Arrestato il volo del condor
Il 9 luglio la Prima Corte d’assise d’Appello bis di Roma ha condannato a 24 ergastoli i repressori che, per conto delle dittature militari latinoamericane degli anni Settanta e Ottanta, uccisero 23 cittadini di origine italiana.
di David Lifodi
Finalmente giustizia! Per i desaparecidos e i loro familiari quella del 9 luglio 2019 è stata una giornata storica. La Prima Corte d’assise d’Appello bis di Roma ha infatti condannato con un ergastolo ciascuno i 24 imputati esponenti dei regimi militari latinoamericani che negli anni Settanta e Ottanta, avvalendosi del Plan Condor, avevano sequestrato e ucciso 23 cittadini di origine italiana. La sentenza di primo grado, invece, aveva inflitto solo 8 ergastoli e assolto ben 19 persone, considerando gli autori dei crimini responsabili esclusivamente del sequestro di persona e non dell’omicidio.
Il processo era iniziato nel lontano 1999 grazie ad un’inchiesta del pm Giancarlo Capaldo a seguito delle denunce di una donna italo-argentina e di cinque italo-uruguayane i cui familiari erano stato uccisi nell’ambito del Plan Condor, la macchina di morte creata dalle dittature di Argentina, Uruguay, Brasile, Bolivia, Paraguay e Cile per sterminare gli oppositori politici. Tra i protagonisti di questa caparbia battaglia per la verità e per la giustizia Maria Paz Venturelli, figlia di Omar, il sacerdote che fu sospeso per la sua militanza nella sinistra rivoluzionaria cilena del Mir, Nila Heredia, il cui marito Luis aveva aderito alla guerriglia in Bolivia fin quando non fu catturato e ucciso, nel 1976, dopo esser stato trasferito dal paese andino ad un campo di tortura segreto di Buenos Aires e Nestor Gomez Rosano, la cui sorella Célica cadde anch’essa nelle grinfie del Plan Condor.
Gli avvocati dei familiari dei desaparecidos hanno concordato sul fatto che la Prima Corte d’assise d’Appello bis abbia modificato radicalmente la sentenza precedente poiché gli omicidi delle vittime sono legati e unificati dall’evento finale, quel Plan Condor pianificato negli ultimi mesi del 1975 (ma già funzionante fin dal 1974) che voleva cancellare dal continente latinoamericano tutti coloro che militavano per i diritti e per la giustizia sociale. A questo proposito, è significativa la dichiarazione rilasciata pochi giorni fa da Nestor Gomez Rosano al quotidiano il manifesto: “Mia madre ha aspettato per 20 anni il ritorno di sua figlia Célica. È morta senza avere una risposta, ma oggi la mia famiglia festeggia”.
A fare festa sono anche il governo boliviano e quello uruguayano. Diego Ernesto Jiménez, viceministro boliviano della Giustizia, e Miguel Ángel Toma, sottosegretario alla presidenza dell’Uruguay, erano presenti in aula, a Roma, proprio per una sentenza che assume un significato particolare non solo in Italia, ma anche in America latina. Nel corso degli anni, anche all’epoca in cui nel continente prevalevano governi di centro sinistra, con la quasi unica eccezione dell’Argentina kirchnerista, i fedelissimi delle dittature militari avevano costruito una rete che in più di una circostanza era riuscita a proteggere i torturatori di allora. In Brasile, la Commissione per la verità all’epoca della presidenza Rousseff si era dovuta scontrare contro ostacoli insormontabili. In Uruguay, nel segno della pacificazione sociale, la cancellazione della Ley de Caducidad nel 2011 non era stata approvata addirittura con il voto contrario di un esponente del Frente Amplio, nella stessa Argentina kirchnerista era scomparso per la seconda volta, ed è tuttora desaparecido, Julio López (una sorta di macabro avvertimento, insieme alle continue intimidazioni contro le Madres de la Plaza de Mayo) e in Cile, il presidente Piñera, al suo secondo mandato (non consecutivo), ha vinto grazie anche al sostegno di gran parte dei simpatizzanti pinochettisti in un contesto in cui numerosi gruppi di estrema destra hanno ripreso piede nel paese.
Nel processo di Roma ha giocato invece un ruolo chiave il governo uruguayano, che si è costituito parte civile e si è attivato nel fornire prove utili per far condannare alcuni dei militari Torturatori. Eppure, anche in Uruguay i nostalgici della dittatura ancora oggi sembrano non mancare, come ha sperimentato sulla propria pelle la ricercatrice italiana Francesca Lessa.
Adesso, nell’attesa che la sentenza di condanna sia confermata dalla Cassazione, per i promotori del terrore di Stato questa è una bella lezione. Una volta tanto, coloro che sono, ed erano, dalla parte del torto hanno vinto, anche se ad oltre 40 anni da quei fatti.
La redazione della Bottega segnala inoltre questi articoli:
– 24 ergastoli ai militari sudamericani protagonisti del Piano Condor
– Operazione Condor: ergastolo a 24 ex capi di Stato e agenti sudamericani
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COMUNICATO STAMPA AMNESTY INTERNATIONAL
“PROCESSO CONDOR”, UNA SENTENZA STORICA
L’8 luglio 2019 la prima corte d’assise d’appello di Roma ha comminato 24 ergastoli per il sequestro e l’omicidio di 23 cittadini di origine italiana residenti in Bolivia, Cile, Perù e Uruguay all’epoca delle dittature militari degli anni Settanta e Ottanta.
Tali dittature avevano realizzato una vera e propria impresa criminale, denominata “Piano Condor”, un accordo di cooperazione tra i servizi di sicurezza di vari paesi per catturare e far sparire attivisti, dissidenti e oppositori politici.
Fra i condannati c’è anche Jorge Nestor Troccoli, l’unico attualmente residente in Italia, ritenuto membro dell’intelligence uruguayana legata all’allora dittatura del suo paese.
Sono state confermate le condanne emesse in primo grado per l’ex presidente boliviano Luis García Meza Tejada, deceduto nel 2018: Luis Arce Gómez, ministro dell’Interno della Bolivia; Juan Carlos Blanco, ex ministro degli Esteri dell’Uruguay; il cileno Jeronimo Hernan Ramirez Ramirez; e l’ex presidente peruviano Francisco Rafael Cerruti Bermudez.
La sentenza, che auspichiamo verrà confermata in Cassazione, ha un’importanza storica: dopo quattro decenni l’ostinazione e il coraggio dei sopravvissuti e dei familiari degli scomparsi ha avuto ragione di fronte all’impunità, che aveva parzialmente retto in primo grado.
Da parte di Amnesty International Italia, grande soddisfazione e un enorme apprezzamento a tutte le persone che hanno reso possibile, a distanza di tanto tempo, celebrare il processo e ottenere questo importantissimo verdetto.
Roma, 9 luglio 2019
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Processo Condor a Roma: finalmente un po’ di giustizia!
tratto da rifondazione.it
Si è chiuso a Roma il processo d’appello contro alcuni dei responsabili civili e militari del famigerato “Plan Condor”. Come si ricorderà il “Plan Condor”, con l’auspicio di Washington, fu il coordinamento delle dittature latino-americane degli anni ’70 e ’80 (in particolare del Cile, Argentina, Uruguay e Bolivia) per lo sterminio degli oppositori politici. Grazie a questo criminale accordo, gli oppositori erano sequestrati, torturati, e fatti scomparire nei diversi Paesi, da squadre “miste” delle forze repressive latino-americane. Tra le vittime, sono molte quelle di origini italiane.
A 20 anni di distanza dalle prime denunce dei familiari delle vittime alla Procura di Roma, finalmente l’Italia risponde positivamente alla loro richiesta di giustizia e verità. Su 27 imputati alla sbarra, la prima Corte di Assise di appello di Roma ha condannato all’ergastolo 24 responsabili, ribaltando la sentenza di primo grado del 2017 che aveva visto solo 8 ergastoli e 19 assoluzioni.
Tra i condannati più emblematici c’è Jorge Nestor Fernandez Troccoli, militare uruguaiano di origini italiane. All’epoca dei crimini, Troccoli era capitano del servizio segreto della marina uruguaiana (S2), dove era conosciuto come «el torturador». Nato a Montevideo il 20 marzo 1947, passaporto italiano dal 2002, grazie alla sua doppia nazionalità (e ad amici potenti) alla vigilia di un possibile arresto, Troccoli fuggì dall’Uruguay per nascondersi tra Marina di Camerota e Battipaglia. Nonostante l’assoluzione in primo grado, in appello hanno pesato le prove schiaccianti per gli omicidi contestati, tra cui quelli degli italo-uruguaiani Raul Borrelli, Yolanda Casco, Edmundo Dossetti, Raul Gambaro, Ileana Garcia, e Julio D’Elia.
Nell’esprimere soddisfazione per la sentenza, il PRC ricorda che da troppo tempo l’Italia si è trasformata in un rifugio dorato per diversi criminali latino-americani. Uno di loro, l’ex-tenente colonnello argentino Carlos Luis Malatto, è stato recentemente scovato in vacanza in un residence siciliano vicino Messina, da cui ha fatto perdere temporaneamente le proprie tracce. Come mai il nostro Paese è luogo di latitanza o soggiorno per criminali in fuga ? Quale sistema di rapporti più o meno occulti appoggia e copre la loro presenza ?
La difesa di alcuni imputati ha fatto sapere che ricorrerà in Cassazione contro questa sentenza che auspichiamo verrà confermata. Il PRC-SE fa appello ai propri militanti, ai sinceri democratici ed agli antifascisti a vigilare e mobilitarsi affinchè i criminali responsabili di efferati delitti siano condannati. Ancor di più in questi tempi di pericolosi arretramenti, è importante non cedere neanche di un millimetro.
Rifondazione Comunista rende omaggio all’ostinazione ed al coraggio dei sopravvissuti, dei familiari degli scomparsi e di quanti si sono sempre battuti contro l’impunità.
MEMORIA, VERITA’ E GIUSTIZIA !!!
PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA – SINISTRA EUROPEA