Banca Valsabbina e RWM Italia: chi finanzia le bombe…
… e dunque le stragi in Yemen
di Campagna Banche Armate
«E’ tempo di fare chiarezza sui rapporti tra Banca Valsabbina e RWM Italia, azienda che produce ed esporta all’Arabia Saudita le micidiali bombe della classe MK 80: sono ordigni che vengono impiegati dall’aeronautica militare saudita in bombardamenti che hanno devastato diversi centri abitati in Yemen. L’esportazione di queste bombe è all’attenzione pubblica da oltre due anni e per questo abbiamo deciso di scrivere una lettera aperta alla Banca».
Lo dichiarano i direttori delle tre riviste promotrici della Campagna di pressione alle “banche armate” che oggi [12 luglio] hanno reso nota una “Lettera aperta a Banca Valsabbina” con la quale chiedono all’istituto di credito bresciano di chiarire «alcune questioni che riguardano la responsabilità sociale d’impresa di Banca Valsabbina relativamente ai finanziamenti alla produzione di sistemi militari ed ai servizi che la Banca concede alle aziende del settore per esportare materiali d’armamento con particolare riferimento alle operazioni bancarie svolte da Banca Valsabbina per conto dell’azienda RWM Italia S.p.A.».
Con un’ampia documentazione riportata nella lettera, padre Mario Menin (direttore di Missione Oggi, bimensile dei missionari Saveriani), padre Efrem Tresoldi (direttore di Nigrizia, mensile dei missionari Comboniani) e padre Alex Zanotelli (direttore responsabile di Mosaico di pace, mensile della sezione italiana di Pax Christi) evidenziano che «Banca Valsabbina ha assunto una serie di operazioni, effettuate negli anni scorsi prima dalla S.E.I. S.p.A. e più recentemente da parte di RWM Italia S.p.A., diventando uno degli istituti di credito di riferimento della RWM Italia S.p.A. per svolgere operazioni bancarie relative ad incassi e pagamenti per esportazioni e importazioni di materiali d’armamento».
Si tratta di operazioni che fino a qualche anno fa erano tutte documentate al dettaglio e facilmente reperibili nella Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni di armamenti ma che, a partire dalla Relazione consegnata alle Camere dal governo Berlusconi nel maggio del 2008, è diventato difficile ricostruire: le tre riviste, insieme alla Rete italiana per il Disarmo, hanno ripetutamente chiesto ai vari governi che si sono succeduti di ripristinare tutte le informazioni che sono fondamentali affinché il Parlamento possa esercitare il ruolo di controllo che gli compete.
«A fronte degli scandali che negli anni ottanta coinvolsero diverse aziende ed anche alcune banche – dichiara padre Alex Zanotelli – attivammo un’ampia campagna di sensibilizzazione nazionale che portò il Parlamento nel luglio del 1990 a varare la legge 185 sul controllo dell’esportazione di armamenti italiani. Una legge che è sempre stata osteggiata da quei settori del mondo militare, imprenditoriale e bancario che avrebbero preferito continuare a fare affari di morte coperti dal segreto di Stato in vigore dai tempi del fascismo. Anno dopo anno, facendo pressioni sul mondo politico, hanno cercato di rendere inefficace la legge soprattutto sottraendo quelle informazioni che permettono il controllo da parte delle nostre associazioni».
Nella lettera aperta i tre direttori chiedono ai vertici di Banca Valsabbina di «sospendere da subito, anche a fronte di eventuali penali, tutti i finanziamenti e i servizi disposti da Banca Valsabbina alla produzione e all’esportazione di materiali militari e di armi comuni verso paesi in conflitto armato ed i cui governi siano responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertate dalle associazioni internazionali accreditate alle Nazioni Unite».
«I bombardamenti dell’aeronautica militare saudita sulle zone abitate da civili in Yemen – afferma padre Efrem Tresoldi – sono stati oggetto di un’indagine di un comitato di esperti delle Nazioni Unite che lo scorso 27 gennaio ha inviato al Consiglio di Sicurezza un dettagliato rapporto che documenta, tra l’altro, l’impiego di bombe prodotte dalla RWM Italia da parte dell’aeronautica militare saudita per bombardare città e aree abitate da civili in Yemen. Questi bombardamenti sono espressamente vietati dalle convenzioni internazionali e pertanto, come evidenzia il rapporto, possono costituire crimini di guerra. E’ indegno che il governo italiano continui ad autorizzare l’esportazione di questi ordigni: è uno sfregio alla nostra Costituzione che sancisce il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
I direttori delle tre riviste chiedono inoltre alla banca bresciana di «assumere l’impegno di definire al più presto un “Codice di responsabilità sociale” che espliciti i princìpi di responsabilità sociale che Banca Valsabbina si impegna ad attuare ed i servizi bancari che la Banca intende proseguire, limitare o porre a termine con le aziende produttrici di materiali d’armamento e di armi comuni, con particolare attenzione ai servizi che intende concedere alle aziende per l’esportazione di tali prodotti».
«Siamo fiduciosi – conclude padre Mario Menin – che Banca Valsabbina intenda seguire le migliori pratiche messe in atto da numerosi istituti di credito italiani e anche bresciani. Non dobbiamo dimenticare che il territorio bresciano è stato capace non solo di convertire ad uso civile una delle aziende più tristemente famose nel mondo per la produzione delle micidiali mine antipersona, ma anche di accogliere le istanze di molte associazioni per promuovere anche nel settore imprenditoriale e bancario percorsi di sviluppo sostenibile, di cooperazione internazionale, di solidarietà e di pace».
La Campagna di pressione alle “banche armate” è stata promossa in occasione del Grande Giubileo del 2000 dalle riviste Missione Oggi, Mosaico di pace e Nigrizia per favorire il controllo attivo dei cittadini sulle operazioni di finanziamento all’industria militare e al commercio di armi. Da allora, la Campagna sta costantemente monitorando le direttive che gli istituti di credito italiani ed esteri hanno emanato nell’ambito della responsabilità sociale d’impresa soprattutto per quanto riguarda i servizi alla produzione e all’esportazione di sistemi militari. Tutta la documentazione è riportata sul sito ufficiale della Campagna.
(*) ripreso da «www.banchearmate.it». Finora la lettera non ha avuto risposta. La vignetta – scelta dalla “bottega” – è di Vauro; l’immagine qui sopra rimanda a una delle manifestazioni fatte a Domusnovas contro la RWM.
https://www.youtube.com/watch?v=VBoSMQAoc7c
Barcellona: “Felipe, quien quiere la paz no trafica con armas”
Nell’enorme striscione azzurro, il colore dell’ indipendenza catalana, “Felip, i govern espanyol complices dei comerç d’ armes”
Fischi per il re Filippo VI e per il premier Rajoy. La contestazione è arrivata soprattutto dai moltissimi sostenitori dell’ indipendenza della Catalogna. Ma molte sono state anche le contestazioni per i rapporti della Spagna e della famiglia reale con l’ Arabia saudita. “Vogliamo la pace, non vendere armi” era il tema ricorrente di molti cartelli.
Non so in Italia quanto arriverà di questa parte della contestazione. Segnalo l’ episodio in attesa di conoscere meglio quanto sia diffusa la protesta in Spagna contro le guerre del Medio Oriente e la vendita di armi ai sauditi e di vedere se ci sarà un eco di questo nel nostro paese.
Intanto su Rainew24 i commenti a caldo ne hanno parlato diffusamente. Sul Manifesto troviamo:
” Chi vuole la pace non traffica con le armi” dicevano molti cartelli che ricordavano gli stretti vincoli della casa reale spagnola con la monarchia saudita. “Vogliamo la pace, non vendere armi” “la migliore risposta è la pace”, dicevano altri fra i moltissimi.” “Alcune centinaia (per El Pais 3.000 n.d.r.) di manifestanti critici in un raduno alternativo …secondo le Ong organizzatrici il governo spagnolo e il re promuovono la guerra, la non accoglienza dei rifugiati, la mancanza di diritti umani e la chiusura delle frontiere”
Di seguito stralci dalla cronaca del corteo pubblicata sul sito di El Pais:
“Los lemas de los carteles más vistos durante el recorrido, repartidos por entidades independentistas y de colectivos pacifistas, ofrecían mensajes como “Felipe, quien quiere la paz no trafica con armas”, “Mariano, queremos paz, no vender armas” y “Vuestras políticas, nuestros muertos”. Gran parte de los sectores críticos con la presencia del jefe de Estado se reunieron en una concentración paralela que la CUP y otros colectivos de la izquierda alternativa convocaron dos horas antes de dar inicio la manifestación oficial. Las cerca de 3.000 personas que se reunieron en esta marcha alternativa se fusionaron luego con la otra manifestación….
…… Ya la llegada de los representantes del Ejecutivo español fue recibida con sonoras pitadas y gritos a favor de la independencia. Los silbidos contra el Rey y Rajoy se repetían cada vez que las pantallas gigantes a lo largo del paseo de Gracia mostraban su imagen.
Héctor Fernández, un barcelonés que asistió con su hija y su mujer a la protesta, se desgañitaba en gritos contra el Rey. Fernández justificó su rechazo porque “el Rey no puede venir a una manifestación pacifista y vender armas a Arabia Saudí”.
El hombre añadió, repitiendo informaciones aparecidas en medios digitales independentistas, que “el Gobierno español ocultó información sobre los terroristas a los Mossos d’Esquadra y no permite que estos se refuercen”. Cerca de él, otro padre de familia apuntaba que es “puñetera hipocresía que sea esta la primera manifestación a la que acude el Rey”.