Brasile: costretta all’esilio per la sua battaglia a favore dell’aborto
Camila Mantovani, fondatrice del Frente Evangélica pela Legalização do Aborto, lo scorso aprile ha dovuto abbandonare il paese a causa delle minacce di morte ricevute dai gruppi evangelici fondamentalisti legati a Jair Bolsonaro.
di David Lifodi
Camila Mantovani è una giovane di 24 anni, attiva nel Partido Socialismo e Liberdade (Psol) e fondatrice del Frente Evangélica pela Legalização do Aborto. Alla fine di aprile è stata costretta ad abbandonare il suo paese, il Brasile, a seguito delle minacce ricevute per il suo impegno dedicato ai diritti delle donne, a partire da quello all’aborto. Adesso Camila vive in un altro stato latinoamericano. La situazione aveva cominciato a divenire insostenibile alcuni mesi fa, quando i suoi familiari, loro malgrado, iniziarono a ricevere messaggi minacciosi in cui sconosciuti proponevano di “prendersi cura” della ragazza.
La sua storia, quella di esiliata in quanto giovane impegnata a difendere il diritti delle donne, Camila Mantovani ha deciso di raccontarla, attraverso una lunga intervista, a Brasil de Fato. L’analisi di quanto sta accadendo in Brasile è molto chiara. Se negli anni Sessanta e Settanta, di fronte alle dittature militari, la Teologia della Liberazione, insieme alle comunità ecclesiali di base, servì a gettare le basi per un processo di ridemocratizzazione dell’America latina, da anni, in tutto il continente, si è diffusa la Teologia della Prosperità. Si tratta di una teologia dell’odio, fascista, che non riconosce né il pluralismo né le differenze. In Brasile la scalata al potere di Bolsonaro è stata appoggiata da gran parte dei gruppi evangelici, in un contesto caratterizzato da un crescente fanatismo e fondamentalismo religioso spesso sottovalutato anche dalle stesse forze di sinistra, segnala la giovane.
Tra le poche realtà evangeliche a sostenere Camila il Conselho Nacional de Igrejas Cristás do Brasil (Conic), che ha denunciato la deriva sempre più reazionaria della bancada evangélica (composta attualmente da ben 91 congressistas), associandola ad organizzazioni legate al crimine organizzato. Solidarietà a Camila Mantovani è arrivata anche da Talíria Petrone, la deputata federale del Psol che aveva Camila nel suo staff di collaboratrici.
“La laicità dello Stato brasiliano è minacciata e calpestata”, ha denunciato la fondatrice del Frente Evangélica pela Legalização do Aborto: “Bolsonaro ha una doppia appartenenza religiosa, è cattolico o evangelico a seconda della convenienza del momento. Abbiamo ministri, senatori e deputati evangelici che concordano con il progetto di potere fascista di Bolsonaro”. Per far capire quanto la situazione sia allarmante in Brasile, Camila Mantovani utilizza la parola “cristofascismo”, coniata dalla teologa della liberazione tedesca Dorothee Solle (1929-2003) per spiegare che l’ascesa del nazismo in Germania fu favorita da una base sociale cristiana la quale al tempo stesso si riconosceva nelle idee di Hitler. Cristofascismo è il fascismo applicato al cristianesimo.
La storia di Camila Mantovani ha rischiato di essere molto simile a quella di Marielle Franco, anch’essa del Psol. Per fortuna, da quando si è trasferita in un altro paese dell’America latina, le minacce contro la giovane, soprattutto sui social network, sono calate di intensità. Camila si era abituata ad essere seguita da persone armate e, per questo, spesso cercava di non dare loro dei punti di riferimento. La sua partenza dal Brasile è stata favorita da una rete solidale che l’ha sostenuta di fronte agli attacchi del fondamentalismo evangelico. La ragazza è riuscita a salvare la propria vita, anche se ha perso il diritto di vivere la propria giovinezza, vittima di un radicalismo che non tollera le diversità, non a caso, sempre in Brasile, sono in molti ad essere perseguitati a causa del fondamentalismo evangelico e cattolico, il cui scopo, sottolinea Camila, è quello di “eliminare le altre religioni e, non caso, il loro odio è rivolto soprattutto contro le religioni di origine africana”.
Il lavoro di Camila con il Frente Evangélica pela Legalização do Aborto, condotto soprattutto nelle favelas di Rio de Janeiro, aveva convinto diverse organizzazioni evangeliche a firmare un documento favorevole alla depenalizzazione dell’aborto, un fatto storico nella storia delle lotte delle donne brasiliane, soprattutto in un contesto in cui gran parte delle chiese evangeliche e dei gruppi cattolici più reazionari si è sempre dichiarata contraria all’aborto, insistendo inoltre sulla criminalizzazione di tutte coloro non vogliono né avere figli né essere madri. “Lo Stato decide e lo Stato è maschio. In pratica sono gli uomini a decidere sui nostri corpi”, ha affermato Camila, ricordando che “il Brasile governato dagli evangelici è un Brasile anti-popolare, anti-diritti e anti-pluralità. Chi difende la laicità dello Stato è massacrato da uno Stato che non è laico”.
L’ondata reazionaria che sta attraversando il Brasile negli ultimi tempi è stata più volte denunciata dal Psol, il partito in cui militava Camila. Poveri, neri, donne, indios e la comunità lgbts ono costantemente vittime di attacchi da parte di un fondamentalismo religioso evangelico e cattolico che tenta di monopolizzare la fede per scopi politici.
“La lotta di Camila”, ha scritto il Psol in una nota, “è per i diritti di tutte le donne, specialmente di quelle povere e nere, costrette spesso ad abortire in maniera clandestina e molto pericolosa dal punto di vista della salute. L’impegno di Camila è dedicato a loro, affinché abbiano diritto a decidere sul proprio corpo”.