Brasile: aria di golpe
Dietro la strategia della tensione oligarchia e destra eversiva. La difesa della democrazia passa dall’attivismo dei movimenti sociali
di David Lifodi (*)
Fora vaca (riferito a Rousseff) e Lula ladrão sono solo alcuni degli epiteti che negli ultimi giorni oligarchia, destre radicali e gruppi studenteschi, finanziati da organizzazioni non governative del think thank conservatore statunitense, urlano nelle piazze.
Le strade si sono riempite improvvisamente di manifestanti che si sentono in diritto di innalzare cartelli del tipo SOS Forças Armadas, inneggiare al ritorno della dittatura militare del 1964 e chiedere l’intervento dell’esercito. Si schierano contro Lula e Dilma Rousseff addirittura alcuni ristoranti di Rio de Janeiro, come riporta Brasil de Fato, evidenziando l’adesione alla protesta tramite slogan e striscioni. Alla guida della protesta, gruppi quali Revoltados On Line, Vem para Rua e Movimento Brasil Livre. Nel corso dei cortei di protesta, si vedono i manifestanti che si scattano selfie con la polizia militare, tra chi inneggia alla saida, come nel Venezuela antibolivariano, e l’ultradestra che invoca apertamente il colpo di stato, ad esempio per bocca del deputato Jair Bolsonaro, un pagliaccio che però ha seguito grazie alle sue sparate. Non possono mancare, in questa sorta di confusa coalizione accomunata solo dall’odio per un Partido dos Trabalhadores peraltro colpevole di aver stretto legami ormai inscindibili con il padronato, gruppi cattolici radicali quali Tradição, Familia e Propriedade (caratterizzato dal motto Menos Marx, Mais Mises), la Fiesp, corrispondente alla nostra Confindustria, e sciacalli come Aécio Neves (sconfitto da Dilma Rousseff alle ultime presidenziali) e il governatore di San Paolo Geraldo Alckmin, peraltro anch’essi contestati dai manifestanti anti Lula e Dilma. In questo contesto, l’unica risposta democratica può passare attraverso i movimenti sociali, scesi a loro volta in piazza per denunciare l’evidente tentativo di colpo di stato ai danni della presidenta democraticamente eletta. In gioco c’è il futuro della democrazia brasiliana e questo le organizzazioni popolari lo hanno capito molto bene. Questo è il momento di essere uniti, nonostante Lula e Dilma siano stati, in passato, oggetto di critiche feroci per i loro tentennamenti sulla riforma agraria, l’opinabile vicinanza con l’agrobusiness e la svendita del Paese alle multinazionali. Il 31 marzo, anniversario del golpe del 1964, i Sem Terra hanno invitato il Brasile che vuol impedire il colpo di stato a scendere di nuovo in piazza.
Al tempo stesso, la situazione non è semplice e il Partido dos Trabalhadores non ha la necessaria forza morale per difendersi dall’offensiva delle destre, annota Raúl Zibechi, uno dei più lucidi analisti politici della sinistra latinoamericana. Lo scandalo Lava-Jato, al pari di altri episodi di corruzione, ha travolto i vertici del partito, indipendentemente dalla posizione di Lula e Dilma, a carico dei quali, finora, non vi è nessuna prova certa, anche se la stampa, compresa la nostra, implicitamente accusa entrambi di riciclaggio di denaro sporco e mazzette per quanto accaduto dentro Petrobras. Oltre ai soliti noti di cui si conosce l’avversione per la sinistra brasiliana, a scendere in piazza sono anche tante persone comuni che non approvano gli slogan più violenti e radicali scanditi contro il Pt, Rousseff e Lula, ma sono comunque in forte difficoltà a causa della crisi economica che, oggettivamente, sta mettendo in forte difficoltà l’intero Paese. È altrettanto evidente che se il Pt andasse a gambe all’aria e, soprattutto, il golpe diventasse realtà, a pagarne le conseguenze sarebbe tutta la sinistra latinoamericana. Non solo: il lulismo finirebbe per scontare anche molte colpe non sue. Se è vero che anche alti esponenti del Pt negli ultimi anni sono stati coinvolti in episodi di corruzione, non è certo da meno Fernando Henrique Cardoso, presidente del Paese dal 1995 al 2002, così come i vari Alckmin o Neves, eppure lo stinto centrosinistra brasiliano rischia di pagare per tutti e in maniera salata. Il secondo mandato di Dilma Rousseff è nato sotto i peggiori auspici a causa delle discutibili, quanto inevitabili, alleanze a livello parlamentare, con i peggiori settori della destra. Eppure tutti questi compromessi non sono bastati, così come era accaduto a Fernando Lugo in Paraguay, ed ora l’opposizione si appresta a passare all’incasso, sbandierando il quasi 7% di disoccupazione e addossandone la responsabilità al Pt, nonostante i quasi 40 milioni di brasiliani usciti dalla povertà grazie ai programmi sociali, benché di carattere principalmente assistenzialista, sviluppatisi a partire dal primo mandato di Lula. Con i suoi oltre 200 milioni di abitanti e le enormi disuguaglianze sociali, il Brasile resta un Paese che rischia sempre più una forte polarizzazione politica, peraltro creata ad arte come in Venezuela. Per il momento, il compito principale dei movimenti dovrà essere quello di scongiurare l’impeachment che, come una spada di Damocle, minaccia Dilma Rousseff, ed evitare l’arresto di Lula, nominato primo ministro dalla presidenta nel tentativo di garantirgli l’immunità. Nonostante i giudici che vogliono la fine dell’ex presidente e principale candidato per il Planalto nel 2018 (oltre a Moro, quello che ne ha bloccato la nomina a ministro della Casa Civile, il quale partecipava attivamente alle marce dell’opposizione appoggiandone gli slogan e i metodi apertamente fascisti) abbiano scatenato una vera e propria campagna d’odio contro Lula, per certa opinione pubblica gli oppositori sono tutti dei sinceri democratici, in un pericoloso quanto inquietante parallelo con ciò che sta accadendo in Venezuela per delegittimare Maduro.
Il latifondo mediatico brasiliano non si è certo lasciato sfuggire l’occasione di insinuare calunnie contro Lula e Dilma (senza prove provate), sostenere la magistratura apertamente a favore del colpo di stato e propagandare l’idea che possa farsi strada una sorta di diritto parallelo volto ad annientare non solo presidenta ed ex presidente, ma tutta la sinistra brasiliana. È per questi motivi che, già a settembre 2015, era nato il Frente Brasil Popular, che raggruppa quasi 70 movimenti sociali, a partire dai Sem Terra. Al centro del programma del Frente la difesa dei diritti dei lavoratori, che nella vicina Argentina sono già stati oggetto di feroci attacchi da parte di Mauricio Macri, la tutela delle conquiste sociali, della sovranità nazionale e dell’integrazionismo latinoamericano, oltre alla battaglia per mantenere la democrazia nel più grande Paese dell’America Latina. Anche a questo proposito, però, la situazione è assai intricata. Se è vero che lo stato di diritto è attualmente sotto il fuoco delle destre, il Pt ha in parte avallato questo sistema, a partire dalle alleanza strette da Lula con le elites, con buona pace dei suoi trascorsi da leader operaio e da combattente contro il regime militare. Un esempio significativo, evidenzia il Partido Socialismo e Libertade – da sempre molto critico, da sinistra, del Pt – riguarda il legame instaurato proprio da Lula con l’impresa edile Odebrecht, una delle più potenti di tutta l’America Latina. E ancora, Carta Capital sottolinea l’atteggiamento ambiguo del Pt verso la polizia militare che, negli ultimi anni, si è resa responsabile di numerosi crimini ai danni della popolazione delle favelas e degli afrobrasiliani sfruttando la compiacenza dello stesso Partido dos Trabalhadores, che raramente si è mosso per garantire i diritti delle fasce sociali più povere e marginali della popolazione dagli abusi di stato.
In definitiva, al primo punto dell’agenda del Brasile democratico viene l’opposizione al golpe, ma al tempo stesso il governo deve cambiare rotta, a partire dalla politica economica. Nelle manifestazioni degli ultimi giorni è emerso, in maniera chiara, che nelle piazze ci sono due modelli di società: da una parte le elites, dall’altra le periferie che rifiutano la strategia della tensione dell’oligarchia. Contemporaneamente, il governo deve capire che è difficile mobilitare settori del Paese che ogni giorno devono fare i conti, con la fame, la disoccupazione e che assistono ai continui scandali che coinvolgono la classe politica brasiliana. Se il Pt riesce a recuperare il suo capitale politico, ci sarà una speranza in più di evitare un colpo di stato che la destra intende sfruttare a livello continentale.
(*) tratto da www.peacelink.it – 21 marzo 2016