Bambini che lavorano, 12 diritti
di Massimo Lambertini
L’ 11 marzo 2011 a Ginevra, durante la riunione annuale sui diritti dell’infanzia presso la Commissione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, Séverine, 17 anni, sarta e piccola venditrice del Benin, ha preso la parola. Delegata del Movimento africano dei bambini e giovani lavoratori (Maejt é l’acronimo in francese), ha richiamato i governi e le istituzioni a farsi carico di tutti quei bambini e adolescenti che, come lei, sono costretti a lavorare o, peggio, a vivere in strada, rischiando abusi di ogni tipo, una precoce tossicodipendenza o l’arruolamento in bande criminali. Spesso sono perseguitati dalle forze di polizia e persino imprigionati.
“Bisogna agire” ha detto con fermezza, ribadendo l’ugenza di allocare fondi per i centri d’accoglienza e di formazione professionale.
Séverine è una dei circa 240.000 menbri del Maejt, che è presente in 22 Paesi, soprattutto nelle regioni centro-occidentali.I semi di questo movimento furono gettati nel 1992, quando alcune giovanissime domestiche rimproverarono ai loro educatori di aver fissato una riunione proprio il 1° maggio. Considerandosi lavoratrici a tutti gli effetti, non vedevano il motivo di non poter partecipare ai festeggiamenti. Incominciarono ad organizzarsi, prendendo contatto con altri Ejt (Enfants et Jeunes Travaillers – bambini e giovani lavoratori) in modo da poter essere presenti (e ben visibili) nelle ricorrenze future.
E fu così che il 1° maggio 1994 le domestiche parteciparono alla parata insieme a lustrascarpe, facchini, caricatori di accendini e altri bambini e adolescenti che lavoravano nel settore informale. Portavano cartelli sui quali avevano scritto l’elenco dei loro problemi. La televisioni li ripresero e l’iniziativa ebbe un grande successo.
Si avviò rapidamente un processo che portò alla nascita del movimento, quando a Bouakè, in Costa d’Avorio, quello stesso anno, i delegati dei vari gruppi definirono una prima piattaforma rivendicativa, quella dei Dodici Diritti.
Il diritto ad una formazione per imparare un mestiere
Il diritto a rimanere nel proprio villaggio (a non emigrare)
Il diritto alla sicurezza sul lavoro
Il diritto a fare ricorso ad una giustizia equa
Il diritto al riposo per malattia
Il diritto ad essere rispettati
Il diritto ad essere ascoltati
Il diritto ad un lavoro non pesante e limitato (adatto alle nostre età e alle nostre capacità)
Il diritto alle cure sanitarie
Il diritto a imparare a leggere e scrivere
Il diritto a divertirsi e giocare
Il diritto ad esprimersi ed organizzarsi
Furono gli stessi Ejt a individuare ed esprimere quei bisogni, mentre gli adulti, gli educatori, li aiutarono solamente nella correzione degli errori.
Movimenti come questi sono gestiti dai bambini stessi: confrontandosi tra loro giungono a decidere in quale attività impegnarsi e come lavorare per i diritti dell’infanzia. Gli adulti sono presenti e accompagnano le attività ma non interferiscono nella partecipazione e nelle decisioni dei giovanissimi protagonisti. Uno dei concetti chiave è appunto il protagonismo dei minori, che si esprime in un contesto fortemente partecipativo e solidale. Chi li ha conosciuti non ha potuto non rilevare il grande senso di responsabilità verso gli altri, soprattutto se si trattava di delegati, cioè eletti democraticamente per rappresentare un gruppo a livello locale, a livello di città o nazionale. Così come è subito evidente la solida identità sociale che scaturisce dall’appartenenza al movimento.
Bambini e adolescenti che si auto-organizzano, che lottano non solo per difendere la loro dignità e i loro diritti, ma anche per quei coetanei che non hanno la stessa cosapevolezza nè la stessa autostima. Vogliono sensibilizzare la società perchè non si mandino più bambini in città alla ricerca di una fortuna che non c’è e perchè cessi il traffico della mano d’opera bambina impiegata nelle piantagioni. Consci della povertà che non lascia scampo e li obbliga a lavorare, reclamano il diritto a un lavoro degno e sono fieri di aiutare i loro genitori e i loro fratelli più piccoli. Orgogliosi di poter badare a se stessi, chiedono che le loro rivendicazioni siano ascoltate. E le indirizzano a noi e alle nostre isitutuzioni, qui nel ricco, incomprensibile Nord.
Sì al lavoro con dignità.
NO allo sfruttamento
Perché noi non siamo il problema, ma parte della soluzione
Affinchè le nostre voci siano ascoltate dal mondo intero
Berlino, maggio 2004 – 2° incontro del Movimento mondiale dei bambini e adolescenti lavoratori
N.B. nei paesi anglofoni l’acronimo corrispondente a Ejt suona Wcy mentre Nats è quello dei paesi di lingua ispanica.
Per approfondire: www.maejt.orgwww.ifejants.org, http://www.italianats.org/africa.php
Mi piace l’articolo in quanto chiarisce la posizione del movimento africano EJT nel contesto mondiale del movimento bambini lavoratori. Condivido l’intenzione dell’autore di far chiarezza sulla necessità del lavoro per questi bambini, in quanto il mondo ricco potrebbe non intendere questo bisogno, e anche se con intenzione positiva, potrebbe negare la necessità del lavoro per i bambini, spingendoli così in situazioni ancora più precarie.
già, infatti nel commercio equo, che è il mio lavoro, per anni si è discusso, anche insieme a questi gruppi di ragazzi, sulla necessità di permettere un lavoro dignitoso, come da loro richiesto, e rispettoso del loro essere molto giovani, bambini. ci raccontavano come altrimenti le loro famiglie e loro stessi avrebbero avuto problemi a trovare cibo e avrebbero dovuto farsi schiavizzare o essere arrestati (e spesso picchiati) dalla polizia perchè è illegale lavorare per strada per i ragazzini…
è un discorso complesso e realistico…. sentire ragazzini che ti dicono che tu pensi bene ma loro se non lavorano non mangiano.. e vedere come fare a non danneggiarli nel tentativo maldestro di difenderli