Ascoltate “Ouek dek yal qadi” (Che ti è preso, giudice?)
di Caroline Brac de la Perrière (traduzione e adattamento di Maria G. Di Rienzo)
Il 9 giugno 1984, membri del Parlamento algerino ebbero successo nel far passare un nuovo “Codice di Famiglia”. In base a tale legge, le donne non potevano scegliersi liberamente un marito senza ottenere il previo consenso dei loro “guardiani” o “tutori” (usualmente i padri, ma anche fratelli, zii e persino figli). All’interno del matrimonio, sempre secondo il Codice, le donne erano tenute a obbedire ai loro mariti e non avevano custodia legale dei figli. L’accesso delle donne al divorzio era limitato e dovevano ricevere una quota minore delle eventuali eredità rispetto ai parenti di sesso maschile. Secondo i sostenitori del Codice di Famiglia algerino, esso era coerente con la giurisprudenza e l’etica islamiche, secondo le donne istituzionalizzava una classe inferiore di cittadinanza.
Il 2004 segnò il ventennale delle legge. Determinate, in tale occasione, a mettere fine all’oppressione sistematica che la legge comportava, un gruppo di donne algerine fondò il collettivo “20 ans, Barakat!” (20 anni sono abbastanza) e produsse un video musicale che denunciava il Codice di Famiglia.
Venti donne provenienti da retroscena differenti registrarono la canzone “Ouek dek yal qadi” (“Che ti è preso, giudice?”) e proclamarono: “Questa legge dev’essere disfatta e mai più rifatta.” Distribuito via radio, tramite la tv francese e internet, il video musicale è un esempio di come le donne, lavorando creativamente, incitarono l’opinione pubblica a cambiare le politiche algerine.
Guardatelo su: http://imow.org/wpp/stories/viewStory?storyid=1328
Quella che segue è parte di un’intervista che l’International Musuem of Women fece a Caroline Brac de la Perrière, membro del collettivo che produsse il video.
Come si formò “20 ans, Barakat!”?
Nel 2004 il Codice di Famiglia sarebbe stato in vigore da vent’anni. Io ho una figlia e pensavo: “Mia figlia conoscerà solo questo Codice. Non è possibile, non voglio questo”. Ne avevamo veramente abbastanza, ed è così che il nome “Barakat” è venuto fuori, ma si riferisce anche alla guerra d’indipendenza algerina (1954-1962). Alla fine dei sette anni di guerra contro la Francia, gli algerini cominciarono a combattere gli uni contro gli altri. Reagendo alla persistente violenza la gente sciamò nelle strade gridando: “Sette anni sono abbastanza”. Pensammo quindi che questo nome si sarebbe fissato nella mente delle persone.
Perché avete usato la musica per ottenere la riforma?
Volevamo fortemente che i giovani si unissero a noi, perché stavamo diventando esauste e sì, stavamo anche invecchiando. Pensammo: “E va bene, facciamo una canzone.” Ma che tipo di canzone? Amici del collettivo erano molto vicini ad alcuni musicisti e conduttori radiofonici algerini. Erano molto conosciuti e avevano connessioni in Algeria e un po’ ovunque. Così decidemmo di lavorare insieme con loro, perché anche a loro andava bene: ognuno può fare qualcosa. Fu una cosa buona che venne dalla nostra diaspora, perché molti vivevano in Francia e potemmo registrare il video a Parigi. Tutte le artiste parteciparono gratuitamente e le intervistammo sulla loro relazione con il Codice di Famiglia e sulle loro vite come cantanti algerine.
Eravamo molto ambiziose. Volevamo una canzone che piacesse ai giovani, ma volevamo anche una canzone che ogni donna anziana potesse ascoltare alla radio della cucina. Poiché molto raramente una donna anziana lascia la casa, volevamo capisse che la canzone e il messaggio erano diretti anche a lei. Era necessario che la canzone fosse molto “algerina”, che i suoni fossero realmente algerini. E volevamo che le tre lingue parlate nel paese – arabo, berbero e francese – si sentissero nel video.
Avete incluso nel progetto molte persone diverse e anche uomini. Come mai?
Desideravamo che la canzone parlasse a tutti gli algerini, femmine o maschi. Perciò invitammo una donna dal sud dell’Algeria, una dall’ovest e una dall’est. Abbiamo coinvolto donne di tutte le origini. Abbiamo anche tentato di avere persone conosciute. E volevamo che la canzone risuonasse con i migranti. Per cui, quando nel video vedi donne che cantano in francese, quelle sono donne migranti, più esattamente sono donne algerine migranti. Sebbene non conoscano l’arabo sono algerine e sono comprese nel Codice di Famiglia, perché queste leggi ti seguono ovunque tu vada. Ci siamo assicurate la partecipazione di professioniste, alcune molto note altre meno. Una di loro recitava in una soap opera algerina, e tutti la conoscevano, perciò siamo state molto felici che volesse partecipare. Abbiamo chiesto la presenza di due cantanti internazionali: le puoi vedere nel video, sono Annie Flore Batchiellilys, la voce d’oro dell’Africa, e Barbara Luna che è argentina. Barbara ha imparato a cantare in arabo per il video.
E poi volevamo coinvolgere gli uomini, è per quello che alla fine del video appaiono. In effetti, gli uomini non erano poi così convinti: dei quindici a cui chiedemmo di partecipare solo quattro risposero positivamente. Ad ogni modo, volevamo il loro coinvolgimento perché sebbene fosse importante per noi parlare del peso che le donne sopportavano, volevamo dire che il futuro è qualcosa che appartiene a tutti.
Che impatto ha avuto la canzone?
Da quando il nostro movimento è nato (ed ora è pieno di giovani donne e giovani uomini), si sono cominciati a verificare cambiamenti nel Codice di Famiglia. Non voglio dire sia tutto merito nostro, non so effettivamente quanto abbiamo contribuito, ma dal video in poi nel 2005 ogni giorno il Codice di Famiglia era discusso sulla stampa algerina. Il dovere di una moglie di obbedire al marito è stato rimosso, e questa è una gran cosa. Le divorziate ora hanno la custodia legale dei loro figli; le vedove hanno visto finalmente le loro vite cambiare. La parte sul divorzio non è ancora egualitaria. Ad ogni modo, siamo felici dei cambiamenti che ci sono stati: significano che il Codice può essere cambiato, che alcuni articoli possono essere rimossi. Prima era un tabù, non potevi parlarne. Adesso non è più un argomento proibito.
Karim Metref (che è algerino e dunque…) mi prega di correggere: “Ouech dek ya l qadi”
(gli errori, se non sono gravi, fanno parte del gioco: lascio il titolo sbagliato tanto qui c’è la precisazione)