‘Armiamoci e partite’ che l’industria bellica ci guadagna. A dismisura
di Ennio Remondino (ripreso da remocontro.it)
Titolo un po’ estremo, ma sintesi efficace dello studio dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, l’IRIAD. La favola che l’industria bellica italiana dà un grande contributo al bilancio italiano, e tante altre rivelazioni ancora. Uno studio di Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore di Archivio Disarmo e di Gianni Alioti, ricercatore e attivista The Weapon Watch. Un dato conclusivo a colpire tra tanti.
Multinazionali militari, fatturato +74%, occupati -16%, profitti +773%. Ripetiamo ad evitare confusione: più 773 per cento di profitti.
Più armi, più guadagni per tutti
«I ricavi dell’industria italiana in campo strettamente militare rappresentano, secondo i dati forniti dall’AIAD – la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza di Confindustria – solo lo 0,5% del PIL del nostro paese». Molto, molto meno del costruire automobili, ad esempio, con l’industria ‘dell’Automotive’ al 5,2% del PIL, secondo l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica di Confindustria.
lndustria bellica più posti di lavoro?
Il boom di spese in armamenti. Dal 2013 al 2022 c’è stata una crescita del 132% delle spese di investimento per armamenti, ma il numero degli occupati diretti nell’industria bellica è rimasto pressoché costante intorno ai 30 mila addetti, lo 0,8% dell’occupazione nell’industria manifatturiera in Italia. Peggio del dato generale, l’andamento dell’occupazione nel comparto aeronautico (velivoli e aerostrutture) della Leonardo S.p.A che, nonostante l’enfasi sui posti di lavoro legati alla produzione del costosissimo Jet multi-ruolo F-35, dal 2007 al 2022, ci ha regalato un saldo negativo del 17% (da 13.301 a 11.093 occupati).
L’unica industria tecnologicamente avanzata?
Tra i settori industriali più innovativi in Italia troviamo, oltre le attività civili del comparto aerospaziale, la microelettronica, la robotica e l’automazione industriale, la produzione di macchinari, la produzione di auto e altri mezzi di trasporto – navi, treni, metro – l’informatica e le telecomunicazioni, la biotecnologia, la farmaceutica, l’alimentare, le energie rinnovabili e molte altre (Greenpeace, “Arming Europe – Military expenditures and their economic impact in Germany, Italy, and Spain”, novembre 2023).
Niente armi dove c’è guerra e dittature?
Secondo i dati del SIPRI, dal 2019 al 2023 l’export di armamenti dell’industria bellica italiana non solo è cresciuto dell’86% rispetto ai 5 anni precedenti, ma in violazione della Legge 185/90, in prevalenza è diretto a paesi in guerra e/o a paesi autocratici, che calpestano i diritti umani e le libertà fondamentali come Algeria, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Israele, Kuwait, Marocco e Qatar.
Conversione da produzione militare a civile o viceversa?
Nel secondo dopoguerra i governi italiani finanziarono programmi di conversione dalla produzione militare a quella civile nell’industria a partecipazione statale. All’inizio anni ’90, fine della ‘Guerra Fredda’, fu l’Unione Europea a farlo attraverso il programma comunitario ‘Konver’ e l’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei. Viceversa (dal civile al militare), solo scelte d’indirizzo di politica industriale delle due aziende a controllo pubblico (Leonardo S.p.A e Fincantieri), le quali concentrano circa l’80% del fatturato dell’industria militare in Italia.
Leonardo S.p.A (ex Finmeccanica), tutto militare?
La Finmeccanica (ora Leonardo S.p.A) nel 1995 era un gruppo industriale il cui fatturato per il 72% proveniva da attività civili e solo il 28% dal militare. Nel 2023 queste quote si sono rovesciate: solo il 25% nel civile e il 75% nel militare. Il processo di dismissioni in campo civile, iniziato nel 1994 con la vendita di EsaOte Biomedica, si è intensificato a partire dal 1998 con la cessione ad ABB di Elsag Bailey Process Automation (leader mondiale nell’automazione industriale) e con la vendita delle aziende controllate nella robotica e automazione di fabbrica, della quota di controllo della ST Microelettronics e degli asset sull’energia eolica. Per poi proseguire con le dismissioni di Ansaldo Energia (2013), Ansaldo Breda, Ansaldo Sts, Breda-Menarini bus (2014) ed Electron Italia (2017).
Gli azionisti della Leonardo S.p.A tutti italiani?
Il principale azionista è il Ministero dell’Economia e Finanze (30,2%), con una ‘golden share’ (la possibilità di controllo governativo della maggioranza azionaria) data l’importanza strategica della società, ma un ruolo sempre più decisivo nella sua gestione lo giocano i Fondi istituzionali, che per il 53% sono nord-americani. Dimensional Fund Advisors LP, The Vanguard Group, Norges Bank Investment, T. Rowe Price International Ltd Management, Goldman Sachs Asset Management, BlackRock Fund Advisors e DNCA Finance SA. Leonardo S.p.A è quotata alla Borsa Italiana e, attraverso la società controllata Leonardo DRS, è presente anche sui listini statunitense NASDAQ e israeliano TASE.
Tecnologie ad uso militare utili nel settore civile?
La tecnologia stealth che rende ‘invisibili’ ai radar gli aerei F-35 militari non può servire agli aerei commerciali che invece devono essere ben rilevati, monitorati e guidati dalle torri di controllo. I radar invece nella maggior parte dei casi rientrano nel ‘dual use’ (doppio uso), cioè usufruibili in campo sia civile sia militare. Per certi versi simile, è il caso dei droni che possono essere addirittura da attacco oppure da monitoraggio ambientale, ovviamente con specifiche tecnologiche ben differenti.
Industria bellica, contributi dallo Stato o dall’UE?
L’Unione Europea sta destinando già da anni rilevanti fondi alle industrie belliche. Nel 2024 circa il 2% del bilancio è stato destinato a scopi militari, cioè 2,32 miliardi. Gli occupati diretti sono 491.000 (2022), su un totale di 925.000 occupati nell’ aerospazio e difesa. Inoltre l’industria bellica è sostenuta attraverso il Programma Europeo per l’Industria della Difesa (EDIP), da 1,5 miliardi di euro fino al 2027 e l’EDF da quasi 8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027. Questi finanziamenti vanno per lo più a 4 Stati (Francia, Spagna, Italia e Germania) e a 5 maggiori aziende (Airbus, Leonardo S.p.A, Thales, Dassault Aviation e Rheinmetall). Leonardo S.p.A, con oltre il 70% delle produzioni militari italiane e prima beneficiaria dei fondi di ricerca e di sviluppo militare messi a disposizione dall’Unione, è partecipata dal ministero dell’Economia e Finanze (30,2%) e il governo italiano nel 2024 destinerà una cifra di circa 10 miliardi di euro agli investimenti sugli armamenti, cifra che dovrebbe mantenersi nei prossimi anni.
Analoghi contributi per altri settori civili?
L’Unione europea con la PAC – Politica Agricola Comune – si è impegnata per il periodo 2021-2027 con 386 miliardi di euro a questo comparto, che però impiega oltre 20 milioni di persone e ha realizzato un risultato di 369 miliardi di euro per il commercio agroalimentare da gennaio a novembre 2022. In ambito sanitario, per un settore con 14,3 milioni di occupati, si ha ‘EU4Health’ – Programma d’Azione dell’Unione Europea – in materia di salute per il periodo 2021-2027 ed è il più ampio mai realizzato dall’UE in termini di risorse finanziarie (5,1 miliardi di euro), in risposta alla pandemia da COVID-19, destinato ad una popolazione di 450 milioni di abitanti.
Più fatturato più occupazione?
NO! Prendiamo, ad esempio l’andamento del fatturato e del numero di occupati nel settore aerospaziale in Europa dal 1981 al 2016. Nei 35 anni considerati (un tempo sufficientemente lungo per considerarlo un dato strutturale), il fatturato aumenta dell’enormità del 366%, e l’occupazione un calo del 7,2%. ‘Disaccoppiamento’ evidente tra fatturato e occupazione, comune ad altri settori economici. Ma peggio nel settore armamenti: mentre gli occupati nel militare sono il 54% in meno, quelli nel civile sono cresciuti dell’84%. È un dato che può stupire, ma per chi conosce il settore sa che dietro ai numeri c’è il successo del più importante programma industriale e tecnologico sviluppato a livello europeo: l’Airbus. Un programma vincente, al quale il nostro paese ha fatto la colpevole scelta di non partecipare, condannandosi in campo aeronautico (tranne nel comparto degli elicotteri e nei piccoli aerei a turbo-elica ed executive) a un ruolo di semplice sub-fornitore dell’industria aeronautica americana.
‘Disaccoppiamento’ americano
Anche negli USA si verifica quel disaccoppiamento’ tra andamento dei fatturati aziendali e addetti. Negli ultimi vent’anni il fatturato complessivo dell’industria aerospaziale americana è cresciuto del 166% (in linea con l’aumento delle spese militari USA +170%) mentre il numero totale degli occupati è diminuito del 13%. La decrescita dei posti di lavoro anche negli USA è maggiore nelle attività destinate a produzioni militari.
Multinazionali militari, più fatturato, meno occupati, profitti +773%
Un’ulteriore conferma di questa tendenza sul piano internazionale (e non solo europeo o americano) emerge da un’analisi dei primi dieci gruppi multinazionali per fatturato militare al mondo. Dal 2002 al 2016, mentre, il fatturato totale dei dieci gruppi è cresciuto del 60% (e quello militare del 74%), il numero di occupati si è ridotto del 16%. In compenso i profitti di questi gruppi multinazionali, nello stesso arco di tempo, sono aumentati del 773%.