Sanità: il gioco delle tre carte

Bilancio, la spesa sanitaria aumenta solo sulla carta

di Andrea Capocci (*)

Meloni: «3 miliardi in più». In realtà la spesa per i servizi sanitari cala al 6,3% del Pil. Le opposizioni: «Illusionismo». I cittadini extra Ue dovranno pagare 2.000 euro per l’iscrizione volontaria al Servizio sanitario nazionale.

Uno stanziamento dovuto per il contratto dei sanitari e un po’ di soldi per la sanità privata. Si può riassumere così quello che Giorgia Meloni invece presenta come «il più alto investimento mai previsto per la sanità».
La formula iperbolica serve a nascondere una realtà assai meno rosea per il servizio sanitario nazionale. La premier sa che quello della sanità era uno dei capitoli più attesi della legge di bilancio 2024 e prova a raccontare il bicchiere mezzo pieno.
«Ci sono 3 miliardi in più rispetto a quanto previsto», cioè uno meno di quanto chiedeva il ministro della salute Schillaci. Ribadisce «la priorità dell’abbattimento delle liste d’attesa con due misure: il rinnovo dei contratti e la detassazione degli straordinari e dei premi di risultato». In tutto, fa il conto lei, «quasi 136 miliardi di euro»

Un aumento sulla carta a cui il governo si aggrappa per respingere le critiche dell’opposizione, che lo accusa di «saper solo tagliare», come dice il vicecapogruppo alla Camera di Avs Marco Grimaldi.
In realtà, la manovra prevede appena un miliardo in più rispetto alla spesa del 2023.
È un +0,7% che non basterà nemmeno a recuperare l’inflazione, che quest’anno supera il 5% e per l’anno prossimo è programmata al 2,4%. Dunque un taglio, in termini reali.
E infatti la spesa sanitaria cala al 6,3% del Pil rispetto al già basso 6,6% del 2023. Percentuali che impallidiscono di fronte alla quota di Pil investita in sanità da Germania e Francia, ma che Meloni derubrica a «giochetto».

Peraltro, come specifica la premier, se si escludono i 2,3 miliardi destinati al rinnovo dei contratti del comparto sanitario il resto dello stanziamento governativo (circa 600 milioni di euro) andrà alla sanità privata.
L’«abbattimento delle liste d’attesa» infatti sarà perseguito consentendo alle Regioni di pagare un maggior numero di visite nelle strutture convenzionate, ovviamente a spese del bilancio pubblico. Sono le stesse imprese che basano i propri profitti sulla compressione dei costi del personale visto che, come fa notare il sindacato Cimo-Fesmed, non rinnovano il contratto dei medici della sanità privata da 18 anni.

Non ci saranno dunque risorse aggiuntive per assumere medici e infermieri nel Ssn e colmare le carenze di alcune specialità, perché non saranno rimossi i tetti di spesa regionali sul personale che di fatto bloccano le assunzioni.
Anche gli unici provvedimenti in questo senso, finalizzati ad reclutare il personale che potenzierà la sanità territoriale e le case di comunità, sono rinviati: le Regioni potranno attingere a 600 milioni ma scaglionati nel 2025 (250 milioni) e nel 2026 (350).

Il finanziamento di queste misure passerà anche per qualche norma-bandierina: nella manovra spunta anche un articolo che aumenta nettamente i costi sanitari per gli stranieri extra-Ue residenti in Italia.
«Per i residenti stranieri, cittadini di Paesi non aderenti all’Unione europea – lo riassume il governo – si prevede la possibilità di iscrizione negli elenchi degli aventi diritto alle prestazioni del Ssn, versando un contributo di 2.000 euro annui. L’importo del contributo è ridotto per gli stranieri titolari di permesso di soggiorno per motivi di studio o per quelli collocati alla pari». Da questo aumento il governo punta a incassare ben 240 milioni, una stima che appare esagerata visto che si tratta in gran parte di iscrizioni a titolo volontario.

(*) Tratto da Sbilanciamoci.
Articolo pubblicato da il manifesto del 17 ottobre**

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alexik

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