Attacco al Teatro della Libertà
Una parentesi su un mondo vicino, il vicino Oriente….
“Creazione sotto occupazione” avvisa la maglietta firmata dal Freedom Theatre di Jenin. Eppure Jenin è in zona A, quella che, secondo gli accordi di Oslo, è sotto pieno controllo, anche militare, dei palestinesi. Forse qualcuno è stato tratto in inganno, forse ha visto la maglietta e si è confuso. Comunque sia, dopo il recente assassinio di Juliano Mer-Khamis, direttore del teatro, attribuito a fondamentalisti islamici, questa volta è stato il turno dell’esercito israeliano a colpire. Nelle prime ore del 27 luglio, militari mascherati e pesantemente armati, dopo aver sfondato le finestre con grosse pietre, hanno costretto un terrorizzato guardiano a calarsi i pantaloni e sollevare la maglietta, mentre il fratello è stato ammanettato. Successivamente hanno arrestato o meglio, rapito, avendo agito al di fuori della legalità internazionale, Adnan Naghnaghiye, tecnico-capo e Bilal Saadi, presidente dell’associazione. Chi chiedeva spiegazioni è stato zittito e minacciato di esser preso a calci (ma i soldati avranno avuto il coraggio guardare negli occhi Juliano Mer-Khamis, che li fissava dal grande poster sul muro?). L’avviso sulla maglietta non mentiva: il teatro con tutto ciò che rappresenta in termini di libertà d’espressione, è ancora sotto occupazione. Sia mentale, da parte dei fondamentalismi, che militare, come si è appena visto. Perché il Teatro della Libertà non è solo un teatro, ma una fucina di cultura a tutto campo. Non serve solo a curare i traumi di guerra di tanti bambini, a dar sfogo alle loro paure, a incanalare la loro rabbia ma offre corsi di fotografia, di videoripresa, di scrittura creativa e di giornalismo. E, ovviamente, di recitazione. In più, è anche un centro di produzione video. Tutte cose di cui gli oppressori, a qualunque categoria essi appartengano, hanno davvero paura. Così come doveva far loro paura uno spirito libero come Mer-Khamis, che amava definirsi, essendo di origine mista, “palestinese al 100% ed ebreo al 100%”. Anche un ex leader delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa come Zakaria Zubeidi (unico sopravissuto dei “bambini di Arna” , ma questa è un’altra storia, da raccontare presto), che ha deposto le armi convinto che la lotta nonviolenta, da quel palcoscenico, sia più utile alla causa palestinese, deve suscitare inquietudine in certi ambienti. Con coraggio, superato lo shock dell’omicidio, la compagnia teatrale ha ripreso a gestire le varie attività e ha allestito un nuovo spettacolo. Alcuni membri dello staff, parlando ad un gruppo di visitatori italiani pochi giorni prima del raid, hanno affermato la loro volontà di continuare lungo il cammino già tracciato: “Hanno ucciso Juliano ma non potranno uccidere le sue idee e tutti i suoi amici” Nel frattempo apprendiamo dal loro sito www.thefreedomtheatre.org che l’esercito israeliano ha motivato la sua azione affermando che le persone imprigionate (tuttora senza la possibilità di incontrare un avvocato) avevano “agito contro la sicurezza della regione”.
Massimo Lambertini