Associazionismo o controllo? Pensieri sui buoni pasto e…
… e su chi preferisce forme di solidarietà spontanee e conviviali
52esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega
Venerdì “Santo”, di pace: mattina, con coda lunga al Pam local, ma io sono fuori coda! O la borsa o la vita!
Incontro A. che ha un negozio sotto casa mia. La conosco poco ma è simpatica, per quelle poche volte che abbiamo scambiato due chiacchiere, soprattutto da quando è iniziato il Tempo della Corona. Ha due sacchetti pesanti pieni di roba da mangiare. Mi ferma e mi chiede, premurosa, se ho bisogno di un buono pasto. Mi dice (ma lo sapevo già) che l’associazione del quartiere di cui fa parte sta distribuendo buoni pasto. Conosco l’associazione e le sue logiche. Non sarei molto indulgente se dovessi parlarne.
Insomma credo siano tante le associazioni di quartiere che poi diventano congreghe di amici, spesso benestanti, che promuovono attività culturali ecc. con fondi e finanziamenti anche comunali… e qui ci sarebbe già una nota: una volta i comitati di quartiere erano assolutamente autogestiti e autofinanziati, spesso contro le Istituzioni, contro la militarizzazione. A volte si facevano le autoriduzioni: non pagavano l’affitto per protesta economica e sociale. Si occupavano le case sfitte ecc. Tanto per fare un po’ di spolvero della memoria. Adesso le associazioni di quartiere organizzano eventi con soldi comunali e può capitare che per un concerto paghino uno o più musicisti poco o niente o chissà quando… pur avendo tavolate enormi piene di persone che pagano non poco per mangiare e bere. Ci siamo capiti?
La signora allora mi chiede se voglio un buono. Io rispondo no. Aggiungo che se proprio accetto qualcosa è per uno spirito di scambio. Le racconto che il giorno prima ho comprato un po’ di ingredienti per una mia vicina di casa che ha fatto la torta e l’abbiamo condivisa. Così ho fatto con un’amica che ha il bar: mi ha dato dei salumi visto che il bar è chiuso e io li ho condivisi con gli inquilini del palazzo. Stessa cosa ho fatto con una teglia di pesce fritto data da un amico che ha la gastronomia.
La signora mi dice che va bene così.
Poi per curiosità le ho detto: prendo un buono se me lo dava ma così a livello informale. Allora lei ha chiesto nome e cognome per segnarlo in una lista, al che le ho detto «lasciamo perdere» ed è finita così.
Questo elemento è interessante: “se ti diamo un buono pasto devi rientrare, in un certo modo, in una lista”. A che scopo? Per segnalarti come “bisognoso?”. Perché questi buoni ve li ha dati il Comune e dovete segnare i nomi di quelli che ne usufruiscono? (Torna l’elemento strano: ma un’associazione di quartiere non dovrebbe essre fuori dalle istituzioni?).
Andiamo all’altra realtà possibile. Verso la fine di marzo ho incontrato una signora di 80 anni al supermercato. Le ho dato una mano a portare il sacco della spesa fino a casa sua, non più di 300 metri. Nel tragitto ci siamo anche seduti a godere il sole anche perché lei voleva riposarsi. Seduta stante ha comprato una copia del mio libro. E poi mi ha detto: «Io voglio uscire, non riesco a stare sempre a casa, voglio prendere aria, anche poca. Il mio medico mi ha dato una bottiglia di vino buono, questo non dovrei dirtelo, e mi ha detto di bere un bicchierino ogni sera, come uno sciroppo». Io avevo sorriso dentro di me e pensato che alla fine di febbraio avevo comprato a pochissimo prezzo una bottiglia di grappa ma l’ho finita a inizio di aprile, a piccoli sorsi!
In una testimonianza storica del periodo della febbre detta spagnola, che fece milioni di vittime tra il 1918 e il 1920, ho letto unsa storia simile: un bambino diceva che suo padre curava tutta la famiglia con la grappa.
Torno alla signora A. per completare il quadro. Mentre lei se ne andava con i suoi sacchi carichi, un ragazzo che passava chiese se poteva aiutarla. Gielo chiesi anche io, pur se so che lei abita a poche decine di metri. Lì mi venne una piccola illuminazione: se lei mi avesse chiesto di portarle i sacchi a “ricompensarmi” sarebbe bastato un pezzettinoo di formaggio. Ma così si sarebbe creata un’altra realtà. In quel caso anziché “creare” lei si è adagiata alla solidarietà ufficiale che invece distrugge quell’altra possibilità di scambio, di convivialità, appunto di creatività.
Questo la dice lunga sulle logiche assistenziali di tante associazioni culturali o di quartiere. Tempo fa ascoltai la testimonianza di un mapuche che raccontava le lotte in Argentina e Cile. Mi è rimasta impresso un pezzo della testimonianza: diceva che lo Stato aveva imposto di costituirsi in associazioni culturali alle persone militanti e attive per poter essere più controllati e controllabili. Ed è proprio così: lo scopo di molte associazioni è controllare le realtà sociali che agiscono nel territorio, con il paradosso che un’associazione nasce prevalentemente per promuovere l’autogestione spontanea e poi si ritrova a fare il contrario.
Se ci associamo dobbiamo come minimo aiutarci fra di noi senza passare dalle istituzioni: se no che ci associamo a fare? Meglio fare da soli o tuttalpiù andare direttamente a chiedere al Comune o all’istituzione che sia.
A proposito: tutto ciò negli ultimi anni è successo anche a livello di offerta culturale. Mi diceva un artista torinese sessantenne che ho incontrato in Liguria: «fino a 15/20 anni fa andavi a parlare con un assessore per proporre uno spettacolo, e se c’era una certa sensibilità avevi spazio e anche soldi. C’erano gli intrallazzi per carità, però negli ultimi 15 anni c’è uno “spostamento di delega”: ci sono certe associazioni culturali, di cui è “responsabile” un soggetto spesso furbo, maneggione, ammanicato o, ben che vada, non disinteressato e comunque anche lui artista, che non solo monopolizza spazi e soldi (in Liguria dove abitavo ho presente il tipo a capo di un’associazione teatrale, e adesso penso a lui) ma fa il brutto e il cattivo tempo, così l’Assessore se ne lava le mani, e la qualità dell’offerta culturale, ovviamente, scende». Ho riassunto il suo pensiero e sono d’accordo con lui. E so di altre implicazioni e ipocrisie che racconterò un’altra volta.
Un’altra osservazione: la signora che ha sacrificato la convivialità spontanea alla solidarietà finta (non è la sola, comunque è una persona alla quale voglio bene, credo sia affettuosa e simpatica) guardo caso è una di quelle che se le propongo un piccolo gesto, come potrebbe essere comprare un mio libro si tira indietro dicendo che non ha soldi o con altre scuse.
Non è un caso se altre due persone viste in questi giorni danno una testimonianza simile. Uno ha 60 anni e ha la pensione di invalidità. Ha visto tre mie spettacoli e due volte ha anche mangiato e bevuto, ha pagato una cifra minima a stento sufficiente per il cibo e le bibite, pur potendo non ha mai comprato un mio libro o cd! Anche lui, soprattutto dopo l’inizio del Tempo di Corona, ha cominciato a “spingermi” (a parole) verso il Patronato per chiedere assistenza e sussidii varii. Della serie: a me non importa se tu riesci a vivere bene con quello che produci e hai; a me importa coprire il senso di colpa o la mia mancanza (di un piccolo gesto) e così facendo mi metto in pace con la mia coscienza. Io prendo soldi dallo Stato ma non ti darò mai una piccolissima cifra per sostenerti e avere in cambio parte della tua poesia e della tua “bellezza”. (A tal proposito ascoltate la canzone Vomito di gioia, del cd «Eremo in canto»). Anche in questo caso: controcanto. Una signora al parco vicino casa mia, a metà marzo: anche lei mi ha detto che prende la pensione di invalidità, però quando le ho cantato una canzone con la chitarra – a due metri di distanza – senza conoscermi ha preso un mio libro, lo ha sfogliato e comprato subito! Ha bruciato le tappe e i tappi!
PS. Per quanto riguarda la deriva dell’associazionismo e delle associazioni di quartiere, ci sarebbe da fare un libro! Nella mia tesi di laurea (1997) sugli aspetti culturali degli emigrati italiani in Belgio veniva fuori chiaramente la funzione sociologica delle associazioni culturali di emigrati italiani: il presidente era spesso una figura carismatica che acquisiva prestigio e visibilità grazie alle attività dell’associazione, e lo faceva soprattuto per questo, anche perchè in un territorio in cui si è stranieri così si acquisiscono anche privilegi o comunque vie preferenziali per promozioni sociali e politiche.
QUESTO APPUNTAMENTO
Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]
L’IMMAGINE – scelta dalla “bottega” – è di un romanzo straordinario (ma pochissimo letto purtroppo in Italia) sia per trama che per scrittura: Nuruddin Farah ha saputo in «Doni» raccontare le tante ambiguità – a livello personale ma anche politico e sociale – del donare. Così la “bottega” ve lo consiglia a integrazione di questo bel ragionamento; anzi appena riaprono le biblioteche andate lì e cercate «Doni»… Così con i soldi risparmiati potete prendere l’ultimo cd di Angelo Madd, alena, che mentre voi leggete queste poche righe forse sarà il penultimo perchè Angelo è una fornace. A proposito il sottotitolo scherzoso è «lunedì dell’Angelo» dunque oggi è proprio il giorno giusto.