Augusta, il peschereccio della morte: come è finita…
… dopo dieci giorni dal recupero del relitto?
di Domenico Stimolo
Sono passati 10 giorni dalla collocazione, in una apposita area attrezzata con una grande tensostruttura refrigerata nella rada di Augusta – “ Pontile Marina Militare” di Melilli – del relitto del grande peschereccio, sollevato di fatto dal fondo marino dopo una sofisticata operazione durata parecchi giorni. Giaceva a 370 metri di profondità con il suo grande carico di morte dal 18 aprile dello scorso anno, al largo della costa della Libia. I 20 profughi salvatosi riferirono di circa 700 persone inabissatesi nel fondale marino, rimaste intrappolate nell’imbarcazione a seguito della collisione con una nave mercantile. Il naufragio più grande consumatosi nel Mediterraneo negli ultimi 70 anni.
Un’azione di grande valenza civile. Una dinamica di intervento, molto ardua e complessa, senza precedenti per dimensioni, finalizzata al recupero e al riconoscimento delle vittime, quindi alla sepoltura. Per dare ai morti identità e dignità umana.
Dopo due/tre giorni le informazioni di merito sul recupero dei cadaveri sono scomparse dai notiziari televisivi e giornalistici nazionali. Nei giorni successivi ulteriori brevi note sono state riportate solo dagli organi informativi siciliani. Ora essenzialmente prevale il silenzio.
Certo, in quest’ultima settimana molti altri cadaveri freschi, frutto di morte violenta, sono “emersi” in molti altri luoghi del mondo, rimbalzando in prima pagina. Che poi è la «prima pagina» solo a volte. I morti, in funzione delle aree territoriali, vengono divisi sempre in variegate classi di appartenenza. C’è chi merita il titolone, chi due righe, chi nulla. Per i dispersi nelle tante “polveriere” del mondo l’interesse è basso, la nostra informazione è strutturalmente monocentrica… lo sguardo è rivolto in maniera assolutamente preponderante verso la parte occidentale e talora sui presunti alleati di cordata. Gli abitanti di Gaia Terra sono spesso considerati paria, tranne cataclismi eccezionali che consentono le lacrime di coccodrillo.
In un ripetitivo “mantra” che distilla veleno si parla di “stranieri”; bambini, donne e uomini senza volto, privi di identità e affetti… nessuno dei loro cari li aspettava al porto di approdo.
In quel «peschereccio della morte» a oggi sono stati recuperati oltre duecento cadaveri, ormai scheletrificati, molti i bambini. Trasportati nelle celle frigorifere per essere esaminati dai medici legali. Scene tremende e inimmaginabili hanno accolto gli operatori che scandagliano i locali del peschereccio. I resti dei corpi accatastati e avvinghiati nell’ultimo respiro.
Gli interventi operativi hanno come specifico riferimento la struttura denominata Campo Base, Modulo di Supporto Logistico (MSL) e sono condotti dal Labanof – ovvero laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense del dipartimento di Morfologia Umana e Scienze Biomediche Medicina legale dell’università di Milano – e dai Vigili del Fuoco, principalmente siciliani, supportati dal comando di Teramo che è dotato di un attrezzatissimo Carro Area. Il Campo Base è stato realizzato e gestito dai Vigili del Fuoco. L’azione di intervento viene effettuata seguendo le linee guida del Piano di Lavoro Operativo (messo a punto già dall’inizio del mese di aprile) che definisce l’organizzazione di lavoro, i livelli di sicurezza tecnici, fisici e psicologici.
Le squadre di primo intervento sono coadiuvate da specifici operatori addetti alla rimozione dei materiali schiantati durante il naufragio e al taglio delle lamiere, per permettere l’accesso ai vari locali della nave. Ogni unità addetta al recupero dei cadaveri, costituita da due vigili del fuoco, viene affiancata da un altro consistente gruppo (tra cinque e sette) con funzione di “sentinella” e con abilitazione Speleo Alpino Fluviale. Particolare attenzione viene rivolta alle attività di “vestizione, sanitizzazione e svestizione” al fine di annullare gli eventuali rischi di contaminazione biologica. Inoltre ogni coppia di Vigili del Fuoco dopo un intervento di 30 minuti dispone di una fase di riposo e recupero, senza rigidità protocollari.
Tutte le operazioni sono coadiuvate in tempo reale dal Centro di Documentazione Video, con la messa in opera di telecamere telescopiche intromesse nelle stive, per tutelare gli operatori e tenere sotto controllo il contesto dell’azione. Infine si affiancano in maniera determinante le strutture dei Vigili con funzioni direttive e di controllo del Piano operativo.
Uno sforzo di intervento, un clima di solidarietà e umanità, eccezionale, da parte del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, con la partecipazione attiva di quasi 100 operatori. Essenziale il ruolo del Labanof, coordinato dalla dottoressa Cristina Cattaneo, rivolto ad acquisire nelle ispezioni effettuate dai sanitari – medici legali e antropologi forensi di diverse università, in particolare di Catania e Palermo – tutte le informazioni utili per costruire una “banca dati” che consenta di dare identità ai corpi recuperati, con il supporto fondamentale di componenti del ceppo parentale. Per ogni individuo viene creato un dossier personale costituito da elementi qualificanti: campione di dna, fotografie degli indumenti e di tatuaggi, oggetti presenti nel corpo, protesi, verifica delle arcate dentali. La documentazione elaborata è messa a disposizione delle strutture associative umanitarie e degli organismi pubblici preposti, compreso le strutture della Croce rossa italiana e internazionale e della Mezzaluna rossa, confidando che la diffusione delle notizie sulla soggettività dei corpi possa trovare riscontro con le famiglie, determinanti per il riconoscimento.
Queste attività scientifiche “introspettive”, applicate per la prima volta nel riconoscimento dei 366 annegati del naufragio accaduto il 3 ottobre 2013 vicino a Lampedusa, permisero il riconoscimento di 20 annegati. Gli altri, a centinaia, sono stati sepolti in cimiteri siciliani (la gran parte ad Agrigento). Ogni singola “posizione” è contraddistinta solo da un numero. Nel cimitero di Catania il quattro marzo di quest’anno, in una apposita piazzola allestita in un’area centrale, sono stati tumulati i resti dei 17 profughi/migranti annegati davanti al porto il 14 maggio del 2015. Non ci sono nomi!
Un dato è ormai certo. Nel corso dei quindici mesi dal tragico naufragio del 18 aprile 2015 molti cadaveri giacenti nella stiva del peschereccio sono stati definitivamente risucchiati dalla acque del Mediterraneo. Dispersi e frantumati. All’inizio del recupero i corpi si stimavano in 250-300.
Il mare chiamato baldanzosamente “nostrum” è colmo di cadaveri. Dal 2010 ad oggi, da parte delle organizzazioni internazionali si contano 13.000 morti. Un enorme “peso umano” di grandissimo dolore: bambini, donne e uomini, affogati per sfuggire alle guerre e per cercare di raggiungere una vita migliore, senza fame, carestie, dissesti ambientali……. e libertà.
Una vera e propria moria di “pesci” umani.
LA VIGNETTA è di ENERGU