«Arte di vivere e artisti da far vivere»
Le riflessioni di Angelo Maddalena
Arte di vivere e artisti da far vivere
Questo periodo in cui il cielo ci è caduto addosso deve per forza lasciare un segno e non possiamo far finta di niente. E questo credo che ci trovi d’accordo in tanti: ricominciare a trattare la realtà e le persone come prima sarebbe un’occasione sprecata doppiamente: ci lasciamo alle spalle un periodo in cui abbiamo avuto non poche possibilità di pensare e ripensare al modo in cui ci rapportiamo alla realtà e agli altri; un aspetto tragico di questo periodo è stato ed è la tendenza a subire sempre di più decisioni e strategie dall’alto, e questo riguarda ognuno di noi a livello locale e globale, le possibilità che abbiamo di darci valore e di attuare uno stile di vita basato sullo scambio reciproco o, al contrario, sull’assistenzialismo. In quanto artista che vive della propria arte, ho osservato molte dinamiche in questi ultimi tre mesi, amplificazioni di aspetti e di meccanismi che già conoscevo.
Con altri artisti incontrati nel percorso nazionale negli ultimi anni, da tempo riflettiamo sul senso da dare all’arte di vivere, oltre che di esprimersi. L’ultima cosa che ci può aiutare è l’assistenzialismo, e lo dice bene Biagio Accardi, che alla proposta di una cassa di solidarietà libertaria risponde così: «Io non chiedo di essere assistito, mi basterebbe essere sostenuto nel far circuitare le mie produzioni». In questa risposta di Biagio Accardi sta il nocciolo della questione: è una perversione dire a un artista “ti do dei soldi perché so che sei povero” e poi se l’artista propone di essere pagato per quello che chiede o se ti vuole vendere un suo prodotto, magari autoprodotto…. si ritrova gli stessi soggetti che lo vogliono assistere ma non sostenere! Ora, l’artista è tale perché inventa un’arte di vivere prima e oltre che un’arte di esprimersi, in questo periodo si è visto in modo lampante per chi lo avesse voluto osservare: gli artisti che vivono della propria arte senza aver mai chiesto finanziamenti statali (e ovviamente parlo di artisti poco visibili nei grandi circuiti patinati) hanno dato un grande aiuto alla comunità, locale e globale, con lo sguardo lucido, magari alleggerendo la pesantezza degli animi assediati dal panico irrazionale. Parlo degli artisti che sentono il dolore del mondo e provano a dargli voce pagando con l’invisibilità il prezzo della loro autenticità (un nome su tutti: Calogero Incandela, fra i meno conosciuti; fra i più visibili degli invisibili invece direi Bobo Rondelli). Detto questo, c’è da fare una scelta di campo e non è una cosa che si fa dall’oggi al domani: l’artista è una luce e un pungolo per la comunità, o non è; vivere è creare, reinventarsi, o è palude e stagno. Chi vuole fare lo sforzo di reinventarsi, anche per dare valore all’arte di vivere, propria e di chi lo fa per mestiere, ebbene si faccia avanti, ma non con le solite proposte al ribasso per fare “vetrina”. Anche perché adesso è finita la pacchia per tutti: le cose in grande per fare vetrina e grande evento (con tutti gli orpelli di soldi pubblici sprecati e maneggiati dai soliti maneggioni) purtroppo e fortunatamente, sono in via di estinzione o di rallentamento: facciamo che sia davvero un’occasione per ripartire, togliamoci le maschere, facciamo i conti con la realtà più vera, anche fosse dolorosa (da sviscerare per ognuno di noi): solo così reinventeremo una nuova vita e un nuovo modo di guardare il mondo. Chiedere all’artista come vede il mondo, come vive, come può aiutare la comunità a specchiarsi e ad analizzarsi (ebbene sì, come uno sciamano o uno psicoterapeuta… sociale, è anche questa la vocazione dell’artista che va a fondo nello scavamento). Ovviamente l’artista che vive in povertà e libertà non pretende chissà quali finanziamenti, però non può neanche essere svilito e assistito, o peggio ancora usato solo per far divertire, come ebbe a dire qualche giorno fa tristemente il nostro caro presidente Conte, forse ha sbagliato, non voleva. Ma il problema è di ognuno di noi: l’artista va sostenuto (che vuol dire pagato ma non solo) oppure è inutile parlare di assistenza e di festival e organizzazioni di intrattenimento, perché se perdiamo la capacità di dare valore agli altri (e nella fattispecie agli artisti che vivono della loro arte) abbiamo perso l’anima, cosa che è già successa molti decenni fa come diceva Pasolini e altri come lui: sta a noi adesso tornare a vivere e usare la “scossa” del virus, oppure tornare a morire nello stagno della “normalità”.
Per essere chiari ed “esemplari”: se un artista che racconta non ha uno spazio dove farlo o se quello spazio ce l’ha ma non è valorizzato, cioè non è ricompensato per quello che vale e chiede, ma soprattutto, se non è ascoltato, se si chiede all’artista solo di fare rumore o intrattenimento o divertimento…. Questa è la morte dell’anima, ed è qualcosa che succede da alcuni decenni a questa parte. Invece se vogliamo usare la “scossa” del virus, impegniamoci da ora in poi a ricostruire un tessuto che dia come minimo un valore e un’attenzione alla parola, al racconto, al canto come racconto del profondo, del dolore, del riscatto: siamo disposti a farlo? Ovviamente, oltre a tutto ciò, c’è da organizzare una rete di sostegno: siamo disposti a farlo?
Faccio altri esempi: io da un po’ di anni a questa parte (io e altri come me, più o meno fortunati, più o meno coraggiosi, più o meno visibili) organizzo piccole rassegne (la più recente un anno fa a San Feliciano) e mi esibisco davanti a pochissime persone, e questo mi permette di sentirmi vivo, ascoltato, in un clima di ascolto e convivialità autentico. Ovvio che la cultura dominante ci fa pensare che questo sia una cosa da falliti, eppure poi a livello “ufficiale” c’è chi lo fa e diventa “moda”, non so se mi spiego.
Parlo ancora più concretamente: qualche mese fa ho fatto (l’ultima data in ordine di tempo) un monologo teatrale a casa di due amici di Perugia: mi sono sentito valorizzato e sostenuto; basterebbe farlo due o tre volte al mese (una sciocchezza), e non parlo per me, parlo di chi già lo fa da anni, di chi vorrebbe farlo (ne conosco molti e li ho anche aiutati, e loro aiutano me). Siamo disposti a costruire una rete di sostegno di questo tipo, a livello locale e nazionale? (Per essere precisi a livello personale: ho perso cinque date fissate per un mio monologo teatrale e un concerto di canzoni dagli inizi di marzo: Perugia, Bologna, Padova, Viterbo, di nuovo Perugia, ma non me ne dolgo più di tanto, faccio di necessità virtù, mi reinvento, sono abituato a farlo da sempre).
Altra proposta. Avrete capito che le cose da dire sono tante e gli artisti da coinvolgere anche: da tempo stiamo parlando di organizzare un festival (a bassissima quantità di pubblico, anche prima della Pandemia, siamo già avanti!) in cui gli artisti, oltre a esibirsi, raccontano le loro esperienze, i loro vissuti, le loro esigenze, e le loro proposte: siete disposti a collaborare? A farvi coinvolgere in un’esperienza simile? (una cosa di due o tre giorni, forse più, parliamo di cose piccole ma importanti)
Ho parlato con Antonio Carletti, Biagio Accardi, osservo Davide Di Rosolini, e osservo questi elementi. Da loro – artisti invisibili da anni e anni, che potrebbero lamentarsi e strapparsi i capelli perché hanno perso tante date e quindi introiti, essendo in situazioni precarie e in difficoltà monetarie – mi sento dire e li vedo fare questi gesti: reinventarsi, proporre le loro produzioni in diversi modi e canali, addirittura qualcuno di loro è preoccupato per altri abitanti delle loro comunità che hanno difficoltà. Penso siano queste le strade da percorrere: coltivare creatività soprattutto nell’arte di vivere, convivialità, scambio reciproco, questo non esclude a priori la possibilità di percepire un sostegno istituzionale ma lo limita e lo ridimensiona, e soprattutto crea indipendenza reale e aria nuova.
Angelo Maddalena, 3 giugno 2020, Perugia
testo sottoscritto da Biagio Accardi (narratore teatrale, cantautore, scrittore, contadino)
LE IMMAGINI – scelte dalla “bottega” – sono di Jacek Yerka.