Armeni: il «giardino nero» del Caucaso
di Sabato Angieri (*). A seguire una nota della “bottega”.
I racconti degli abusi e delle violenze subite dai civili armeni del Nagorno- Karabakh.
Tra le migliaia di persone in fuga dall’enclave indipendentista dell’Artsakh.
Gli azeri sostengono di aver colpito solo obiettivi militari.
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Le testimonianze dei profughi dicono altro: «A Martakert una donna ha salvato i suoi 4 bambini, li ha lasciati nel camion ma non è riuscita a scappare e l’hanno uccisa. La madre di quattro bambini!»
Per gli armeni costretti a fuggire dal Nagorno-Karabakh queste parole sono «genocidio», «pulizia etnica» e «diaspora». Ieri il numero ufficiale degli sfollati ha superato i 50 mila individui, a questa velocità entro la fine della settimana tutti i 120 mila armeni residenti in Artsakh prima dell’«operazione anti-terrorismo» azera di giovedì scorso entreranno nella lista dei profughi.
Oggi, in questo stesso momento, migliaia di armeni in fuga dall’enclave indipendentista dell’Artsakh sono in coda al confine, a poca distanza dalla tristemente famosa Lachin, che dà il nome alla strada chiusa da mesi dall’embargo azero. Hanno abbandonato le proprie case, gli averi, i campi, i progetti e hanno messo tutto il possibile in una macchina. Il che, va da sé, è niente; ma almeno sono vivi.
Quando lo fanno però le loro storie sono terribili. I racconti che seguono sono un primo tentativo di raccogliere le testimonianze degli abusi e delle violenze subite dai civili armeni del Nagorno-Karabakh, così come me li hanno riferiti.
In attesa che un’istituzione indipendente o un tribunale internazionale faccia luce su quanto sta avvenendo a Stepanakert e negli altri centri della regione.
Ci racconta Margarit Sahakyan, una maestra elementare di Martakert, all’Hotel Goris. «Questa donna ha salvato i suoi quattro bambini, li ha lasciati nel camion, ma non è riuscita a scappare e l’hanno uccisa. Teneva in mano una pistola? Sparava a qualcuno? La madre di quattro bambini!».
MARGARIT CONTINUA: «Quando abbiamo passato l’ultimo check-point azero i militari sono saliti sull’autobus e hanno terrorizzato i bambini, alcuni non la smettevano di tremare, dicevano “non voglio morire”. Però l’immagine più tragica che ho ancora di fronte agli occhi è quella di un bambino di 14 anni che mi chiede ‘zia margot (questo il nome che le davano nel villaggio per il suo ruolo di maestra), “questa nel video è mia mamma?” Le stavano facendo di tutto e poi l’hanno uccisa. Il fatto che qualcuno ha avuto il coraggio di girare un video mentre tutto ciò accadeva, come se fosse uno spettacolo, è disgustoso. Forse pensavano fosse divertente».
Lo scorso settembre, per citare un solo caso, in seguito a un attacco delle forze azere sul territorio armeno (non nel Karabakh, ma entro i confini di Erevan) i soldati azeri entrarono in un avamposto armeno e tra i militari trovarono una donna soldato, il video delle sevizie e della successiva decapitazione della donna è ancora disponibile in rete, quindi non è affatto strano che esista un filmato come quello che racconta Margarit.
«Al villaggio abbiamo avuto nove soldati morti e una donna (la stessa del precedente racconto, ndr) catturata, seviziata e poi uccisa. Oltre al video, ci sono 12 uomini del villaggio che erano rimasti per permetterci di fuggire, l’hanno vista morta dopo che i soldati azeri si sono allontanati».
Com’è stata catturata? «Stavamo scappando con i camion, io ero dentro, e quella donna ha portato i suoi quattro bambini da noi e poi è tornata indietro, non so perché. So solo che non è mai tornata da noi. E poi i bambini hanno visto su internet cosa avevano fatto alla madre. Ai bambini raccontavamo che la madre sarebbe tornata, ma poi il maggiore ha visto il video, ha iniziato a piangere e tutti gli altri si sono uniti nel pianto. Ora sono con la nonna».
Anna viene da un villaggio vicino Goris, 10 anni fa si è sposata con un uomo del Nagorno-Karabakh e si sono trasferiti lì, hanno due bambini che le restano attaccati mentre parla. «Vicino a casa mia non c’è niente, solo alberi… dicono che hanno bombardato solo strutture militari ma allora la mia casa?».
«Manca solo la benzina» e si volta. Quando Anna ci mostra una foto della casa appena finita, però, si avvicina: «Guarda il tetto, nuovo, l’avevo costruito io» dice fiero. «Volevano che ce ne andassimo, che non avessimo posti per restare, questa è la verità» conclude Anna quasi piangendo.
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UNA NOTA DELLA “BOTTEGA”
Sul centenario del genocidio dei turchi contro gli armeni la “bottega” ha costruito, nell’aprile 2015, un dossier con 12 articoli: un percorso di informazione e riflessione, fra storia e cultura. Per trovarli usate i TAG.
Qualcosa abbiamo scritto anche sulle vicende più recenti (o antichissime) come: Armenia: patria tormentata dei più antichi rituali “vinosi” o Ma che ci fa un armeno a Baghdad? Mentre la recensione al bel romanzo di Mark Mustian è qui: Su «La memoria del vento»…
NELL’IMMAGINE SOPRA: 16 ragazze crocifisse – Malatia Armenia 1915 (dal documentario “Auction of Souls”)