Autori vari [molti], Bradley, De Giovanni, Lenzi, Pulixi, Recami, Triches e “Napoli nera”
9 recensioni giallo/noir di Valerio Calzolaio
Aa Vv
«Giochi di ruolo al Maracanà»
edizioni E/O
238 pagine, 16 euro
Verso Rio de Janeiro. Agosto 2016. Nove autori e/o incrociano i propri personaggi seriali con la prossima vicenda olimpica. Massimo Carlotto (Alligatore e soci cercano Pellegrini e vengono distratti da un giro eno-noir in Abruzzo per salvare qualcuno in Brasile), Paolo Foschi (Igor Attila e Titta son tornati dal Canada con i tre gemelli dell’utero in affitto ma lui deve affrontare casi di atleti vari e andare laggiù a tirare di boxe), Carlo Mazza (capitano Bosdaves), Luca Poldelmengo (Vincent e Nicolas Tripaldi, della Red), Piergiorgio Pulixi (Biagio Mazzeo, dal Messico alle favelas), Roberto Riccardi (tenente Rocco Liguori), Patrizia Rinaldi (sovrintendente Blanca Occhiuzzi), Matteo Strukul (la vendicatrice ostaggio Mila Zago), Massimo Torre (Pulcinella, giustiziere hacker) perlopiù in prima hanno raccolto in «Giochi di ruolo al Maracanà» racconti sul lato oscuro dei Giochi: intrighi e scommesse, doping e ricatti, sempre con spunti reali.
Letizia Triches
«I delitti della laguna»
Newton Compton
344 pagine per 9,90 euro
Venezia. Febbraio 1990. Terzo capitolo della serie dell’esperto d’arte e famoso restauratore fiorentino Giuliano Neri, prima sull’Arno, poi a Roma, ora in laguna. Viene chiamato per lavorare sui dipinti di Alvise Volpato, una collezione privata; in realtà è la brava commissaria Chantal Chiusano ad aver bisogno di collaborazione, visto che l’amante di Matilde Volpato, bellissimo Moro chitarrista bluesman, è stato trovato cadavere incaprettato. Letizia Triches è una docente e storica dell’arte, da dieci anni autrice di racconti e romanzi (già 5) di genere, capace di narrare acuti risvolti relazionali e individuali scelte criminali nel mondo di cui è competente e appassionata. Ne «I delitti della laguna» pittura e musica, colori e suoni, sono il vero filo della narrazione, tra falsi dipinti e guardoni professionali.
Umberto Lenzi
«Cuore criminale»
Golem
222 pagine, 15 euro
Roma. Autunno 1947. Bruno Astolfi è il detective dei divi, ormai lavora sempre a Cinecittà. Dopo qualche anno di fidanzamento, da meno di sei mesi si è sposato con Elena, l’ex compagna del fratello Luigi, esule che perse la vita in Spagna, nell’estate del ’38, dalla parte giusta, avevano avuto Anna ormai 13enne. I neo coniugi vivono in via Gregoriana (vicino Trinità dei Monti) al piano sopra l’atelier di moda di lei. Lui ha un secondo appartamento di 60 mq adiacente all’ufficio dell’agenzia d’Investigazioni in via Piemonte. Bruno tirava di boxe con successi agonistici fra dilettanti (ora gli fa spesso comodo), giocava a tennis amatoriale, era poliziotto finché fu radiato dai ruoli del ministero degli Interni (per non essere iscritto al Partito Nazionale Fascista) a causa della denuncia di Vito Patanè, ora superficiale commissario capo della squadra Mobile. Di origini pratesi, ex collega di ginnasio di Malaparte, Bruno piace molto alle donne (e ogni tanto ci prova), gira con una Lancia Aprilia, fuma Camel, beve fernet continuamente e ovunque (solo o aggiunto a ogni altro intruglio, a stomaco pieno o vuoto). Sul set di “Cuore”, tratto da De Amicis, mentre Coletti dirige, De Sica e Mercader (fra gli altri) interpretano, sono state trovate polizze appartenenti a una contessa, figurante del film, poi rinvenuta strangolata nella villetta dei Parioli (dopo una sodomizzazione forse consensuale). Seguono altre morti (subito la sarta), attentati, effrazioni, incendi, mercato di foto porno, finché Bruno capisce. E rischia ancora.
Il mitico grande regista Umberto Lenzi (Massa Marittima, 1931) iniziò nel 2008 a narrarci le peripezie gialle e cinematografiche di Astolfi, prima avventura ambientata nel novembre 1943. Ora è giunto alla sesta avventura, gli stabilimenti di Cinecittà sono stati ormai restaurati e riaperti sulla Tuscolana, teatri e studi di posa hanno ripreso piena operatività, “Cuore” fu davvero il primo film lì girato nel dopoguerra. La serie si ispira con garbo al Toby Peters di Stuart Kaminsky (più sfigato l’americano), testo in prima persona, incontro con personaggi famosi reali (non solo nel mondo del cinema: qui fra gli altri Andreotti, Mitri, Pratolini e il comizio di Togliatti), mille citazioni e rimandi. Il giallo è simpatico, delicata la parodia letteraria, precisa la ricostruzione produttiva dei film, documentata l’invettiva sociale (ora non più solo antifascista), deliziose ed esagerate le macchiette. Da vari altoparlanti si ascoltano tutte le canzonette in voga al tempo, almeno una quindicina, da Claudio Villa a Natalino Otto, da Rita Hayworth a Glenn Miller, le parole intrecciate con la vicenda. Il fatto è che le avventure successive alla prima risultano sempre meno efficaci, i dialoghi appaiono un poco ripetitivi, per quanto l’adrenalina già fosse riconoscibile si perde lo smalto iniziale se si fa il verso sempre alle stesse realtà e comunità. A Vicolo del Cinque c’è un ottimo falsario. Gran cena casalinga di pesce con Prosecco di Valdobbiadene; al ristorante di Fiumicino zuppa di mare con Vermentino sardo. Ma anche Pommery e Cordon Rouge (lo stressante viaggio di nozze era stato a Parigi).
Alan Bradley
«Flavia de Luce e il delitto nel campo dei cetrioli»
(originale 2009, traduzione di Stefania Bertola)
Sellerio
428 pagine, 14 euro
Bishop’s Lacey (fittizia England). Tarda primavera 1950. Flavia, 11enne di nobili origini, occhi azzurri e freddi, udito sopraffino, talento per la chimica (si è attrezzata un magnifico laboratorio), vive nella tenuta di Buckshaw, a sud del villaggio e gira con la fida bicicletta Gladys. La madre è morta in un’escursione in Tibet dieci anni prima. Il babbo, colonnello con baffetti, è un collezionista filatelico in ristrettezze finanziarie. Le sorelle Ophelia Feely 17enne e Daphne Daffy 13enne, ferocemente scherzose, la chiudono nell’armadio ma lei riesce a liberarsi e freddamente si vendica, mentre risolve pure misteri antichi e recenti. Con il romanzo “Flavia de Luce e il delitto nel campo dei cetrioli” ebbe inizio pochi anni fa l’osannata serie del canadese Alan Bradley (Toronto, 1940) in prima, giunta ormai a sei avventure (5 tradotte). Questa vinse premi come miglior esordio, mescolando una maliziosa protagonista bambina con un ingegnoso intreccio classico.
Aa Vv
«Stesso sangue»
Einaudi
212 pagine, 17 euro
Ambientazioni diverse per i quattro bei racconti di cinque straordinari autori Einaudi raccolti nello «Stesso sangue». Appennino bolognese, 1938. Laborde, Texas, ora. Botswana orientale, fine Novanta. Bologna, poco fa. I primi due sono racconti lunghi: Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli raccontano un caso di Santovito alle prime armi, maresciallo 27enne inviato a capire come è morto uno studente fascista abituato a braverie varie con i suoi compari e finito giù per una scarpata con l’Isotta. Joe Lansdale fa indagare l’intera squadra (Hap e Leonard con Brett e Chance) sul cliente che vuole venga recuperata la salma del cagna della madre dal tizio che l’ha dissotterrata e lo ricatta. La storia di Jo Nesbø (è del 1999) tratta di un padre e un figlio alle prese con i serpenti. Marcello Fois narra del commissario Sanzio disperato dopo la morte della moglie. Scritture notevoli, lettura estiva.
Piergiorgio Pulixi
«Prima di dirti addio»
edizioni e/o
310 pagine, 18 euro
La Giungla, metropoli lombarda. Novembre 2015. Il pluridecorato ispettore superiore della Narcotici Biagio Mazzeo, 95 chili, collo taurino e mani tozze, magnetici occhi celeste artico, espressione spesso imbronciata con improvvisi disarmanti sorrisi, sfrontato capo di un Branco di poliziotti corrotti criminali, è ancora alle prese con le conseguenze del violentissimo scontro con lo spietato potente mafioso ceceno Sergej Ivankov, ex leader della guerriglia e re di Grozny. Vatslava Ivankov, la donna del capo lo ha vendicato portandogli via tutto, vari killer la perseguitano ovunque nel mondo, ora Biagio vuole solo vederla o saperla morire lentamente. Per trovarla lui si affida alla ‘ndrangheta e loro lo usano cinicamente quando in Colombia il bravo procuratore aggiunto della DDA di Reggio Calabria Antonio Gualtieri (da 26 anni sotto scorta) fa arrestare Roberto Pagani, narcobroker internazionale di altissimo livello, al soldo di chiunque gestisce traffici di droga o di armi. S’intensificano le guerre, di mezzo Cia e Fbi, agenzie antidroga e servizi segreti, soprattutto il cartello di Sinaloa con El Chapo appena evaso dal carcere federale messicano. Ricatti e tradimenti, stragi e torture, ingiustizie pubbliche e private vedono Biagio restare progressivamente sempre più solo e disperato, preda di fantasmi e rabbia. I suoi amici criminali e fratelli di vita, la madre Miriam del suo piccolissimo figlio Matteo, la gelosa innamorata Donna, tutti vengono travolti da una vicenda tragica e feroce, con al centro la nuova criminalità organizzata del capitalismo finanziario, tutto documentato.
Quarto e ultimo romanzo della serie del poliziotto “nero” per il bravo e maturo Piergiorgio Pulixi (Cagliari, 1982), allievo di Carlotto e pure padovano d’adozione, in terza varia su molti delle decine di protagonisti. Come nei gialli, il volume si apre con l’elenco dei personaggi, tutti con biografie che si intrecciano pericolosamente: i dodici del Branco; i 7 della “Giustizia” non solo italiani, più o meno sani o bacati; le 7 donne in qualche modo intorno a Biagio; i 4 stranieri; i 4 potenti collegati ai capi di “Mamma” ‘ndrangheta. Sette di loro erano già morti nelle precedenti avventure, almeno la metà dei restanti decede durante questa. Non sono molti i Paesi per (noi) vecchi. Ormai il crimine è multinazionale e si intreccia con concorrenze e conflitti fra gli Stati, alimentando il circolo vizioso tra affari e certa politica, tra mercato nero delle armi (funzionale a quasi tutti) e banche compiacenti (pubbliche e private). In questo quadro almeno l’Italia ha “la migliore e più rigida legislazione antimafia”. Ambientazione intercontinentale. Il titolo dell’intero libro è anche quello dell’ultimo degli undici capitoli (a parte prologo in Cina ed epilogo nel deserto texano). Pagani è abituato a mangiare in ristoranti da almeno due stelle Michelin, all’occorrenza spazzola alla grande pane e formaggio. La colonna sonora è minuziosamente citata in appendice: presenti non solo album citati durante la narrazione, nessun italiano, molto Johnny Cash ed Etta James, la ragazzina prostituta in partenza per Berlino ascolta “Shells of Silver” dei Japanese Popstars.
Francesco Recami
«Morte di un ex tappezziere»
Sellerio
312 pagine, 14 euro
Milano, Casoretto. Autunno. Prima della cremazione, è in corso il funerale di Amedeo Consonni, un pensionato di 66 anni, ex tappezziere, vedovo di Luigina (morta 8 anni prima), padre di Caterina (coniugata e separata), nonno del piccolo affezionato Enrico (5 anni), collezionista di ritagli di cronaca nera, quasi fidanzato di Angela, entrambi inquilini di una casa di ringhiera dove in tempi recenti erano avvenuti continui strani misteriosi avvenimenti nei loro e in altri appartamenti. Alle esequie sono presenti il commissario Ametrano e un paio di agenti dei servizi, era stato ucciso da colpi di fucile mitragliatore, sembrava una vera e propria esecuzione, quasi tutti si domandano chi lo voleva morto. E perché. La scena si sposta a qualche settimana prima, quando Angela era dalla figlia Giulia a Bruxelles e ad Amedeo, in attesa di giudizio per una rapina a mano armata (di una bici) capitò d’innamorarsi. L’oggetto del desiderio, fra istinto protettivo e sorprendente libidine, era una barista ceca, Svetka, slanciata e formosa, occhi azzurrissimi, voce calda, sorriso smagliante, soprattutto tanto gentile. L’infatuazione cresceva, cieca e infantile, non crollò nemmeno quando Amedeo scoprì che in realtà lei avrebbe voluto fuggire dai cattivi violenti crudeli magnaccia che gestivano la villa dove da vari anni era costretta a prostituirsi. È a quel punto, anzi, che la vicenda s’ingarbuglia. Nella casa di ringhiera avvengono strani passaggi di droga, qualcuno s’intrufola mettendo a soqquadro vari locali, il Consonni prova a nascondere Svetka e compra pure una pistola, se le va proprio a cercare.
Il bravo scrittore toscano Francesco Recami (Firenze, 1956) ha completato l’opera. Aveva annunciato fin dal principio (2011) che la serie sarebbe risultata di sei romanzi. Così è stato, uno per ogni anno, anche se la narrazione copre un intervallo più breve, dedicata a un curioso microcosmo milanese, la ventina di inquilini di un modesto edificio del primo Novecento, con una corte rettangolare e ringhiere di ferro battuto. Ecco il sesto e Consonni, protagonista (talora non unico) di tutte le storie, viene a mancare. Ai suoi pochi parenti, ai coinquilini (più o meno ipocriti), ai tanti lettori, a noi. Tutto l’efficace romanzo aiuta a farsene una ragione. Leggiadro e ironico come gli altri, capace di infilzare vari sottogeneri del “giallo” e del “noir”, come da ambizioso programma. Curato e forbito (con gli “egli” al posto giusto) in terza varia al passato. Equivoci e sospetti uniformano ogni evento, criminale o meno, così è in tutte le convivenze che si rispettino. Un corteggiatore propone all’inquilina Donatella di andare insieme alla presentazione milanese di “Morte di un ex tappezziere”, lei risponde no perché non saprebbe come vestirsi senza capire che i presenti saranno in tutto 7, compreso l’autore, in scarpe da montagna, e un paio di suoi parenti. Amedeo peraltro aveva ritagliato l’intervista al noirista sullo stesso libro: “la verità è un flusso di comportamenti, senza registro e classificazione”. Fortunatamente Angela gli porta Nesbø. Amedeo apre il Barolo per Svetka, si consola col Vecchia Romagna, ascolta sinfonica ma canticchia New Trolls e Profeti (“Era bella”).
Aa Vv (a cura di Diana Lama e Paolo Calabrò)
«C’è un sole che si muore»
Il prato
236 pagine, 12 euro
Campania. Quest’estate. Esistono (non solo in Italia) aggregazioni geografiche di autori di gialli e noir. Rivendicano giustamente la specificità territoriale della scrittura o dell’ambientazione. Una decina di anni fa nacque NapoliNoir e questo è il primo volume collettivo, undici racconti riferibili all’intera regione, fra la metropoli e l’area del vulcano, fra le coste cilentine e le rocche irpine. Curata e presentata da due componenti, Diana Lama (la presidente) e Paolo Calabrò, ironicamente intitolata alla pericolosa afa stagionale (“C’è un sole che si muore”) contiene storie inedite di altri nove sperimentati scrittori: Luciana Scepi, Ugo Mazzotta, Sibyl von der Schulenburg, Francesco Costa, Vittorio Del Tufo, Piera Carlomagno, Alessandra Pepino, Riccardo Fabrizi, Diego Lama (il racconto di quest’ultimo, “La casa triste”, ha vinto il Premio Tedeschi 2015).