisito. Al contrario, il Tribunal Oral Federal 6 ha ribaltato la sentenza vergognosa emanata dalla Cámara Federal risalente al 1984, quella che aveva assolto Videla poiché mancavano le prove per dimostrare che la giunta militare aveva pianificato il furto sistematico dei neonati, strappati dalle braccia dei loro genitori per essere condotti tra le braccia di famiglie vicine alla dittatura. Sulle giovani donne incinte, a cui era concesso il parto per essere uccise subito dopo, recentemente Videla ha avuto il coraggio di affermare che si trattava di “attiviste decise ad utilizzare i neonati come scudi umani al momento in cui decidevano di combattere nel movimento guerrigliero”. Lo stesso Videla, che più volte aveva sostenuto che il furto dei bebè era rimasto circoscritto ad alcuni casi isolati circoscritti alla capitale o, al massimo alla Gran Buenos Aires (l’enorme e sterminata  cintura periferica che circonda la città), ha provato a mentire ancora: non ne sapeva niente del centro di maternità clandestino di Campo de Mayo, nemmeno di quello di Pozo de Banfield, e ancora, senza il timore di cadere nel ridicolo, pretendeva di convincere i giudici che le torture dell’Esma erano state commesse dai bassi comandi militari. Peccato che i gradi più bassi di quella dittatura, in una sorta di macabro scaricabarile, sostenevano tutto il contrario: avevano agito su ordine dei loro superiori. In realtà, la sentenza del Tribunal Oral Federal 6 rappresenta sicuramente un bicchiere mezzo pieno,  con alcuni limiti. Molte condanne sembrano decisamente basse e in appello alcune di queste potranno essere ulteriormente ridotte. E’ il caso di Jorge Luis Magnacco, ginecologo che lavorò nel centro di maternità clandestina dell’Esma, del sottufficiale Juan Antonio Azic, che minacciò un detenuto (per fortuna sopravvissuto) recluso nella stessa Escuela de Mecánica di spaccare la testa contro il muro al suo piccino di venti giorni e applicò la picana (il pungolo elettrico usato originariamente per controllare il bestiame dai gauchos argentini) sul prigioniero dopo avergli posto sul petto il bebè. E ancora, potrebbe avvalersi di qualche sconto della pena Santiago Omar Riveros, condannato a 20 anni e già giudicato responsabile, in Italia, della scomparsa di tre cittadini italiani nell’ambito del Plan Condor.

Eppure la sentenza del Tribunal Oral Federal 6 segna un punto a favore dei familiari che per decenni hanno combattuto una durissima battaglia culturale affinché la storia dei desaparecidos e il furto dei neonati non passasse nell’oblio e manda un messaggio preciso ai vecchi arnesi ancora convinti di far tornare l’Argentina nell’incubo: il caso di Julio Lopez, primo desaparecido in democrazia (è scomparso nel 2006), testimone chiave nel processo al repressore Miguel Etchecolatz che ha permesso al tribunale federale di condannare l’ex capo della sicurezza pubblica all’ergastolo per sequestri e torture, esige ancora giustizia.

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