Autonomia regionale differenziata…
… un rischio da sventare per sanità pubblica e salute.
a cura di Medicina Democratica (*)
L’autonomia differenziata fa già male alla sanità e, ove approvata, farà del male ai diritti dei cittadin* aumentando le diseguaglianze tra regioni e anche all’interno della stessa regione (la Lombardia insegna !!)
Data l’importanza dell’argomento anche per l’avvicinarsi alla scadenza elettorale, anticipiamo, in una versione web, un contributo di Gianluigi Trianni sul tema della autonomia differenziata, sanità pubblica e salute che verrà pubblicato su uno dei prossimi numeri della nostra rivista.
Premessa
Siamo in campagna elettorale e per la sanità, e la salute, l’autonomia regionale differenziata è un rischio tanto sottaciuto quanto immanente.
Anzi, un danno immanente.
La “regionalizzazione” della sanità in Italia è stata statuita dall’art.117 della Costituzione adottata il 27.12.1947 in attuazione del progetto avanzato dal CLN Alta Italia nel 1945.
“il decentramento regionale delle funzioni sanitarie e assistenziali, l’unificazione dei servizi di sanità pubblica e di assistenza sanitaria, nell’ambito del Ministero della Sanità, l’erogazione a livello locale delle prestazioni sanitarie ed assistenziali ad opera di organismi unitari” (Augusto Giovanardi, Medicina e Cultura, 1981) è stato lo strumento per il superamento del sistema mutualistico (sanitario e assistenziale) vigente prima e durante il fascismo.
La materia “Beneficienza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera” era affidata alla attività legislativa delle regioni “nei limiti fondamentali stabilititi dalle leggi dello stato, sempreché le norme stesse non siano in con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni”.
Tale regionalizzazione si inseriva, e si inserisce tutt’oggi, però nel disegno istituzionale definito dall’art. 5 della Cost: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo [118]; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento [114 e segg., IX].”
Trascinatosi per altri tre decenni dopo la Seconda guerra mondiale il sistema mutualistico, in relazione alle modificazioni del tessuto sociale, allo sviluppo delle tecniche e delle forze produttive e al progresso tecnologico della medicina, aveva accumulato insostenibili costi finanziari incompatibili con la sua esistenza, manifestato totale inadeguatezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie e determinato ingiuste ed insopportabili diseguaglianze tra classi sociali ed ambiti territoriali.
Solo con la legge 833 del 1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale si pose fine all’assetto mutualistico e si diede forma di legge non solo alle istanze del CNL e dei Costituenti, ma anche ad un quadro organico delle relazioni in sanità tra Stato Centrale (Parlamento e Ministero della Sanità), Regioni ed Enti Locali (Provincie Comuni e più recentemente, Città Metropolitane).
Come ben sappiamo, prima ancora della sua piena attuazione, la 833/’78 è stata deformata in senso neoliberale, in successive ondate, ipocritamente definite “riforme”, col fine di privatizzare il Servizio Sanitario Nazionale e ridurre il costo del diritto fondamentale alla Salute (art.32 Cost.) a carico del Bilancio dello Stato.
L’ultimo in ordine di tempo è il mancato ripiano del governo Draghi alle Regioni dei costi Covid.19/ correlati 2020 – 2021.
Uno degli strumenti di questi obbiettivi neoliberali in sanità, ed anche nelle altre materie previste nel 3° comma art. 116 Cost. di cui sopra, è il disegno, in questi giorni dichiarato dalla coalizione di centro destra e finalmente ostacolato nei comizi delle altre coalizioni e partiti rappresentati in Parlamento e nelle amministrazioni di Regioni ed Enti Locali, di attuare decentramento amministrativo e promuovere autonomie regionali e locali, in contrasto con l’unità e la indivisibilità della Repubblica (art.5).
Tale unità ed indivisibilità non si sostanzia sul piano meramente territoriale ma, in tutta evidenza in primo luogo, nel riconoscere e garantire i diritti dei cittadini e richiedere ad essi l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (Art. 2), e nel perseguire il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitano di fatto la libertà` e l’eguaglianza dei cittadini (Art. 3).
Questo essendo il fine della “leale collaborazione” tra gli enti che la compongono, Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. (Art. 114)
Tali fini costituzionali, se disattesi nei fatti politico amministrativi, come frequentemente avviene, vanno riaffermati sempre, non certo inficiati con iniziative legislative che ne impediscano la completa attuazione come nel caso dell’attuazione dell’autonomia regionale differenziata, ex 3° comma dell’art.3 della Cost., interpretata e rivendicata in funzione di un Federalismo che la Costituzione, non prevede, e che quindi nei fatti risulta eversivo.
Anche per la Salute.
Quanto segue, non è la sintesi completa delle ragioni che impongono di opporsi alla attuazione, nello spirito e nei fatti incostituzionale, dell’autonomia regionale differenziata ex comma 3 art.116 Cost. come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 («Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione»), in particolare per la sanità.
Quanto segue è un tentativo di segnalare alcune argomentazioni, e solo per cenni generali, a fronte della loro vastità e complessità in termini di diritto, costituzionale e amministrativo, di politologia, di politiche fiscali e di politica ed economia sanitaria…
Puoi scaricare o leggere il rimanente testo qui
trianni autonomia differenziata web
Qui slides riassuntive
2022.09.15 G. Trianni No AD Bologna 15.09.2022
(*) Link all’articolo originale: https://www.medicinademocratica.org/wp/?p=13435
È argomento questo sul quale mi sono speso più volte e continuerò a farlo. Forse per venire incontro ai miei personali sensi di colpa nell’aver votato a favore della regionalizzazione nel reeferendum per la riforma (abolizione?) del titolo quinto della Costituzione. Al momento quella scelta aveva i suoi perché: la capacità centrale di governare la sanità (in particolare la spesa per farmaci ma anche quella ospedaliera) era stata messa in dubbio da una pluralità di scandali. Non ultimo quello Poggiolini tanto clamoroso all’epoca quanto dimenticato oggi. Spostare gli assi del governo sanitario sulle realtà locali maggiormente in grado di ascoltare il polso del loro sistema sanitario, sembrava una cosa buona. Così non è stato perché nel giro di meno di un anno già eravamo dinanzi a un vero e proprio disastro: da una sanità nazionale a una sanità regionale, anzi a ventuno sistemi sanitari diversi per qualità e livello di prestazioni. Avrebbe dovuto essere adottato lo strumento dei Lea, i livelli essenziali di assistenza ma, nella realtà quelle previsioni finiscono costantemente col rimanere sulla carta e si è assistito, via via, a un vero e proprio “contingentamento” della sanità (ne parlava già il Censis negli anni ’90). Una per tutte: si pensi solo al problema delle liste d’attesa. Cosa mai le giustifica? La carenza di personale?, La scarsità di mezzi? Sarà. Ma a farne le spese sono sempre e soltanto i cittadini. Non mi soffermo poi sulla disponibilità dei farmaci salvavita. In particolare quelli antitumorali: approvati dall’Aifa, quindi – in teoria – disponibili a tutti sull’intero territorio nazionale, spesso vengono introdotti nei Prontuari regionali con ritardi incomprensibili. Costano troppo? Allora si intervenga sul prezzo. Ma si tolga questa competenza ai comitati regionali cui spetta il compito di approvarli. Mi fermo qui perché le soluzioni a questa situazione tragica (si pensi per segnalare un’altra falla del sistema, all’emigrazione sanitaria che spinge tanti cittadini del centro-sud a spostarsi verso il nord del Paese per ricevere cure adeguate) ci sarebbero. Ma nessuno (dov’è la sinistra?) sembra prendere a cuore la salute della popolazione. Che intanto invecchia a vista d’occhio e diventa sempre più bisognosa di assistenza sanitaria. Già. Perché parlare di prevenzione a una popolazione di ultra sessantenni può apparire provocatorio…