Bilancio di un anno di lavoro nella Sanità e nel Pubblico Impiego
documento del Sindacato Intercategoriale Cobas
Il 7 maggio dello scorso anno abbiamo tenuto a Milano il primo incontro organizzativo dei lavoratori della Sanità e del Pubblico Impiego. Sui lavori e sull’attività sindacale aveva pesato come convitato di pietra il “covid-19”.
Le restrizioni dettate da misure di ordine sanitario sono state d’ostacolo al normale sviluppo dell’attività sindacale. La dialettica su tematiche sindacali è stata deviata sui temi dell’emergenza sanitaria indotta dalla pandemia.
Terreno questo rivelatosi tanto divisivo da scompaginare le file di tutte le organizzazioni sindacali e politiche. Un terreno di scontro che abbiamo in larga parte subito e certamente non scelto da noi. La pandemia e le politiche emergenziali di fatto hanno spostato l’attenzione dai bisogni di classe ad una contesa con forte presa ideologica.
Su questa base l’antagonismo, che trae origine dalle differenze di condizione sociale, ha assunto dinamiche interclassiste che sono andate a ridisegnare schieramenti e composizione delle piazze.
Il Governo ha avuto gioco facile ad imporre un malinteso richiamo al senso civico e all’impegno collettivo per fronteggiare il nemico esterno (nemico interno scompare). I contrasti sociali e sindacali sono messi da parte. La tregua artificiosa, alla fine, è servita a scaricare i costi della crisi, sanitaria ed economica, sulle spalle dei lavoratori.
Tutto il dibattito è stato dirottato su temi aclassisti, di unità sociale e ovviamente nazionale. Le restrizioni, mentre non hanno rallentato le attività produttive, sono servite al disciplinamento della popolazione ed a restringere gli spazi di agibilità politica e sindacale.
Però, nonostante tutto, l’attività sindacale è andata avanti per la semplice ragione che ogni evento di ordine sociale ha sempre una declinazione in termini di conflitto e conseguenze nei rapporti di forza tra le classi.
Compito nostro è quello di essere elemento di coscienza e di orientamento in tutte le fasi dello scontro sociale. Per attendere a questo compito è fondamentale svolgere un ruolo di sintesi e raccordo nella complessità sociale in cui si opera. E quindi difesa dei bisogni immediati dei lavoratori e ancoraggio ad una visione prospettica di indipendenza di classe non vanno disgiunte ma perseguite contestualmente.
Affinché il nostro intervento abbia profondità è necessario correlare denunce e rivendicazioni al muoversi complessivo della nostra organizzazione e mai dobbiamo concepirci come mondi separati dalle dinamiche della nostra classe.
Siamo in lotta anche quando nel nostro settore non si esprimono conflitti, anche quando a dominare è un sentimento di resa e passività. Siamo in lotta perché in altri settori i nostri compagni stanno scioperando e lottando. Siamo in lotta perche ci si sta predisponendo alla lotta.
Il conflitto è un prodotto naturale dell’assetto capitalistico, la capacità di partecipare e padroneggiare il conflitto di classe è, invece, una ricerca e una maturazione soggettiva.
Analizzare la complessità della realtà sociale per precisare meglio il senso del nostro intervento serve a promuovere omogeneità di linea ed essere forza disciplinata capace di muoversi in modo sincrono.
A fronte di realtà di intervento che riflettono differenze geografiche, settoriali, di assetti contrattuali, di livello ed intensità di scontro, di grado di mobilitazione, dobbiamo avere la stessa direzione, omogeneità e obbiettivi condivisi. Essere parte di una stessa organizzazione, non a parole ma nella condotta.
Un anno di lavoro è trascorso. Riflettere su cosa abbiamo prodotto in termini d’organizzazione è il compito che ci proponiamo di analizzare con questo secondo incontro nazionale.
I compagni della Sanità e del Pubblico Impiego sono i terminali di cambiamenti e condizioni di lavoro particolarmente rivoluzionate e peggiorate. La Sanità e i Servizi Pubblici hanno subito tagli e ridimensionamenti tali da rendere particolarmente critiche le stesse condizioni di lavoro.
Condizioni che in alcune situazioni hanno raggiunto un grado di penosità, precarietà e imposizione autoritaria tale da ingenerare abbandoni e crisi esistenziali. È un quadro che denota criticità che vanno oltre le usuali considerazioni di ordine sindacale e politico. In mancanza di risposte organizzate il malessere assume forme individuali non catalogabili secondo gli usuali criteri.
Le condizioni per il futuro purtroppo non prevedono schiarite. Infatti, il governo Meloni, il 28 settembre, ha dato il via libera alla Nadef ( nota di aggiornamento al documento di economia e finanza). Il documento prevede per la Sanità Pubblica ulteriori tagli.
Il Ministro Giorgetti rassicura: “il governo ritiene che non creerà alcun conflitto né con la Commissione europea né con i mercati”. non vi è conflitto neanche con i governi che l’anno preceduto. Il de-finanziamento della Sanità Pubblica continua.
La % di spesa sanitaria pubblica rispetto al PIL negli anni:
7,4 – 2020, 6.9 – 2021, 6,9% – 2022 6,6% – 2023, 6,2% – 2024, 6,2% – 2025 6,1% – 2026 6.2%
Vero! Nessun conflitto con i mercati. Non potrebbe essere diversamente, il governo, tutti i governi, sono espressione degli interessi di chi domina i mercati. Il Governo, i Governi la conflittualità, la esercitano nei confronti dei proletari, dei lavoratori, dei disoccupati e del SSN.
Che il presidente Mattarella dichiari che “Servizio sanitario un bene prezioso da difendere e adeguare” è solo una espressione di buoni sentimenti combinata con buona dose d’ipocrisia.
La realtà dei numeri descrive invece la cinica scelta di liquidare quello che resta del welfare.
A liquidare ogni residua speranza di ravvedimento da parte del governo ci ha pensato la premier Giorgia Meloni. Al festival delle Regioni, tenutosi a Torino, alle richieste di maggiori risorse ha replicato: “più dei soldi serve efficienza”. Più chiaro di così! Le suppliche non servono a niente. Non resta che la lotta!
Per la tenuta dei mercati il ruolo assegnato ai lavoratori e segnatamente alla sanità e al Pubblico Impiego è di essere capro espiatorio: lavorare di più, salari e stipendi più bassi e soprattutto minore occupazione.
Destra sociale e sinistra populista e/o progressista non hanno programmi sociali alternativi. Non sono solo le grandezze di spesa sanitaria che ci allontanano dagli standard europei ma la qualità e destinazione della spesa.
Cresce relativamente quella in conto capitale a favore dei privati per l’acquisto di beni e servizi ma calano le risorse a favore degli stipendi e salari. Questa dinamica innesca meccanismi che danno il colpo di grazia alla tenuta del servizio sanitario.
Esempi: In attuazione del PRRR, si prometteva entro giugno 2026 una Casa di Comunità ogni 40-50 mila abitanti. Il progetto doveva essere una sorta di ravvedimento per le sofferenze e i lutti patiti dalla popolazioni, e soprattutto dai poveri, prima, durante e dopo la pandemia, ma 414 Case e 95 Ospedali di Comunità sono già saltati.
I fondi non bastano. I prezzi per l’edilizia sono lievitati dal 24 al 66% e quindi la revisione del Piano è inevitabile.
Strutture queste che dovrebbero fare da filtro agli ospedali e gestire malati bisognosi di cure ma non di ricoveri ospedalieri propriamente detti. Concetto questo che si presta, va detto, a mille discrezioni e mille arbitri.
Questo significa per la Campania, ad esempio, il taglio di 117 strutture rispetto alle 172 programmate. Ma da questa waterloo del SSN non tutti escono scontenti.
La Regione Lazio per decongestionare gli ospedali ha firmato un accordo con i privati (accreditati, non casual, per carità) per ospitare nelle loro strutture pazienti al prezzo di 500 € al giorno a fronte dei 150 € previsti per gli Ospedali di Comunità.
Comunque i problemi legati a revisioni di spesa, gare mancate e/o ritardate che mettono in allarme i mercanti della salute, prontamente soccorsi e assistiti dal Governo, non possono far passare in secondo piano una verità elementare: non un € del PNRR viene destinato a finanziare l’assunzione delle figure necessarie alla sanità territoriale.
Il recente Def ripropone puntualmente il vincolo di spesa per le aziende all’assunzione del personale sanitario. Vincolo che si ottempera per i lavoratori del comparto, ma non per la dirigenza medica, infatti, una quota della legge di bilancio 2024 prevede un aumento a loro favore di 300 € mensili.
La corsa che le Regioni metteranno in atto per garantire almeno livelli di decenza sanitaria in realtà si risolve in un passaggio di risorse pubbliche ai privati e tra questi alla sanità accreditata. Accreditata a mettere mani sulle risorse pubbliche ma conservando la veste di liberi imprenditori ma al vento del rischio d’impresa.
Pur riflettendo le condizioni disomogenee da cui si parte, per rispondere alle richieste dei nostri iscritti e simpatizzanti dobbiamo sforzarci di mantenere una prospettiva sindacale di classe che ci distingua da tutto il riformismo (senza riforme) che con modalità diverse sposa puntualmente il punto di vista degli interessi governativi e di regime.
Punto fondante del precedente incontro nazionale fu di ribadire la necessità di unificare i mille rivoli in cui sono dispersi i lavoratori del Pubblico Impiego, divisi in una miriade di trattamenti economici e normativi regolati da tipologie di contratti pubblici, privati, pirati, cooperative e Onlus ma tutti riconducibili ed aderenti agli interessi del padronato.
Ma al di là della veste giuridica di riferimento, prevale sempre una filosofia manageriale che vuole imporre il primato del bilancio aziendale e disattendere ogni considerazione di carattere sociale nei confronti sia degli utenti che dei dipendenti stessi.
Lo strumento utile per ridurre lo sventagliamento della contrattualistica fu individuato nella rivendicazione di un contratto unico per tutta l’area sanitaria, ma non solo sanitaria perché il P.I. tutto è oggetto di trattamenti contrattuali differenziati.
È chiaro che la rivendicazione di Contratti Unificanti rappresenta un auspicio ed una tendenza cui solo le lotte possono dare concretezza. Fissare questo obbiettivo è comunque un’indicazione di percorso, un viatico da perseguire attraverso le lotte possibili dell’oggi da considerarsi come tappe di avvicinamento all’obbiettivo.
Per un Sindacato di classe, il cui strumento principe di intervento è lo sciopero e non certo la concertazione o – tantomeno – lo scambio di favori semi-privati, operare in questo ambiente significa affrontare alcune difficoltà specifiche. Il 70% del personale del SSN (e lo stesso vale per i privati) è composto da donne.
Queste lavoratrici subiscono quotidianamente lo sfruttamento in quanto salariate e poi – a casa – ne subiscono uno analogo (ma non pienamente riconosciuto e comunque non retribuito) in quanto “addette” all’assistenza di anziani, disabili, minori ecc.
Quest’ultimo ruolo è in ogni ambito lavorativo (non solo in Sanità, naturalmente va allargato a tutto il settore del P.I.) essenziale per il sistema capitalistico: senza l’assistenza gratuita fornita dalle donne tutta l’impalcatura dello sfruttamento organizzato crolla.
Alle lavoratrici, schiacciate da questa doppia incombenza, vengono così a mancare e le energie e il tempo non solo per lottare ma anche, semplicemente, per sviluppare un embrione di coscienza di classe. Valutazione questa non da assolutizzare perché in altri contesti e altre fasi storiche l’altra metà del cielo ha dato prove di lucida risolutezza e rivestito ruoli di traino.
La preponderanza numerica di lavoratrici ipersfruttate è, quindi, un importante elemento che genera passività, al quale bisogna dedicare il massimo dell’attenzione: lottare contro la doppia oppressione: il perdurare di una cultura patriarcale (di genere) e capitalistica (di classe).
Il Sindazienda. E’ noto che , particolarmente nel settore pubblico, esista un capillare connubio fra Aziende e Sindacati vari che – di fatto – cogestiscono e amministrano il sistema sanitario a livello locale, interpretando fedelmente il ruolo di passacarte dei vari potentati nazionali e regionali.
Questi concorrono ad orientare la spesa sanitaria a favore dei privati, cercando al tempo stesso di limitare l’inevitabile perdita di consenso che servizi sempre più ridotti e sempre più costosi comporta.
Il “Sindazienda”, per ciò che ci riguarda, è un altro potente generatore di passività fra i lavoratori, ai quali viene a mancare sia la parte che dovrebbe tutelarli, sia quella con cui dovrebbero confrontarsi, sostituita da un informe e ambigua entità che è parte e controparte insieme, di fronte alla quale il lavoratore finisce col relazionarsi solo come singolo individuo.
Un altro freno deriva dall’idea, ormai radicata fra molti lavoratori, che professionalità e arricchimento professionale, da conseguirsi per mezzo di una moltitudine di corsi a pagamento (altrimenti parte dell’offerta sindacale abbinata al tesseramento), siano la chiave di volta per la promozione sociale e lavorativa.
Questa convinzione (una vera e propria falsa coscienza del proprio ruolo sociale), che viene promossa a piene mani da Aziende, Sindacati e Ordini Professionali, crea l’illusione che i problemi collettivi si risolvano a livello individuale, in una competizione all’ultimo sangue con chi svolge il tuo stesso identico lavoro!
Questa illusione, nonostante debba fare i conti con la realtà di un mercato che regola il prezzo della forza lavoro in base ai suoi meccanismi dove sempre meno contano titoli e master. Addirittura, sempre più spesso, la qualifica alta è un handicap per le aziende che sono alla ricerca di guadagni e non di qualità assistenziale.
Questa fiera delle illusioni produce solo “sergenti” che si segnaleranno non per le alte capacità professionali ma semplicemente come lunga mano delle Direzioni per attuare linee aziendali funzionali al mercanteggiamento della salute.
La somma di questi freni cristallizza, tra molti lavoratori, l’idea che la professionalità e la qualificazione professionale, sia la chiave di volta per la promozione sociale e lavorativa. Nell’estremizzazione di questa convinzione è inevitabile che si arrivi a disconoscere la propria condizione salariale obbiettivamente determinata dal modo di produzione.
Nello spaesamento che ne deriva si è portati a non riconoscere l’importanza degli interessi di classe e dell’azione collettiva. In questo contesto predominano gli aspetti di attesa e passività sugli slanci di combattività, proprio perché la realtà è variegata, è stato comunque possibile per la nostra organizzazione trovare occasioni di inserimento.
Calabria. Il lavoro carsico per lo scorrimento delle graduatorie iniziato nel lontano 2019 non ha subito mai soste. Centinaia i presidii e le manifestazioni di piazza organizzati. La portata e l’intensità della protesta ha rotto la paciosità dei palazzi del potere sanitario. Nel mercato dei posti di lavoro, fonte del consenso elettorale, la lotta del S.I. Cobas ha interrotto il tradizionale trantran dei traffici clientelari mai venuto meno neanche nelle fasi di gestione commissariale.
Certamente la nostra organizzazione è la meno idonea a trovare accoglienza a livello istituzionale e solo la “lotta continua” ha potuto muovere le montagne dell’indifferenza verso una popolazione assetata di posti di lavoro.
La necessità di “campare” ha motivato e dato slancio a tre anni di lotte esemplari. Si può pensare che questa sia stata una lotta elementare, incanalata in un ambito strettamente rivendicativo e lontana da visioni politiche e poco incidente negli equilibri istituzionali.
Così non è. Ne è prova la proroga di un anno delle graduatorie dei vincitori di concorso altrimenti in scadenza, che la Regione Calabria ha dovuto votare. Altro risultato di non poco conto l’aver fatto assumere decine di lavoratori nelle provincie di Catanzaro, Cosenza, Vibo proprio attraverso il rispetto delle graduatorie altrimenti manipolate ad uso clientelare.
Questo dimostra che ogni qual volta si tira un anello delle concatenazioni sociali è inevitabile che altri anelli vengano scossi ed agitati. La questione dello scorrimento delle graduatorie si è così risolta in una critica complessiva della Sanità calabrese.
Con la denuncia dei LEA che denotano livelli di assistenza al di sotto della soglia minima (di decenza), la lotta è diventata generale e a favore di una popolazione sofferente. Su questo terreno si è consolidato un gruppo di compagne/i attivi su una vasta gamma di problematiche di ordine sociale.
Ultima, l’adesione alla giornata di lotta promossa dai compagni di Napoli contro i tagli del Reddito di Cittadinanza. A compimento di questo percorso virtuoso intrapreso dai compagni in Calabria è prossima l’apertura di una nuova sede del S.I. Cobas.
Da questa base operativa sarà più facile attivare contatti e collegamenti già intrapresi in Sicilia e un più assiduo collegamento con la piazza napoletana. Questo crea i presupposti per una rete in grado di specificare meglio le problematiche sociali dei proletari meridionali.
Nelle realtà dove da più tempo data una nostra presenza si sono mantenute le posizioni e data continuità a quel lavoro d’orientamento politico sindacale che risulterà prezioso alla ripresa di un nuovo corso di lotte.
Tra i lavoratori dell’INPS di Milano contestualmente alla crescita del numero delle pratiche da evadere e alla riduzione del personale si registra una recrudescenza dei provvedimenti disciplinari, a Roma si è arrivati a casi di licenziamento. La responsabilità della lavorazione delle pratiche (definite da protocolli e controlli incrociati) dovrebbe coinvolgere sia le figure apicali che subalterne in realtà si risolve nell’accreditare colpe ed omissioni solo sui livelli inferiori mentre i vertici si arrogano il solo ruolo di comminare sanzioni. Si accentua per questa via il ruolo di vigilanza di capi sempre più estranei ai reali processi lavorativi.
A questi insediamenti tradizionali, soprattutto della Sanità, di Genova e Milano si sono collegate molte realtà delle Cooperative Sociali e si sono tratti benefici reciproci. Certo i collegamenti sono stati sporadici, ma si è iniziato a saggiare la fattibilità di ricomporre gli interessi nostri dispersi tra le maglie del mercato degli appalti della salute ai privati. A Genova e Milano abbiamo degli insediamenti stabili che vanno considerati come vere e proprie palestre per la maturazione di competenze sindacali.
A Genova, il nostro intervento tra gli addetti ai musei comunali, al di là del numero dei lavoratori coinvolti, ha posto il problema delle pause e degli orari di lavoro. Questa è una dimensione non sufficientemente valutata che investe tutta la gamma delle attività lavorative anche di chi svolge lavoro di sorveglianza.
A fronte di flussi turistici crescenti, il numero degli addetti è calante. La soluzione trovata dal Comune è di sottoporre le maestranze a tour de force che logorano nel fisico e nello spirito. I temi delle pause, delle festività saltate, degli orari prolungati sono un tutt’uno con la qualità della vita lavorativa aggredita in tutte le situazioni anche in quelle che si suole considerare protette.
A Milano molti compagni che operavano negli ospedali pubblici sono andati in pensione e il nostro lavoro è potuto procedere solo con interventi dall’esterno e con la partecipazione a comitati cittadini attivi nella difesa degli anziani ricoverati in RSA e in difesa dei consultori oggetto dei soliti tagli. In stretto collegamento con la nostra organizzazione operano compagni che sono operatori nel privato e che stanno conducendo una battaglia per far affermare i diritti nei CCD (centri disabili diurni) e nelle RSA.
La dimensione sociale della Sanità, travalica i confini strettamente sindacali e permette forme di dialogo e collaborazione tra le organizzazioni di base. Significativa in Regione Lombardia tra SIAL e S.I. Cobas (in RSU nei termini di desistenza nella presentazione delle liste), la collaborazione che si è riproposta anche nelle iniziative della Rete Nazionale Lavoro Sicuro, che per molti aspetti è un terreno di lavoro contiguo a quello sanitario.
“Se c’è la salute c’è tutto” è uno slogan fatto proprio dai compagni di Viterbo a significare che i confini dell’intervento sanitario si sovrappongono a tutte le espressione di esistenza del proletariato. Questi compagni sono attivi nel coordinamento regionale “la Salute non è una merce” e protagonisti di lotte a favore dei lavoratori della sanità della Tuscia. Questo intervento è prezioso perché va a saldare gli interessi degli operatori con quello della popolazione ed anche perché i temi di ordine sindacale si accordano alla denuncia contro le politiche di guerra che hanno un legame indissolubile con le risorse che (non) si mettono a disposizione per i bisogni di assistenza e salute.
Torino. Il S.I. Cobas solo di recente ha iniziato un intervento sistematico sulla Sanità piemontese. Particolarmente coraggiosa ed efficace la denuncia del degrado dei reparti psichiatrici. Rompendo il muro d’omertà un nostro compagno ha imposto l’intervento delle autorità preposte alla sicurezza degli ambienti e dei pazienti.
La denuncia ha ovviato, almeno parzialmente, alle situazioni di pericolo. Il carattere di questo intervento può sembrare poco radicale e poco “rivoluzionario”. Ma va considerato che le violenze patite da soggetti deboli (pazienti psichiatrici) sono la conseguenza di lucide scelte delle Direzioni, dedite solo alla cura dei bilanci e quindi lontane anni luce da un’etica che ponga al centro la dignità umana.
Queste scelte, che passano come normale gestione amministrativa, sono l’innesco di quelle pratiche di malasanità indotta e consegnata via via ai soggetti che debbono operare in condizioni difficili. È un sistema che ci rende complici delle malefatte se non maturano livelli di sensibilità e sussulti di coscienza. In questo senso l’azione intrapresa dai nostri compagni ha un grande significato politico.
La prova che il recupero di una coscienza sanitaria debba partire dai lavoratori si è manifestata sempre a Torino a proposito di un convegno che ha coinvolto, oltre al personale sanitario, anche altri compagni, medici e tecnici impegnati nella Rete Nazionale Lavoro Sicuro.
Nel convegno si è dibattuto intorno alla figura del Medico Competente. Durante i lavori, oltre ad aver convertito in “incompetente” il medico che dovrebbe essere una figura super partes si è avanzata la proposta che questa figura debba essere scelta da una lista pubblica e non di nomina datoriale.
Scuola. Per quanto riguarda la scuola, l’ipotesi di contratto firmata a luglio di quest’anno stabilisce in effetti qualche miglioria economica. viene istituzionalizza la figura ibrida – dell’Operatore scolastico – che nei precedenti contratti era una scelta discrezionale del direttore amministrativo, soprattutto dal punto di vista della remunerazione stipendiale.
E’ vero: ci sono modesti aumenti di stipendio, già falcidiati dalla persistente inflazione, per insegnanti e ATA (personale con qualifiche di assistente, tecnico o amministrativo) e anche i precari potranno godere dei tre giorni di permesso per motivi personali o familiari, ma rimangono sempre due punti di dequalificazione, che i sindacati confederali non osano toccare nei contratti:
- la carenza a livello oramai drammatico di insegnanti di materie scientifiche o tecniche, che impedisce il completamento degli organici scolastici, con il ricorso al superlavoro degli insegnanti di tali materie che si accollano (seppure volontariamente) un carico di lavoro aggiuntivo del 30% per supplire alle ore di insegnamento mancante.
Questa carenza è legata alla dequalificazione percepita nel lavoro dell’insegnante, per cui i giovani laureati in discipline tecnico-scientifiche trovano più conveniente farsi sfruttare nell’industria, piuttosto che dedicarsi all’insegnamento. Non sono certo i circa 160 € in più di aumento contrattuale che rendono questa professione appetibile !
- Il ruolo, di supplenza “economica” per colmare il deficit di risorse messe a disposizione dal Ministero dell’Istruzione e del Merito si scarica sul personale. È una logica aziendale che però non riconosce meriti e contropartite nel trattamento economico. L’esempio preclaro è quello della riduzione dell’orario di insegnamento a 50 minuti (durata dell’ora di lezione). In questo modo ogni insegnante “recupera” tre ore a settimana, che servono alle supplenze, in modo che il Ministero non debba pagare i docenti supplenti (questo è il fine dichiarato).
Una lotta sindacale dovrebbe essere fatta in tutti gli Istituti per impedire che questo avvenga e devo dire che in molte scuole le RSU, e noi dove siamo presenti, provano ad evitare questa manovra che ha il sapore della truffa che – invece – è fortemente caldeggiata dai Dirigenti scolastici .
Al de-finanziamento della Scuola Pubblica si aggiungere la ricercata disfunzionalità di leggi e di regolamenti funzionali solo a impedire la corretta fruizione del diritto allo studio. Le lotte studentesche per gli alloggi sono un legittimo tentativo per opporsi ad uno stato che arretra il suo perimetro d’azione a tutela del welfare.
La riduzioni del personale, attuata con varie forme, dei fondi per la fornitura di libri, dei sussidi informatici ecc, conferma per la scuola la linea dei tagli della spesa sociale attuata in tutto il Pubblico Impiego. Questo processo va di pari passo con la diffusione di programmi di pedagogia nazionalista. La dittatura ideologica di classe trova una terreno di esercizio scolastico per propagandare disciplinamento e preparazione alle guerre di oggi e di domani. Per noi l’unica guerra che merita di essere combattuta e quella contro questo sistema che a partire dalle guerre commerciali e finanziarie porta inevitabilmente a massacri di civili e militari.
Questo bilancio di un anno di lavoro è assolutamente parziale e molto ci sarà da relazionare nel corso della prossima riunione nazionale. Le linee di analisi, qui, succintamente illustrate sono da completare con le testimonianze e le riflessioni dei protagonisti di ogni singola esperienza .
I compagni potranno colmare nel corso dei interventi lacune ed omissioni. Inoltre va precisato che molte attività sanitarie e non che ruotano intorno alla galassia S.I. Cobas, non è stato possibile elencare.
A consuntivo di quanto illustrato, un primo insegnamento politico credo si possa già formulare.
Il quadro è dominato da guerre e politiche di guerre e da una propaganda nazionalista (anche se la nazione si chiama Europa) che ingenera anche tra i proletari divisioni e concorrenza per la sopravvivenza.
Bisogna contrapporre a questa realtà esterna avversa e complicata al nostro interno un clima di collaborazione e fraternità.
La guerra va esercita nei confronti del nemico di classe. Per vincere individualismi e personalismi che sono i veleni a cui questa società ci educa sin dalla nascita dobbiamo consolidare convinzioni e unità d’azione collettive.
Ogni forma di contrasto e concorrenza va esercitata nei confronti del mondo padronale che si predispone a nuove violenze e nuovi massacri.
Unica e vera forza da attivare ed in cui riconoscersi è il lavoro collettivo.
Se le esperienze di lotta si integreranno come tessere di un mosaico, saremo in grado di padroneggiare le sfide del futuro ed essere una forza di classe e non una semplice presenza di realtà diffuse e scollegate tra loro.
Genova 30.09.2023
Sindacato Intercategoriale Cobas – Coordinamento Nazionale via Bernardo Celentano 5, 20132 Milano (MI) – email: milano@sicobas.org