Arminio, Benotto, Ingrao, Mura, Murard-Yovanovitch, il trio Gorgoni- Grignaffini-Rui e un quartetto per Alberto Manzi

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Flore Murard-Yovanovitch

«L’abisso. Piccolo mosaico del disumano»

traduzione di Luca Briasco

Stampa alternativa

140 pagine, 10 euro

Mediterraneo. Ai giorni nostri. “In una pulsione senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale, l’Europa sceglie la violenza come politica e decide di spostare la sua Frontiera più a sud, in Africa, trasformandosi in un dispositivo per bloccare e per deportare chi tenta di arrivare – l’Europa si fa muraglia di eserciti e di poliziotti, di campi, di leggi e persecuzioni”. Da circa dieci anni la giornalista Flore Murard-Yovanovitch, di origine serbe, nata e cresciuta in Francia, globetrotter militante, spesso con base a Roma, raccoglie cronache, commenti, pensieri, recensioni nel blog https://floremy.wordpress.com/about/ molto imperniato sulla (cattiva) politica europea nei confronti delle immigrazioni. Non solo comunque: si tratta di scritture intuitive di quello che c’è nell’aria e delle trasformazioni psicosociali in corso, pulsanti verso una società diversa, libera e davvero umana fondata su rapporti umani nonviolenti, sulle realizzazioni reciproche degli individui, della loro identità, in creatività e fantasia. Esce ora con la terza parte di quello che ha chiamato “piccolo mosaico del disumano”. Dopo «Derive» (2014) e «La negazione del Soggetto Migrante» (2015), «L’abisso» (ottobre 2017) contiene quasi una trentina di testimonianze e resoconti su episodi di flusso migratorio del biennio 2015-2016: la percezione “delirante” (concetto ripreso dallo psichiatra Fagioli) che impera sugli organi d’informazione e sui social, capace di delirare sugli esodi, distorcendo dati e realtà; il nuovo “fascismo” della frontiera, ovvero muri razziali, caccia ai profughi, campi di concentramento nuovi lager lungo i transiti o all’arrivo, rimpatri forzati e mortiferi; la vera e propria “guerra” ai migranti, ovvero pattugliamenti militari respingenti, fuoco armato contro i soccorritori, naufragi indotti o accettati, psicopatologia dei poteri statali e comunitari.

Flore Murard-Yovanovitch (Parigi, 1972) è una storica di formazione, divenuta ben presto operatrice dell’Onu e di varie Organizzazioni non governative, giornalista freelance, coinvolta nelle esperienze di psichiatria dell’analisi collettiva di Massimo Fagioli (1931-2017), testimone diretta e sul campo di storie e volti di esodati. I testi erano in parte usciti anche su quotidiani cartacei e online, agenzie varie. Nel volume la scrittrice assembla i pezzi non per tema, ma per amaro argomento e aggiunge un lavoro di editing, oltre a un ricco apparato di circa cento note (con citazioni bibliografiche e riferimenti giuridici). Entusiasta l’impegnata postfazione di Alessandro Dal Lago, che parte dal “costo umano” dei morti di frontiera (“Trentamila annegati in vent’anni. Quaranta o forse cinquantamila morti, se contiamo le vittime, per fame, sete, torture o guerra, nelle savane, nei deserti e nelle desolazioni che separano l’Africa… dalle coste mediterranee”) e integra il libro con le novità del 2017: “quello che è successo in Italia tra il febbraio e l’estate del 2017 non ha precedenti. Una campagna, probabilmente appoggiata o ispirata dai servizi segreti, alimentata dai media scandalistici e legittimata da alcuni magistrati inquirenti loquaci o specializzati in esternazioni alla stampa, ha preso di mira le navi delle Ong che operano tra Sicilia e Libia, salvando migliaia di migranti”. Ė purtroppo un dato che l’Europa di fatto non ha mai riconosciuto il diritto di restare (con la schiavitù antica e moderna, il colonialismo, lo sfruttamento, le emissioni di gas serra) e ha paura della libertà di migrare (altrui e universale), unita da una psicosi nazionalistica ed etnocentrica. Abbiamo bisogno di conoscenza ed empatia per resistere alle abissali disuguaglianze!

 

Luciana Benotto

«A bon droit. Il piacere della vendetta»

La vita felice

250 pagine per 16,50 euro

Milano e stato visconteo. 1380-1385. Gian Galeazzo Visconti (Pavia, 1351-Melegnano, 1402) fu detto Conte di Virtù dal nome di Vertus in Champagne, titolo portato in dote dalla prima moglie Isabella di Valois (1348-1372). Fu scombussolato dalla morte di lei, poi di due dei quattro figli e del padre (1378). Il crudele zio Bernabò restava come uomo forte del casato, nel 1380 costrinse il mite accorto Gian Galeazzo a sposare la cugina sua figlia e qualche mese dopo fece uccidere Azzone, il maschio vivo del primo matrimonio. L’esperta insegnante alle superiori, giornalista di lunga data, lombarda d’acqua dolce Luciana Benotto narra in terza varia il conflitto latente e patente fra i due Visconti, il covare principesco della rivalsa del Conte con l’aiuto della madre Bianca di Savoia, il nuovo vero amore per Agnese Mantegazza. Ne vien fuori un garbato romanzo storico, “A bon droit. Il piacere della vendetta”, avventure e sentimenti di oltre sei secoli fa, documentato e avvincente.

 

Pierluigi Gorgoni e Andrea Grignaffini

«Il vignaiolo universale. La cultura nel bicchiere»

Marsilio

220 pagine, 32 euro

Terroir, vigne, vitigni, vignaioli e vignaiole, vini, degustatori e degustatrici, qui e altrove. Da qualche migliaio d’anni e per sempre (forse). La milanese Fondazione Cologni opera da oltre un ventennio e la collana Marsilio “Mestieri d’Arte” giunge al decimo titolo: “Il vignaiolo universale. La cultura nel bicchiere”, realizzato dai divulgatori enoici Pierluigi Gorgoni e Andrea Grignaffini e sapientemente illustrato da Paolo Rui (che però non beve). Si tratta di 33 brevi saggi critici su luoghi e tempi della cultura enologica artigianale con colte citazioni, inframezzati dalla riproduzione di 16 tele colorate di paesaggi, filari, cantine, recipienti, bicchieri, personaggi. Emergono le “funzioni” del vino: alimentare (contenuto proprio e da abbinare), sensoriale (in tutti i sensi), speculativa (diretta e indiretta), unica e universale, con un tramite e un ordire socialmente umani. Consuete introduzioni; in fondo un simpatico glossario eno-filosofico e spunti bibliografici.

 

Pietro Ingrao

«Memoria»

Ediesse

226 pagine, 15 euro

Ha vissuto cent’anni Pietro Ingrao (Lenola, 30 marzo 1915 – Roma, 27 settembre 2015), è stato una gran bella persona. Il suo Archivio è conservato al CRS (presieduto da Maria Luisa Boccia) e raccoglie materiali politici e culturali di un lungo percorso di conoscenza e comunicazione letteraria. Nel 1998 aveva predisposto un testo autobiografico registrato poi come «Memorie di guerra» perché concentrato all’inizio sugli anni del conflitto (1939-1945) diffondendosi poi ben oltre. Viene pubblicato giustamente come “Memoria”, curato col consueto acume da Alberto Olivetti, che rielabora come postfazione (“Oltre i comunismi del Novecento”) scritti recenti su Ingrao. L’inedito è diviso in 16 capitoli e ruota intorno alle date cruciali personali e globali: il 1936 (lui fresco di liceo, la guerra civile in Spagna) e il 1956 (lui all’Unità, la scossa in URSS con il XX Congresso del PCUS e i carri armati a Budapest) per dipanarsi verso scelte di vita e curiosità intellettuali, eventi e arti.

 

Franco Arminio

«Cartoline dai morti 2007-2017»

Nottetempo

172 pagine, 12 euro

Nel 2011 Franco Mario Arminio (Bisaccia, 1960), bravissimo “paesologo”, poeta scrittore regista, pubblicò la prima edizione di una raccolta di brevi messaggi trascritti come se fossero arrivati per cartolina, ciascuno da un individuo defunto e da un luogo ignoto. Erano 128 più una nota. In questa nuova recentissima edizione accresciuta di fine 2017 ne ha corretto qualcuno, ne ha eliminato qualcun altro, lasciandone 83 fra gli originali. Poi ne ha aggiunti 11 tratti dalla raccolta 2016 e circa 75 inediti, come “racconti senza respiro” e cartoline, oltre al componimento “La spina”. L’ultimo testo riassume un poco il senso di tutti: “Se non credi alla vita dopo la morte, devi credere di più alla vita dentro la vita. La mia fede io la chiamo intensità. L’intensità a me viene dal guardare… Il bene sta negli alberi, nell’acqua, nelle facce, il bene è sempre dalla parte di chi è intenso, si interessa meno a chi si spaccia in estasi o in disperazione.” Bella coerente veste grafica.

 

Andrea Canevaro, Giulia Manzi, Domenico Volpi, Roberto Farné

«Un maestro nella foresta. Alberto Manzi in America Latina»

EDB

102 pagine, 11 euro

Venezuela e Ande. 1955. Alberto Manzi (1924-1997) condusse “Non è mai troppo tardi” dal 1960 al 1968, 50 anni fa. In precedenza aveva innanzitutto insegnato in carcere a Roma, poi intrapreso una promettente carriera universitaria, interrotta nel 1954 per fare il maestro a scuola e compiere ricerche internazionali (soprattutto in America Latina). Così, a partire dall’estate 1955 per venti anni, trascorse i mesi estivi in Sudamerica. Il primo viaggio fu raccontato nel 1956 attraverso sei articoli pubblicati dal Vittorioso, un giornale per ragazzi edito dalla casa editrice Ave. Quel reportage viene ora ripresentato in questo prezioso volumetto con quattro importanti introduzioni dei due docenti universitari bolognesi Canevaro e Farné, dell’amico Domenico Volpi (che dirigeva il giornale) e della figlia Giulia, illustrato e arricchito da alcuni dattiloscritti (preparati come “fotoservizi”) conservati al Centro Alberto Manzi di Bologna.

Gianni Mura

«Confesso che ho stonato»

Skyra

110 pagine, 13 euro

Italia e Francia. L’ultimo secolo. Gianni Mura è nato il 9 ottobre 1945 ed è sempre vissuto a Milano. Giornalista da oltre cinquant’anni, ha iniziato alla Gazzetta dello Sport subito dopo la conclusione del Liceo Classico (il Manzoni), presto rinunciando alla laurea in Lettere moderne dovendo girare l’Italia, l’Europa, il mondo per seguire eventi e personalità dell’agonismo sportivo, soprattutto calcio e ciclismo. Pare che avrebbe voluto, invece, fare il cantautore, provò pure a cantare nei cori scolastici alle medie, fu sconsigliato e ora ha deciso di raccontare minuziosamente il lungo intenso amore per la musica di uno che non va a tempo. Spiega di essersi acculturato di arie e canzoni nelle caserme dove lavorava il padre maresciallo dei carabinieri, cresciuto in un mondo di regole da rispettare, con libri e radio come uniche evasioni a disposizione. Da allora quando può canticchia, Giovanna Marini gli disse di trovarlo un poco distonico, altri tradussero in “totalmente stonato”, ma secondo lei forse poteva piacere a Luigi Nono. Si è così rassegnato al ruolo di ascoltatore e, proprio per questo, sopporta poco che ai concerti di musica cosiddetta leggera (non succede per jazz e classica) la musica non si senta e gli spettatori urlino insieme al cantante le parole delle canzoni (tipo karaoke), fra raggi laser e luci stroboscopiche. Nella sua educazione e nel suo ascolto esistono frammenti e passioni in molte lingue di molti continenti, sottolinea comunque spesso di prediligere il cantautorato francese e italiano del secolo scorso, anche in dialetto (milanese e non solo), anche impregnato di valori civili (le vite di chi sta ai margini, morti e sofferenze di chi lavora duro). Più di tutti suggerisce di riascoltare il musicista, compositore e autore Sergio Endrigo.

Che bello! Di Gianni Mura potete leggere volentieri ogni scritto, quelli che muoiono quotidianamente sulla carta stampata, quelli che vivono in volumi di genere vario: articolo, racconto, romanzo, reportage, conversazione, intervista, recensione o cronaca di costume che sia. Scrittura eccelsa, arguzia stilistica, divulgazione colta, forma e sostanza. Qui inaugura un’interessante collana di “Note d’autore” trattando argomenti musicali con garbo e competenza. Confessa subito che lui stona da sempre e regolarmente. Poi finisce per citare in una decina di più o meno brevi capitoli circa 170 musicisti che gli (ci) hanno regalato “emozioni con le loro canzoni, una solo oppure tante”, perlopiù italiani, tanti francesi. Non è un elenco organico, né vuole essere la storia di un periodo, trovate pochi gruppi e poco pop, è ovvio. Alcune canzoni sono citate lungamente e contestualizzate. Sono impressioni di un appassionato serio che narra mirabilmente delle proprie passioni musicali, di aneddoti e incontri connessi, ogni capitolo con un suo motivo ricorrente, un ritornello orecchiabile: Bearzot patito di be-bop, Brera che descrive Pelè con Leopardi, il valore (non immemorabile) degli inni delle squadre di calcio, la musica che accompagna vari altri sport, Ėdith Piaf, le pietre sonore di Pinuccio Sciola, la fisarmonica come esperanto degli strumenti e anguria della musica, il rispetto e l’altruismo del duo Enzo Jannacci-Beppe Viola nel triangolo di piazza Adigrat-via Sismondi-via Lomellina, i tanti assurdi tagli alle canzoni da parte della censura pubblica e privata, l’abuso di parole imprecise nelle descrizioni della musica e il complesso intreccio fra poesie e canzoni. Un libro da cui si capisce finalmente bene cos’è il ritmo in letteratura.

Redazione
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