Barbero, Karlsen, Offutt, Sabella, Simenon più…

due coppie: Gazale-Marras e Darboe-Moglianesi

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

Vittorio Gazale e Piero Marras

«Storie liberate» – Diciassette storie penitenziarie, narrate e musicate

Carlo Delfino editore

224 pagine in due volumi e due cd per 19,90 euro

Sardegna. Da oltre un secolo. Le colonie penali nascono a inizio Ottocento e con l’Unità entrano nella legislazione italiana: vennero istituite con l’obiettivo di bonificare e rendere produttivi terreni marginali, generalmente paludosi e infestati dalla malaria. In un precedente volume sono state analizzate le otto esperienze sarde attraverso una ricerca archivistica e documentaria, la collaborazione delle carceri e il lavoro di detenuti appositamente formati. In questo virtuale seguito, “Storie liberate”, il bravo direttore del parco dell’Asinara Vittorio Gazale racconta e il grande cantautore polistrumentista Piero Marras musica diciassette emozionanti storie personali (fra il 1860 e oggi). Si tratta di quattro splendidi prodotti indivisibili: due volumetti cartonati, con numerose foto d’epoca, e due intensi CD, con canzoni composte in lingua italiana nel primo, in lingua sarda nel secondo. Parole e musiche dedicate al mondo carcerario, di cui spesso è facile dimenticare l’umanità.

 

Musa Darboe e Francesco Moglianesi

«La prima goccia»

Zefiro

480 pagine, 20 euro

Gambia (Sahara, Mediterraneo) e Italia (ora Svezia). Dal 10 gennaio 1996. Musa Darboe nasce in una famiglia povera (come tutte le altre) di Manduar, un modesto villaggio di appena mille abitanti nel Kiang, regione poco sviluppata (niente strade, precarie acqua ed elettricità) dello Stato più piccolo dell’intero continente africano. Dal 13 febbraio 2021 si trova in Svezia: sogna un diploma, un lavoro e altre soddisfazioni. Ci racconta qui la sua vita, con orgoglio le proprie radici, poi una storia di migrazione, ma anche di accoglienza. Fino a 17 anni è restato in patria. Madre Manyma contadina e cuoca (senza fornelli, solo fuoco e grandi pietre) nelle scuole della zona (non un “salario”, solo provviste alimentari), nata nel 1959; padre Lamin (con due diverse mogli) contadino e sarto (cucendo non solo i vestiti ma anche il tessuto sociale), nato nel 1936; tantissimi fratelli e sorelle (fra gli altri, otto figli solo dalla stessa mamma), il più grande nato nel 1974 (e morto nel 2019), il più piccolo del 2000, adesso poco più che ventenne; innumerevoli altri vari parenti, cugini ovunque. Parto all’ospedale di Keneba, al lavoro sulle spalle dei genitori per i primi cinque anni, poi scuola elementare nel villaggio, media iniziata a Kaneba (otto chilometri a piedi) e terminata in cittadine via via più grandi (ospitato in case da dove poteva prendere l’autobus per i lunghi tragitti). Lontano da casa scopre che c’è chi parte, decide di fuggire anche lui nel settembre 2013 con un piccolo zaino, chiama gli amati padre e madre da Agadez, sta affrontando il deserto, lo attende il mare. Dopo molteplici pericoli e disavventure giunge a Fermo nelle Marche, lentamente si inserisce, impara l’italiano, viene adottato, lavora, gioca a calcio, ricomincia a studiare. Subito prima di raggiungere un cugino in Svezia (che può ospitarlo) riesce a buttar giù di getto quel che ha vissuto. Dopo un anno esce il suo libro, bellissimo.

Non è un’autobiografia, non è un diario. L’idea di scrivere appunti schematici sulla propria storia prese forma durante le notti insonni all’inizio della pandemia. Al computer, frasi arditamente in incerto italiano, all’inizio soltanto una cronaca degli eventi principali. Dopo un mese stampò i venti fogli e li portò sempre con sé. Quando decise di lasciare l’Italia incontrò il possibile coraggioso editore, da ultimo l’ottimo storyteller Francesco Moglianesi (Montappone, Fermo, 1989), esperto di comunicazione e fotografia. Attraverso tante intense videochiamate gli appunti sono divenuti una coinvolgente narrazione a quattro mani, Musa parla senza fiction (in prima al passato), trama e linguaggio sono ora compiuti (arricchiti di sviluppo vocabolario stile). Vi sono le identità di luogo e di tempo, donne e uomini di un’esistenza reale; l’incidere è divenuto emotivo ed elegante. Alcuni termini della lingua orale nativa fanno da titolo e tema della tripartizione cronologica in cui sono divisi i ventuno capitoli: jeelo sorriso (fino al 2013), hamo coraggio (fino alle acque italiane), geeko speranza (finora, con in mezzo un solo commovente rientro nella terra africana). Il titolo del volume (da leggere presto, con gusto e passione) è il filo e motore narrativo, condiviso dai due autori: la maggiore biodiversità climatica fra le lontane successive residenze (sotto il Sahara tende a esserci un’unica attesa stagione delle piogge, in Gambia dalla fine di maggio); la similitudine fra gocce e frasi (“le parole buone sono come la pioggia che bagna il terreno”, proverbio africano in esergo); la poesia ricorrente ogni volta che piove, ovunque sia (si ricorda sempre “la prima goccia che cade sulla mano di un bambino”). La svolta sociale e culturale avviene alla Fattoria Sociale Montepacini di Fermo (“un luogo magico”, uno di quegli ecosistemi di umanità poco conosciuti e decisivi per tanti e tante da decenni), soprattutto attraverso l’incontro con il principale animatore della struttura, Marco Marchetti, divenuto per Musa un “padre spirituale”. Si tratta di una singola esperienza dalla quale molto (non ideologicamente) si capisce dei gradi relativi della libertà di migrare: “sono troppe le variabili che influenzano la vita di chi si mette in viaggio”; “per l’ennesima volta, perdemmo la cognizione dello spazio e del tempo, come se quella fosse l’inevitabile condanna di ogni migrante”; “il razzismo in Italia è un problema di sistema”.

 

Marzia Sabella

«Lo sputo»

Sellerio

172 pagine, 14 euro

Sicilia e Palermo. 1919-2004. Serafina Battaglia visse 84 anni, era parte di una famiglia mafiosa. Nel 1960 per una faida le fu ucciso il marito Stefano Leale, chiese al figlio Salvatore di vendicarsi, fu ucciso anche lui. Dal 1962 non si chiuse nell’omertà, collaborò con il giudice istruttore Terranova, si dotò di una pistola e testimoniò in vari processi nei decenni successivi, con gesti teatrali e sputi agli imputati. Nel bel romanzo “Lo sputo”, la magistrata Marzia Eugenia Sabella (Bivona, Agrigento, 1965) parte dai servizi televisivi nazionali al momento della morte, riprende l’intervista che donna Serafina fece nel 1967 e ne ripercorre in dieci scorrevoli capitoli le tappe principali della vita dagli anni quaranta in avanti. Prende spunto da frasi verbalizzate su giornali, verbali o sentenze per una colta ricca narrazione, partecipe ma non complice, in terza al passato. Non è resoconto, non è biografia, piuttosto l’immersione in un punto di vista colmo di acredine competente.

 

Chris Offutt

«Di seconda mano»

traduzione di Roberto Serrai

Minimum Fax

190 pagine, 16 euro

Kentucky orientale (quello delle recenti alluvioni di fine luglio 2022, decine di morti, centinaia di sfollati). Autunno di poco tempo fa. La trentaduenne vive in una topaia in fondo a una strada di campagna con un ragazzo divorziato e con la figlia di lui (otto anni, in terza elementare), lei è cresciuta sulle colline a un centinaio di miglia da lì, non ha lavoro (ne ha trovati tanti perdendoli tutti quasi subito), cerca di cavarsela e fa fatica, la cosa più preziosa che possiede sono un paio di stivali da cowboy di pelle di struzzo. Con la vecchia Chevy dovrebbe accompagnare la bimba a scuola ma fa un giro per Bowling Green, paesino dove si è trasferita da sei mesi, vorrebbe comprarle qualcosa. Si ferma al banco dei pegni, lì dentro ogni oggetto è appartenuto a gente al capolinea, la loro disperazione la senti nell’aria. Vedono una mountain bike con le forcelle ammortizzate, quindici marce e la borraccia, lei ha iniziato a frequentare i banchi dei pegni da adulta, ma anche la vita della ragazzina è tutta di seconda mano (compresa lei), però quando vede la bici s’illumina. Scambio quasi alla pari con gli stivali, la vita va avanti, più o meno. In copertina ci sono gli stivali e il titolo della raccolta prende spunto proprio da quello del primo dei racconti, Di seconda mano. Rende l’idea. Magnifici. Di soave ferocia. Non per un singolo comportamento o guaio, niente pianti commoventi o violenze di maniera, niente vite spezzate o traumi improvvisi. Esistenze mestamente anonime e quotidiane, là per una terra (creste, colline, conche, torrenti, strade sterrate, cemento) dove le famiglie sono allargate di continuo, generazioni si succedono nello stesso lavoro (quando c’è) e da decenni quasi tutto resta curiosamente eguale, separato, nel tempo e nello spazio. La dura vera realtà.

Il grandissimo scrittore americano Chris shit for brains Offutt (Lexington, 1958) pubblica ora undici racconti usciti negli ultimi anni su varie riviste, interamente o in parte. Nel primo (donna) e in ulteriori tre casi la narrazione è in prima persona (poi tre uomini), al presente o al passato; negli altri in terza su donne o uomini o varia. Il Kentucky c’entra sempre, perlopiù proprio la contea di Rowan e Lexington, dove l’autore è nato; in oltre la metà dei casi la vicenda si svolge lì (e magari si vorrebbe andar via), negli altri vi si torna dopo tanto tempo o se ne ricordano i caratteri (con odio, compiacimento o rimpianto), come la gerarchia sociale che esiste pure sulle colline, il mondo “diverso” ai piedi degli Appalachi. Alcuni personaggi “sensibili”, come le persone ritardate, tornano spesso, comprimari o protagonisti (il Johnny Bill del quinto racconto); il sesso lo si trova in tutti, ognuno a proprio modo è pensiero costante e azione cruciale nelle vite raccontate; pure un qualche animale “non” di città c’è sempre, coprotagonista della storia. Segnalo quel conosciuto volto liscio con “la solita combinazione di monotono affetto e distaccata pazienza”, a pag. 94. Del resto, ognuno pensa che la lingua del proprio lavoro (inteso come qualsiasi attività svolta) sia la più importante. Vino e liquori, musiche coerenti.

 

Georges Simenon

«Il Mediterraneo in barca»

traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Maria Laura Vanorio (originale in francese 1934, Mare nostrum ou La Méditerranée en goélette)

Adelphi

190 pagine, 16 euro

Mediterraneo a vela. 1934, da maggio ad agosto. Il grande scrittore Georges Simenon era di origine bretone, belga di nascita, francese d’adozione; ebbe varie mogli, quattro figli, diecimila donne (così si tramanda, di cui oltre ottomila prostitute… secondo i propri stessi vaghi ricordi), duecento pipe; col proprio nome e decine di pseudonimi scrisse duecento romanzi (“seriali” per ambiente e dinamica), molti gialli e noir, la serie Maigret (altri 75 romanzi e almeno 26 racconti), migliaia di racconti, interviste, reportages, inchieste, prefazioni, memorie. Innumerevoli le riduzioni delle sue opere e, in particolare, del suo “non alter ego” commissario, sia televisive (4 serie di successo con l’inarrivabile Gino Cervi in Italia) che cinematografiche (se ne sono contate almeno 17 con Maigret e 51 senza), meritato clamore internazionale. Il mercato italiano di Simenon è il più forte del mondo. Iniziò da giornalista, dal 1919 e per oltre tre anni alla Gazette de Liège (con lo pseudonimo di Georges Sim). Contemporaneamente collaborava con altre riviste, pubblicando il suo primo romanzo a soli 18 anni. Non lavorava né scriveva senza corrispettivo, però scriveva tantissimo tutti i giorni, un bisogno vitale (come il sesso), notoriamente. Divenuto ben presto ricco e famoso, viaggiò molto con ogni mezzo, realizzando spesso reportage, nel 1934 questi dieci articoli per mare, apparsi subito (e per la prima volta) sul settimanale Marianne. Aveva affittato una goletta italiana con relativo rude equipaggio, partì dall’isola di Porquerolles in Provenza, toccò coste e porti, golfi e isole, seguendo un itinerario teorico, disegnato sulla mappa, poi molto diverso da quello realizzato effettivamente: Genova, l’Elba e l’arcipelago toscano, Napoli, Messina, Siracusa, Malta, Tunisi, Biserta, Cagliari e ritorno. Raccontò con acume e divertimento l’unicum del Mediterraneo occidentale di allora, ecosistemi e popoli abbastanza simili.

Simenon aveva pubblicato in meno di tre anni già 19 Maigret quando partì. Era stato più volte in barca in gran parte del Mediterraneo e nelle isole greche (perlopiù piroscafi a motore, anche nel lusso); usava pure professionalmente la macchina fotografica, artigiano dell’uso pubblicitario delle immagini (per le proprie copertine, a esempio). Qui narra episodi, storie, aneddoti, esperienze legate alla navigazione e ai porti, ai venti e ai pesci, ai paesi visitati e all’antropologia umana incontrata, laddove tutto si ammanta di poesia (come scrive con ironia di noi latini), anche in tempi di crisi. Nel secondo articolo si trova all’Elba, decide di non visitare la casa di Napoleone a Portoferraio, sottolineando che vi sono soltanto quattro buoni (indispensabili) motivi per scendere a terra: portare la documentazione in capitaneria; farsi registrare in dogana “con documenti e soldi a portata di mano” (compreso spesso per le bustarelle); fare un salto al fermo posta nel caso di eventuali lettere ricevute; andare al bordello “per ritrovare le vostre abitudini, un ambiente familiare, qualche ragazza che parli la vostra lingua”. Ogni motivo rientra in successive descrizioni, più frequentemente il quarto con tutti i vari quartieri delle prostitute durante ogni sosta, una trattazione quasi esclusiva nel settimo articolo da Tunisi (dopo l’astinenza a Malta, dovuta agli invadenti colonizzatori inglesi). Niente misteri o gialli o noirceur nel reportage, uno stile fresco e asciutto, lo sguardo attento a descrivere quel che vede e a raccontare quel che sente o ricorda (pure altre storie di altri viaggi), una frequente comparazione di usi e costumi per chiarirsi con i lontani lettori, parigini e francesi. Vino bianco ovunque, accanto ad alcolici locali-nazionali. Musica lirica e napoletana.

 

Alessandro Barbero

«Poeta al comando»

Sellerio (prima edizione Mondadori 2003)

250 pagine, 15 euro

Fiume, settembre 1919 – dicembre 1920. Gabriele D’Annunzio è a pranzo a Villa Cosulich con l’amico segretario Tom Antongini. Da vari mesi ha iniziato l’Impresa. Mentre le potenze vincitrici della prima guerra mondiale discutono a Parigi gli assetti di pace, si è messo alla guida di una spedizione di ribelli granatieri bersaglieri arditi volontari, per occupare la città di Fiume, contesa fra regni (fra italiani e serbi, croati, sloveni), e, con l’obiettivo di precostituire e preparare l’annessione, ha istituito la Reggenza del Carnaro. A distanza di decenni, da Salò nel novembre 1944, Tom racconta l’impeto estetizzante di Gabriele, il “Poeta al comando”: dialoghi incontri letture relazioni scelte vicissitudini e contrasti sociali, rielaborati con la solita perizia dall’ottimo Alessandro Barbero (Torino, 1959) in un bel romanzo storico capace di descriverci il maniaco Vate (1863-1938) in un periodo cruciale, rivoluzionario apripista (qui facilitatore più che anticipatore) del fascismo.

 

Maurice Charney

«Amarsi con Shakespeare»

traduzione e cura di Alfonso Geraci

Sellerio

276 pagine, 18 euro

Tragedie e commedie di William Shakespeare (1564-1616). La concezione dell’ amore nelle opere del drammaturgo inglese non corrisponde a concezioni platoniche e neo-platoniche, in cui l’amore fisico viene sempre trasceso in qualcosa di più alto e di più spirituale. “Amarsi con Shakespeare” significa partire sempre dal desiderio fisico e, anche quando diventa estasi (come in Romeo e Giulietta), non ci si stacca mai da una rilevante base sessuale, come mostra un ricco documentato saggio del grande shakespearologo americano Maurice Charney (New York, 1929). Conclude che dovremmo cercare di saperne di più sulle esperienze dell’uomo Shakespeare. Prima gli otto godibili capitoli: innamorarsi, amore comico, Amleto, amore senza tragedie, i nemici e i cattivi, definizioni di genere e di ruolo, discorsi omoerotici, lussuria e doppi sensi. Nessuna idea assolutamente costante e coerente, testi polisemici e ambigui, satira e umorismo. Grande letteratura sulle vite (quasi) di ogni tempo e luogo.

 

Redazione
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