Black Friday: la corsa di Edith Garrud e delle Suffrajitsu per il diritto al voto
di Santa Spanò
Se oggi scrivo Black Friday (venerdì nero) tutti penserete al prossimo venerdì 23 novembre, perché diciamolo chiaramente noi siamo consumatori e il “venerdì nero”, purtroppo anche qui in Italia, è il giorno delle grandi promozioni per gli acquisti, la corsa all’affare. Gente che trascorre la notte fuori dalle porte dei negozi e che in alcuni casi arriva anche all’omicidio pur di accaparrarsi un oggetto a basso costo.
Abbiamo raggiunto il picco dell’assurdità!
Siamo schiavi del consumismo e degli sprechi, abbiamo perso di vista la comunità e i valori, siamo nella società liquida di Zygmunt Bauman, dove quello che conta è l’apparire a tutti i costi in un individualismo sfrenato, è questo il nuovo valore. Una società fragile, senza punti di riferimento, liquefatta, dove rischiamo di perdere i diritti senza neanche rendercene conto.
Là dove mancano le certezze, e il consumismo la fa da padrone, siamo tutti in pericolo. È sufficiente poi abbassare il livello dell’istruzione, introdurre la cultura del pensiero elementare e affrettato, una sana superficialità e una buona dose di aggressività per ritornare nuovamente ad essere spettatori nelle arene, e come allora fornire un adeguato spettacolo per “ingraziarsi il popolo e distogliere l’attenzione dei cittadini dalla vita politica”.
E per usare un’efficace espressione francese “Rien ne va plus, les jeux sont faits” (nulla è più valido, i giochi -ormai- sono fatti), perché come scrive Pat Miller, ed io cito spessissimo, nel suo libro Volutamente Ignorante:
“Il modo migliore per prendere il controllo di un Popolo e soggiogarlo, è di togliergli la libertà poco alla volta, sgretolare i loro diritti con migliaia di piccole e semi-impercettibili riduzioni. In questo modo la gente non si accorgerà che quei diritti e quelle libertà gli sono stati tolti, fino a dopo che questi cambi siano diventati irreversibili.”
Una lunga premessa per dire che siamo facili alla distrazione manipolata e tanto più facile per chi la manipola toglierci quello che abbiamo a fatica conquistato. Questo pensiero per le donne vale il centuplo, la nostra storia di donne è una continua battaglia per il riconoscimento dei diritti fondamentali, abbiamo dovuto attendere il 1919 per vedere abrogata “l’autorizzazione maritale”, senza l’autorizzazione del marito la donna non aveva capacità di agire, non avevamo alcuna possibilità di partecipare attivamente alla vita pubblica e di godere degli stessi diritti civili e politici degli uomini, il diritto di voto da noi fu conquistato solo nel 1946.
Le conquiste hanno un prezzo, e questo prezzo lo abbiamo dimenticato e sostituito con quello ammiccante delle vetrine. Ma queste distrazioni potrebbero costarci un prezzo molto salato dando tutto per scontato e lasciando passare le “migliaia di piccole e semi-impercettibili riduzioni”, pensiamo ad esempio al recente e molto discusso decreto legge Pillon, pieno di ombre e formulazioni ambigue. “Impercettibili riduzioni” appunto che potrebbero cancellare diritti conquistati con fatica, e in alcuni casi con la vita stessa, dalle donne meno di un secolo fa.
Se ora scrivo Black Friday 18 novembre 1910 a molti dirà poco o niente, e niente c’entra con la folle corsa agli acquisti, in quel giorno del 18 novembre, a Londra, 300 donne marciavano verso le Camere del Parlamento del Regno Unito per ottenere il diritto di voto. Fu un “venerdì nero”, titolo tristemente guadagnato per la violenza inflitta alle manifestanti, anche di natura sessuale, dalla polizia metropolitana e dai passanti maschi, la brutalità dell’assalto portò al ferimento grave di molte dimostranti e alla morte di due suffragette, così venivano definite le appartenenti al movimento di emancipazione femminile nato per ottenere il diritto di voto per le donne, e Winston Churchill, all’epoca Ministro degli Interni, respinse le richieste di un’inchiesta pubblica.
La lotta per la rivendicazione dei diritti delle donne e il riconoscimento all’interno della società non è chiusa al doloroso ricordo del 18 novembre 1910, ma fu disseminata di “Black Friday”, perché ogni azione dimostrativa portava inevitabilmente alla cariche brutali della polizia, all’assalto di bande organizzate che compivano ogni tipo di nefandezza, all’arresto.
“In opposizione alla continua e ripetuta detenzione di molte delle loro aderenti, la WSPU introdusse lo sciopero della fame nelle carceri della Gran Bretagna. La politica di alimentazione forzata delle autorità portò le suffragette ad essere prese in simpatia da parte del pubblico. Il governo approvò poi una disposizione che permetteva di rilasciare un mandato temporaneo di libertà alle detenute in cattiva salute (articolo 1913-comunemente chiamato “l’atto del gatto e del topo”), che permise la liberazione di suffragette che erano prossime alla morte a causa della malnutrizione. Una volta ristabilite, tuttavia, le militanti incarcerate potevano essere reimprigionate. In risposta a questa disposizione, la WSPU organizzò un team di sicurezza per tutte le donne, chiamate guardie del corpo, allenato da Edith Margaret Garrud”. (Leggi su Wikipedia)
Così se adesso scrivo anche Edith Margaret Garrud ancora a molti dirà poco o niente, se si esclude una chiamiamola citazione nel film del 2015 Suffragette diretto da Sarah Gavron, incentrato sulla figura della leader del movimento delle suffragette Emmeline Pankhurst.
La quasi insignificante citazione si deve alla figura di Edith Ellyn nell’interpretazione di Helena Bonham Carter, che in un’intervista ha dichiarato di aver voluto cambiare il nome del suo personaggio dall’originario “Caroline” a Edith, avendo scoperto la figura, quasi sconosciuta, di Edith Garrud e il suo ruolo chiave nell’aver insegnato alle suffragette l’arte marziale del jūjitsu per difendersi dagli attacchi della polizia.
Edith Garrud non è un personaggio nel film, ma meriterebbe un film dedicato alla sua figura per aver allenato e formato la squadra di guardie del corpo, composta da 25 donne, di Emmeline Pankhurst, “l’attivista e politica britannica che guidò il movimento delle suffragette femministe del Regno Unito, aiutando le donne ad ottenere il diritto di voto”, il loro compito era quello di mescolarsi tra la folla ed impedire l’arresto della loro leader e le altre rappresentanti del movimento, tanto che la stampa le soprannominò le “Amazzoni”.
Sostenitrice dell’autodifesa divenne all’interno della WSPU (Women’s Social and Political Union) l’istruttrice di bartitsu, un metodo di autodifesa ideato dall’ingegnere inglese Edward William Barton-Wright, una combinazione fra jūjitsu, judo e pugilato, che prevedeva anche l’uso dell’ombrello o del bastone da passeggio. Edith, che prese inizialmente lezioni proprio da Edward William Barton-Wright, insegnava alle “Amazzoni” come sbilanciare l’avversario, sorprenderlo e atterrarlo con l’uso combinato del jūjitsu e del bastone.
Una tecnica che consentiva alle suffragette di proteggersi dagli assalti della polizia e dalle aggressioni degli anti-suffragisti, tanto che la più famosa rivista satirica britannica Punch nel 1910 le dedicò una vignetta che raffigurava i poliziotti spaventati e scaraventati dai suoi colpi.
“Nata nel 1872 in Inghilterra, a Bath nella contea di Somerset, Edith Garrud perfezionò l’arte del jūjitsu insieme al marito William, un istruttore di ginnastica, pugilato e wrestling, sotto Sadakazu Uyenishi, uno dei primi istruttori giapponesi ad insegnare arti marziali al di fuori del Giappone.
Quando Uyenishi tornò in Giappone nel 1908, William ed Edith assunsero le funzioni di insegnamento nel suo dojo a Golden Square, nella zona di Soho a Londra.” (Leggi su Fightland)
Invitata a tenere una dimostrazione di jūjitsu durante una riunione del WSPU, dimostrò come una donna piccola come lei, era alta poco più di 1 metro e 50, poteva tenere testa ad un avversario fisicamente più grande e più forte. Iniziò così la storia di Edith Garrud e delle “Suffrajitsu”, come sono state poi battezzate le suffragette istruite dalla loro maestra.
Continuò ad allenare le suffragette in luoghi segreti della città, a nascondere le attiviste nell’ex dojo di Uyenishi, insegnò loro ad usare le clave di legno che portavano nascoste sotto i loro abiti contro i manganelli della polizia, fece di loro donne pronte a resistere agli arresti, a sopportare il dolore per difendere le loro compagne e il diritto all’uguaglianza. Fece questo fino al loro scioglimento avvenuto poco dopo l’inizio della prima guerra mondiale.
La storia, di lei ci lascia una targa commemorativa affissa sulla casa dove visse a Thornhill square e una breve apparizione in Suffrajitsu , una trilogia di graphic novel di Tony Wolf e João Vieira pubblicata da Jet City Comics:
[…] “La loro ultima linea di difesa è la società segreta elitaria di “Amazzoni”; donne addestrate nell’arte marziale del Bartitsu e giurate di proteggere i loro capi dall’arresto e dall’assalto.
La posta in gioco aumenta drammaticamente quando le Amazzoni vengono spinte in un mortale gioco del gatto e topo…” (Suffrajitsu)
«La donna è esposta a molti pericoli al giorno d’oggi, perché così tanti che si definiscono uomini non sono degni di questo titolo, ed è suo dovere imparare a difendersi»
ha scritto Edith Garrud ed è ancora così!
Altre fonti e letture:
Edith Garrud: The Suffragette Who Knew jūjitsu di Tony Wolf
- Le immagini in questo post sono presenti solo a scopo illustrativo. Copyright dei rispettivi aventi diritto che ringrazio.
Quel che diceva Pat Miller lo sosteneva anche Adolf Hitler. E lo stanno applicando in Italia, almeno dalla fine degli anni ‘70. Dopo la grande paura del biennio rosso 1968-1969, una controrivoluzione a piccole, progressive dosi. E non è ancora finita…
Interessante articolo ma mi sconcerta dover pensare a difendermi con la forza fisica ,
sono pacifista e faccio parte delle Donne in Nero , credo fermamente che dobbiamo escogitare altri mezzi che non prevedano la violenza
Grazie Serenella per il contributo, rifuggo anch’io ogni forma di violenza, la risposta delle Suffrajitsu va letta all’interno di un periodo storico e di una storia al femminile molto dura.
Così come le parole di Edith Garrud, che condivido, “La donna è esposta a molti pericoli… ed è suo dovere imparare a difendersi”, non devo essere intese come invito all’aggressione, la difesa va portata avanti sempre sul piano delle argomentazione e delle azioni non violente con tutti i mezzi e sistemi che la nostra democrazia ci mette a disposizione.
Certo è che se una donna viene fisicamente aggredita, abusata, maltrattata, pestata sino alla morte ed ha la possibilità e la preparazione a difendersi, come giusto atto di legittima difesa, lo preferirei, in assoluto, alla morte.
Articolo davvero molto interessante!
Grazie Sara
Non conoscevo Edith Garrud, questo tuo intervento mi ha aperto ancora nuovi spiragli e interessi. Ti ringrazio, Santa, come sempre valeva la pena di leggerti.
Concordo sulla non violenza, ovviamente, ma ciò non può significare il rimanere passive e inermi agli attacchi violenti che ancora oggi purtroppo non mancano.
Grazie ancora.
c.
Grazie mille Clelia, il ritratto di Edith Garrud e il contesto storico in cui è vissuta purtroppo ci dicono, come tu stessa hai rimarcato, che molte cose sono cambiate, ma la violenza continua ad esserci e i diritti delle donne sembrano essere messi continuamente in discussione, vuoi anche un contesto sociale in piena crisi. Non sono tempi maturi né per adagiarsi, né tanto meno per non informarsi e questo vale su tutti i fronti, ahimè!