Bianchi, Dell’Arti, Ghetti, Maarouf, Pievani, Sullo e Autori Vari
7 recensioni di Valerio Calzolaio
Noemi Ghetti
«Gramsci e le donne. Gli affetti, gli amori, le idee»
Donzelli
218 pagine, 18 euro
Tra la Sardegna e l’Unione Sovietica. 1891-1937. La biografia gramsciana è costellata di figure femminili. Le donne della famiglia d’origine, innanzitutto la mamma Peppina Marcias (1861-1932) e la sorella minore Teresina (1895-1976); i primi amori intrecciati con l’impegno politico a Torino, innanzitutto Pia Carena (1893-1968); le compagne delle lotte operaie e antifasciste, innanzitutto Camilla Ravera (1889-1988) e Teresa Noce (1900-1980). Poi, il soggiorno moscovita e i rapporti con le rivoluzionarie russe ed europee, protagoniste del complesso impegno per l’emancipazione del primo trentennio del Novecento, innanzitutto Clara Zetkin (1857-1933) e Aleksandra Kollontaj (1872-1952). Infine, le complesse relazioni con Eugenia (1889-1972), Tatiana (1887-1943) e la moglie Giulia (1896-1980), le tre sorelle Schucht con le quali si comporrà il suo universo affettivo più intimo. Gramsci fu un caso unico per sensibilità e onestà di ricerca nel panorama delle personalità del suo tempo, e non solo. Colpisce nel Gramsci politico il deciso rifiuto della figura tradizionale di donna e la precoce critica del modello della casalinga consumista (perseguito dal “fordismo” americano). Innamora del Gramsci privato la continua sollecitazione allo sviluppo di un’autonoma identità rivolta alle donne, la pressante coerente proposta di condivisione del lavoro sia intellettuale che pratico del quotidiano (come asciugare i piatti lavati). Sconcerta la sincerità a tratti spietata nell’esposizione della propria realtà fisica. Il pensiero di Gramsci sulle donne va oltre la conquista della parità giuridica ed economica, rivendicata dalle femministe borghesi, ma anche oltre il mito della produttività e dell’efficienza condiviso da capitalismo occidentale e dal determinismo economico marxista-leninista. Non solo emancipazione femminile, dunque, ma anche liberazione, irriducibile convinzione dell’assoluta eguaglianza nella diversità sessuale. Un’indicazione mai come oggi fondamentale.
La saggista Noemi Ghetti (Pieve di Soligo) ha svolto a lungo in passato attività di docente, poi operato in campo editoriale; ha scritto già un paio di volumi e vari saggi su riviste scientifiche riferiti a Gramsci. In questo testo affronta il tema delle “donne” legate all’ “uomo” Gramsci seguendo tre fili: il contesto sociale e psicologico delle presenze dell’altro sesso lungo l’esistenza dalla nascita alla morte, le principali relazioni sentimentali-sessuali nei quindici anni dall’inizio dell’università e della militanza politica (seconda metà del 1911) alla carcerazione da parte del regime fascista (seconda metà del 1926), il pensiero e le opinioni sulla cosiddetta questione femminile anche in relazione con le novità della società post rivoluzionaria e sovietica. Non si tratta di un’indagine esaustiva, piuttosto di squarci interessanti su aspetti meno noti e assodati della biografia gramsciana. Tende a ripetere senza nuovo ordine i passaggi cruciali del percorso politico della riflessione gramsciana, sottolineandone intrecci ed esperienze, e a dare per scontate le biografie delle donne incontrate, pur ricostruendone tratti. Scritti specifici cruciali del sardo (comprese le lettere) e testi rilevanti su di lui (compresi carteggi e testimonianze) sono ben richiamati, con passione. Del resto, donne furono le destinatarie privilegiate di larga parte delle missive (sottoposte a censura preventiva) di Gramsci, epistolario che ha avuto una lunga vicenda editoriale. La discutibile chiave interpretativa conclusiva è l’affermazione dello psichiatra e psicoterapeuta italiano Massimo Fagioli (1931-2017) circa la nascita della realtà mentale umana dalla realtà biologica per la reazione della sostanza cerebrale allo stimolo della luce sulla rètina che pure esclude, opportunamente, il millenario ricorso al divino e allo spirituale. Fra gli apparati una buona bibliografia e l’indice dei nomi, non cronologie biografiche.
Marco Bianchi
«La nostra salute a tavola. La dieta mediterranea tra gusto, scienza e benessere»
HarperCollins
188 pagine per 19.50 euro (grande formato, illustrato)
Al mercato, in cucina e dove si mangia. Spesso. Verso il 1515-1516 Leonardo da Vinci, pittore scultore anatomista architetto zoologo astronomo scenografo progettista e a lungo cuoco vicino a Ponte Vecchio a Firenze, scrisse una poesia dedicata allo stile di vita e alla dieta mediterranea, fra l’altro consigliò di evitare spuntini e di masticare bene, di non riempirsi troppo, di combattere la pigrizia, di limitare alcol e stress. Secoli dopo il biologo e fisiologo americano Ancel Benjamin Keys (1904-2004), studiando i disturbi gastrointestinali e le malattie cardiovascolari, mostrò che “the Mediterranean way” era un approccio ottimo per stare meglio in salute, un sistema alimentare ricco in particolare di olio extravergine, frutta, verdura, pane, pasta, legumi e pesce. Lui si trasferì in Italia con la moglie e collega Margaret Haney (1909-2006), dieci anni fa l’Unesco ha dichiarato la dieta Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. La dieta mediterranea deriva da una tradizione lunga secoli e non si riduce a un semplice schema da seguire a occhi chiusi e senza facoltà di dialogo. La sua bellezza risiede proprio nell’estrema possibilità di variare, combinare, sperimentare l’uso e il consumo di alimenti tipici in proporzioni adeguate. Il contesto obbligatorio suggerisce l’assunzione di molta acqua (circa 2 litri) e l’attività fisica giornaliera dei commensali (prima e dopo), la convivialità del desinare, la preferenza per la stagionalità di prodotti perlopiù locali. Poi, si tratta di mettere gli alimenti su una piramide virtuale, alla base quelli da mangiare più volte al giorno ogni giorno (frutta, verdura, cereali integrali), a salire quelli che dobbiamo introdurre nei nostri pasti via via più raramente (latte e derivati, olio, frutta a guscio, erbe e spezie, pesce e pollame, uova e legumi, moderatamente vino, carne e salume, moderatamente dolci). Il nostro migliore alleato è il microbiota, la popolazione di batteri che vive con noi nel nostro intestino, sia autoctoni che ingeribili. Ne conseguono benefiche ricette.
Il cuoco e personaggio televisivo italiano Marco Bianchi (Milano, 1978), ricercatore di oncologia molecolare e divulgatore scientifico, ha scritto molti libri di cucina per vari editori negli ultimi dieci anni, questo dovrebbe essere il diciottesimo. Ora ha realizzato una godibile sperimentazione di ricette (o portate) coerenti con la dieta mediterranea, distinguendole in modo tematico per sezioni: cereali, verdure, proteine, latte e derivati, frutta, frutta a guscio, dolci. L’introduzione generale è minima. Ogni sezione contiene poi dieci gustose proposte (settanta complessivamente), inframezzate da alcune brevi schede (in genere tre) che motivano la collocazione degli alimenti nella piramide e offrono ulteriori sintetici approfondimenti scientifici sui relativi benefici e rischi. Il libro è corredato di colori, immagini e disegni, con belle illustrazioni (di Nicolò Canova) e foto dei prodotti o degli elaborati impiattati (di Gaia Menchicchi, Manuela Parati, Barbara Bordato). Come al solito, le ricette sono impostate per 4 persone, introdotte dalle quantità e narrate brevemente senza fronzoli in 3 o 4 punti relativi alla progressione della preparazione. In fondo ci sono i ringraziamenti, gli indici (portate, ingredienti, approfondimenti) e la bibliografia distinta per introduzione e sezioni.
Pierluigi Sullo
«Gli uccelli della tempesta. Un romanzo nel ‘74»
Lastaria editore
246 pagine, 15 euro
Milano e Roma. Un altro anno della vita di Enrico, militante della sinistra rivoluzionaria fuori dal Pci, bello e armonico, un po’ nasone, capelli lunghi. Nel 2018 il giornalista Pierluigi Sullo (Roma, 1951) scrisse un importante bel romanzo sull’educazione sentimentale e politica di un ragazzo romano (evidentemente nato nel 1950, pur sempre a maggio) che preparava la maturità scolastica e definitivamente maturava civilmente “nel” fatidico Sessantotto, quando tutto poteva ancora succedere. Lo ritroviamo ora a Milano, sei anni dopo, sempre narrato in terza esclusiva persona, attratto dagli studi storici (anche post universitari). Appena lasciato da Annamaria, decide di tornare nella capitale, ritrova i vecchi compagni di liceo, incontra altre donne e il femminismo, la mobilitazione contro le bombe e per il divorzio, le lotte per la casa e contro le dittature internazionali, “Gli uccelli della tempesta”, secondo bel romanzo storico su una generazione colta e volitiva, forse libera.
Aa. Vv.
«Vivere con i classici»
traduzioni di Maria Nicola e Luca Briasco; prefazione di Maria Ida Gaeta; introduzione di Luciano Canfora
Sellerio
162 pagine, 12 euro
Mondo umano, antico e moderno. Da quasi un ventennio fino al 2020 della pandemia si è svolto a inizio estate un annuale Festival Internazionale di Roma, che si caratterizza per inedite conferenze scritte e lette da grandi personalità sul tema annualmente proposto, nelle prime edizioni “soli, insieme” (2002), “passato, futuro” (2003). Nel giugno 2019 l’argomento scelto era “Il domani dei classici” e vengono ora pubblicati alcuni dei testi presentati: Alicia Giménez-Bartlett, “La maledizione dei classici” (per tanti adolescenti); Francesco M. Cataluccio, “Il sonno di Ulisse” (che accompagna i sogni e le stagioni della vita); Daria Galateria, “L’avarizia” (degli autori, perlopiù); Fabio Stassi, “Congedo” (dalle biblioteche, causa tarli, forse fantascienza); Roberto Alajmo, “La prevalenza del bonghista” (chi li ha poco letti, in genere); Scott Spencer, “La doppia cittadinanza e il futuro dei classici” (a partire da “Delitto e castigo” di Fëdor Dostoevskij).
Giorgio Dell’Arti
«Gli onorevoli duellanti ovvero Il mistero della vedova Siemens»
La nave di Teseo editore
176 pagine, 18 euro
Roma. 10 marzo 1910. Quel giovedì si svolse il cruento duello fra il grasso e tarchiato repubblicano imprenditore milanese Eugenio Chiesa (1863 – 1930), deputato da sei anni, e lo snello aitante senatore generale torinese conte Luigi Fecia di Cossato (1841-1921), evento non strano né raro, caratterizzato da una lunga gestazione, da motivi non solo futili, da uno svolgimento rocambolesco e da un esito vitale, non transitorio né per i protagonisti né per la cultura. La storia è vera dall’inizio alla fine. Il 22 gennaio 1909 era morto il tenente generale conte Tancredi Saletta (Torino, 1840), influente capo di Stato Maggiore dell’Esercito per più di un decennio, l’anno precedente nominato infine senatore del Regno da re Umberto. Al funerale si capì che il 68enne Fecia di Cossato, mai sposatosi, era da tempo amante della splendida bruna fiera tedesca 35enne Anna Eleonora Füssli von Siemens (Karlsruhe, 4 aprile 1874 – Monaco di Baviera, 19 febbraio 1941), padre pittore svizzero ricco tirchissimo, madre nobildonna con posto alla corte prussiana imperiale, lei dal 1900 vedova del barone violinista Werner Hermann von Siemens, figlio di Carl, uno dei fondatori della famiglia ricchissima e famosa per via dei telegrafi e degli impianti elettrici, amato pur più vecchio di quasi vent’anni, e morto per un appendicite. Nora si era risposata con un principe persiano, vivendo a Roma; aveva ottime entrate e qualche grattacapo col nuovo marito, lui presto in fuga; dal 1907 gestiva un elegante rinomato salotto da gran dama romana a Palazzo Barberini, amica (ed esecutore testamentario) anche di Saletta, pur subendo pettegolezzi e calunnie. Chiesa era filo francese e adombrò in aula che la baronessa potesse fare da tempo la spia austro-tedesca, capace di minare la sicurezza nazionale con le sue frequentazioni militari (Saletta e ora Fecia di Cossato, prossimo alla pensione). Fu sfidato da cinque avversari, la mania dei duelli era figlia dei giornali e forse vietata, eppure turbinarono sciabole.
Il brillante poliedrico giornalista Giorgio Dell’Arti (Catania, 4 settembre 1945), dopo infiniti articoli e molti volumi d’arte varia, si cimenta ancora con il romanzo. Seguendo il filo della ricerca storica e delle fonti documentarie, oltre che di quotidiani e periodici dell’epoca, in particolare del Corriere della Sera (diretto dal celebre Luigi Albertini, 39enne marchigiano), con le cronache dello scrittore 37enne di origini toscane Guelfo Civinini, ci consegna un minuzioso divertente interessante romanzo, in terza persona varia al passato (al presente soltanto per il fatal giorno), dedicato alle relazioni di una colta enigmatica donna ammaliatrice e a seri conflitti politici con risvolti internazionali, culminanti in un definitivo duello d’onore nella campagna romana. Riporta verbali delle aule di Camera e Senato, cita lettere, foto e articoli di stampa, illustra usi e costumi dell’epoca, ricostruisce plausibili dialoghi, narra con competenza professionale e penna moderna. Insulti irruenti e scontri fisici si verificavano spesso e volentieri nelle aule parlamentari. Le biografie dei personaggi, il contesto militare e culturale, la dialettica nei e dei partiti, i codici cavallereschi e le eterne urlate vigilanze giornalistiche, i cinque sei giorni dall’incidente d’aula ai successivi vertici fra padrini (con relativi verbali ufficiali), i primi duelli e i 24 assalti dell’ultimo, i seguiti essenziali sono presentati con allegra cura, non tutto è nuovo sotto il sole contemporaneo. “Tutto il mistero, tutto il segreto è in questo: che i deputati a furia di vedersi, di incontrarsi, di parlarsi, di attaccarsi, magari di ingiuriarsi, finiscono col darsi del tu, col diventare amici e scambiarsi i favori. E la stessa cosa è tanto più naturale in quanto è perfettamente italiana: cioè un po’ scettica e un po’ umanistica.”
Mazen Maarouf
«Barzellette per miliziani»
traduzione dall’arabo di Barbara Teresi (originale 2015)
Sellerio
154 pagine, 15 euro
Beirut. Anni fa. Non è facile per un ragazzo sopravvivere sotto le bombe della guerra (che fra l’altro uccidono il gemello sordo) con difensori tanti miliziani che per le strade prendono molti a pedate e schiaffi (fra l’altro anche il padre quando va al lavoro in lavanderia). La vita quotidiana, la scuola, i regali, fame e sete, cibo e acqua, i compagni, i primi amori, desideri, sogni, tutto è dilaniato dall’assurdo. C’è anche il modo di aiutare il padre a inventare o rielaborare storielle per prendere meno botte, lo si racconta appunto in “Barzellette per miliziani” del giornalista e insegnante, poeta e traduttore palestinese Mazen Maarouf (Beirut, 1978), laureato in chimica, oggi attivo fra il Libano e l’Islanda (accolto da una rete associativa per i rifugiati). L’autore narra in prima persona, il titolo è quello del primo e più lungo racconto, cui ne seguono altri tredici brevi, con stile a tratti lirico, a tratti satirico, a tratti onirico, sempre graffiante e incalzante.
Telmo Pievani
«Finitudine. Un romanzo filosofico su fragilità e libertà»
Raffaello Cortina editore
Centre Hospitalier, Fontainebleau. 10 gennaio-26 giugno 1960. Albert Camus nacque nell’Algeria francese il 7 novembre 1913 da una modesta famiglia di pieds-noirs, l’anno dopo perse il padre in guerra per una granata. Era tubercolotico, riuscì brillantemente a studiare, si laureò in filosofia nel 1936 ad Algeri. Divenne militante antifascista e giornalista, attraversò ideali e ideologie della sinistra libertaria (restandone a suo modo coerente per sempre), si trasferì in Francia nel 1940, continuò sempre a scrivere molto e bene. Nel 1957 ricevette il Nobel per la letteratura, a conferma dell’altissimo valore letterario delle sue opere. Morì il 4 gennaio 1960 presso Villeblevin, vicino a Sens (Yonne) sulla strada per Parigi, in un incidente d’auto a bordo di una Facel Vega FV3B, nel quale perse la vita anche il suo editore alla guida Michel Gallimard, che perì sul colpo. La figlia e la moglie di Gallimard, sedute dietro, si salvarono, Camus venne estratto dall’auto ormai incosciente e con gravissime ferite, il suo decesso fu dichiarato poco dopo. Lasciò un romanzo inedito. Si può però ipotizzare che non sia andata così e che sia sopravvissuto per qualche mese, perché no? Il suo caro amico biologo e filosofo Jacques Monod (Parigi, 9 febbraio 1910 – Cannes 31 maggio 1976) allora certo non può che andarlo a trovare in ospedale, leggergli i vari capitoli del testo che avevano deciso di scrivere insieme, discuterne. Dialogano anche sulle reciproche attività trascorse, sull’amore e sulla politica, sui dubbi sorti rispetto alle possibili cause dell’incidente (compreso l’attentato), sulle ricerche genetiche di Monod al Pasteur (che 5 anni dopo frutteranno a lui e ai due amici colleghi il Nobel per la fisiologia e la medicina), sul premio avuto o auspicato, sui virus e la peste, e pure sulle disavventure militanti dello scienziato che cerca di far fuggire dall’Ungheria colleghi perseguitati. Hanno molto in comune i due partigiani antinazisti, non solo affinità politiche e culturali di laici ribelli solitari solidali geni “meridiani”: padri con identico nome (Lucien), madri di sangue “straniero” (spagnolo e americano-scozzese), due gemelli per figli, molto altro.
Il grande Telmo Pievani (Bergamo, 1970) fu allievo di uno straordinario scienziato americano (Stephen Jay Gould, 1941-2002) e oggi è lui stesso maestro di cultura scientifica universale, docente di Filosofia delle scienze biologiche e prorettore a Padova, direttore di Pikaia (il portale italiano dell’evoluzione), direttore di Il Bo Live. Qui immagina magnificamente una stesura comune e un intenso dialogo fra due illustri intellettuali francesi, svoltisi (forse) sessanta anni fa, con molti spunti utili pure per capire e affrontare la pandemia in corso. L’argomento scelto per il volume a quattro mani, di cui ogni volta Monod legge a Camus la bozza del capitolo precedentemente impostato di comune accordo, è la finitudine (da cui il titolo del romanzo italiano). Alcune frasi di Lucrezio (De rerum natura) introducono il prologo, i sei capitoli e la chiusa. Il nostro minuscolo pianeta è già vecchio, c’è una inevitabile caducità di tutte le cose. Il cielo e la terra ebbero un’origine e avranno una fine, ogni cosa è peritura (tranne gli atomi e il vuoto), dovremmo tuttavia non consegnarci al nichilismo e al pessimismo cosmico e, invece, cercare una libertà in bilico tra la certezza di morire e la passione di vivere. Sappiamo che non possiamo sfidare la finitudine con la tecnica o con il progresso o con il DNA. Studiamoli e usiamoli bene ma non ci salveranno dalla fine di ciascuno. Attacchiamoci alla coscienza e alla personalità soggettiva, ai cicli di vite e morti, di aggregazioni e disgregazioni; in fondo non esiste mai una fine ultima, assoluta, definitiva; esiste una doppia libertà, quella della natura da ogni provvidenza, quella umana di scegliersi la propria strada in quella natura indifferente. Non siamo divini, ma esseri imperfetti e desideranti, fragili ed effimeri; ha senso vivere di sentimenti, non di sola paura. Homo sapiens è un avvenimento piccolo, ma anche unico nella biosfera; ha proprietà come il linguaggio simbolico, l’immaginazione, l’astrazione. Proviamo a goderne con gli altri, ad accudirci con l’etica della conoscenza, quando siamo anche noi al mondo, attraverso pochi valori di un umanesimo realista, scientifico, socialista, liberi e solidali di fronte al comune destino. A ogni bozza di capitolo segue la lunga varia affettuosa precisa conversazione fra i due. Pur se ora si tratta di uno splendido competente multidisciplinare romanzo italiano (senza indici e note, dunque), le tesi delle bozze e del dialogo immaginari fanno riferimento a ciò che Camus e Monod hanno detto e scritto nella loro vita. La fusione meticcia dei due linguaggi funziona (e l’autore spiega ottimamente perché). I riferimenti contestuali e scientifici sono quelli di allora, eravamo tre miliardi (non quasi otto), ricerche e studi comparati avevano portato gli scienziati a certe domande e risposte (non ancora ad altre).
Suggerimenti di lettura tutti di forte suggestione. In coda la presentazione di Finitudine che, per slancio, per progettazione, per ricchezza emotiva e per amore della parola scritta, rapisce e incuriosisce. Camus siamo vicini alla leggenda, siamo vicini a sfiorare la perfezione della Fini(bell)ezza.