«Attends, attends, attends (pour mon père)»
Susanna Sinigaglia racconta «Aspetta, aspetta, aspetta (per mio padre)» di Jan Fabre/Troubleyn interpretato da Eric Charron
Eric Charron, storico performer-danzatore di Jan Fabre, ci appare da capo a piedi in abiti rosso fiamma: camicia e pantaloni, cappellone a falde larghe e cupola allungata rotondeggiante. Lo vediamo di profilo, piegato in equilibrio instabile su una barca immaginaria che spinge con una lunga pertica, avvolto da pennacchi di vapore bianco che a tratti lo inghiottono completamente nelle loro volute, a tratti svaniscono quasi completamente.
Siamo di fronte al viaggio in continue metamorfosi di un figlio che accompagna il padre nel trapasso, lo traghetta fra la vita e la morte attraverso lo Stige, il mitico fiume infernale. Charron è il figlio che si contorce dentro i suoi conflitti, dà voce e corpo al suo delirio tra fantasie erotiche e figure grottesche, è Cerbero e Caronte (in francese, Charon).
Ma poi quando esce allo scoperto riemergendo dalla nebbia-fumarola di fronte al padre, si ricompone, diventa riflessivo.
Ogni volta gli rivolge un monologo che inizia con un’invocazione, “Père”; una preghiera, una supplica, un Pater noster diretto al padre terreno che lo sta abbandonando. Lui deve attrezzarlo per il viaggio e gli pone perciò, a ciascun incipit, una moneta su occhi, bocca, mani, piedi: il pegno da pagare per un passaggio non troppo crudele verso l’aldilà. È l’esperienza della morte di una persona amata che si vorrebbe rinviare, allontanare, e nello stesso tempo affrettare per vederne finire le sofferenze. Significa la fine ineludibile di un tempo che ha percorso la sua traiettoria e l’ingresso in un altro tempo sconosciuto, foriero di promesse ma anche di minacce. Il figlio si trova in bilico, sospeso fra una terra sicura e una incognita, che forse aspetta anche lui al di là del fiume benché a un approdo del tutto diverso. Questo insieme di tensioni, sentimenti, fibrillazioni attraversano il corpo di Charron, lo piegano come un fuscello.
La sua interpretazione è intensa, carnale, acrobatica, sul filo del rasoio, senza tregua; il momento lo incalza a inseguire fantasmi e follie, meditazioni profonde, slanci improvvisi finché ripreso il viaggio sulla barca lungo lo Stige, non svanisce nella nebbia col suo carico, ormai rassegnato a consegnarsi al destino.
http://www.triennale.org/teatro/troubleyn-jan-fabre-attends-attends-attends-pour-mon-pere/