Brasile: la criminalizzazione della povertà
Nello stato di San Paolo l’Operação Escudo miete vittime tra le fasce sociali più povere e marginali. Nel mirino i giovani delle periferie, i favelados e gli afrobrasiliani. Il governo brasiliano è balbettante ed ha difficoltà nel fare rispettare i diritti umani.
di David Lifodi
Foto: https://www.brasildefato.com.br/
Nel Brasile di Lula, che cerca di progredire in tema di diritti civili, sociali e politici dopo gli anni del bolsonarismo, la repressione poliziesca non accenna a diminuire, esaltata da governatori fanatici come quello dello stato di San Paolo, Tarcísio de Freitas (Republicanos). È stato il governatore in persona, infatti, a dare mano libera alla polizia militare tramite la cosiddetta Operação Escudo, un’operazione di pulizia sociale condotta ufficialmente contro la criminalità organizzata, ma in realtà rivolta nei confronti delle fasce sociali più povere e marginali dello Stato.
L’ Operação Escudo, culminata nella carneficina della Baixada Santista di fine luglio-inizio agosto, in poco più di due mesi ha fatto oltre 20 morti, provocati dall’intervento della polizia, e oltre 300 arresti. Assecondando i peggiori istinti della stampa securitaria e del bolsonarismo, all’insegna dello slogan “bandido bom é bandido morto”, l’operazione repressiva non ha fatto altro che rafforzare il potere delle milizie.
La giustificazione per operazioni di questo tipo è sempre la stessa, quella di combattere i trafficanti di droga e i gruppi come il Primeiro Comando da Capital o il Comando Vermelho, ma, a pagare, sono in prevalenza i giovani, in prevalenza afrobrasiliani, residenti nelle favelas e nelle estreme periferie delle megalopoli.
A scatenare l’Operação Escudo è stata l’uccisione di un soldato, Patrick Reis, un’occasione per permettere a Guilherme Derrite, uomo di Tarcísio de Freitas, a sua volta ex poliziotto con delega alla sicurezza, di scatenare una vera e propria vendetta che niente aveva a che fare con la lotta alla criminalità. Entrambi hanno sempre negato la trasformazione delle forze di polizia in veri e propri gruppi dediti alla giustizia sommaria senza alcun timore, un segnale della forza del bolsonarismo, ma soprattutto dell’intolleranza di una parte del paese approfittando dell’indifferenza e delle difficoltà del Planalto.
La trasformazione delle forze di polizia in milizie private è tale che, nel 2022, ad essere eletti in qualità di deputati nello stato di Rio de Janeiro, sono stati molti i candidati che avevano garantito il proprio appoggio alle famiglie a cui appartenevano membri delle stesse milizie.
Non a caso, è forte il legame tra il governatore di Rio de Janeiro, Claudio Castro, e quello di San Paolo Tarcísio de Freitas.
Isabela Vianna Pinho, membro del Núcleo de Pesquisas Urbanas NaMargem all’ Universidade Federal de São Carlos (UFSCar) e studiosa del mercato transnazionale della cocaina in Brasile, in particolare dal porto e delle favelas di Santos, sostiene che è la stessa polizia a voler far ingresso nel traffico di droga. Ovviamente, non si riferisce a tutti gli appartenenti alle forze dell’ordine, ma questo fa capire che il motivo delle operazioni repressive non è nemmeno quello sbandierato ufficialmente, la lotta alla criminalità, quanto, piuttosto, un tentativo di ribadire che una parte di loro voglia mostrare la propria egemonia nel commercio della droga rompendo l’egemonia di gruppi storici come il Primeiro Comando da Capital.
Lo scorso 28 luglio, ad essere vittima dell’ Operação Escudo, è stato un quindicenne accusato di vendere droga e possedere un’arma. L’omicidio dell’adolescente, ucciso dalla polizia militare a Guarujá, nel litorale paulista sembrerebbe spinto il governo Lula ad intervenire per porre un freno alla mattanza di poveri, giovani di colore e abitanti delle periferie che, almeno nello stato di San Paolo, vivono in zone occupate dalle forze dell’ordine. L’ Operação Escudo potrebbe essere ribattezzata come Operação de aniquilamento: operazioni simili sono in corso anche nello stato di Rio e in altri stati del paese.
In Brasile, soprattutto negli ultimi anni, le politiche di sterminio e criminalizzazione della povertà, la cosiddetta “política do abate”, sono cresciute, sia nel nome di una falsa lotta alla criminalità organizzata sia perché sono state ritenute utili per guadagnare voti, soprattutto a destra.
Dal canto suo, il governo brasiliano ha difficoltà nel fare rispettare i diritti umani, promuovere una riforma urgente del sistema penale che metta fine a discutibili carcerazioni di massa, che peraltro non risolvono il problema della sicurezza e implementare investimenti sociali nelle periferie che possano finalmente condurre a politiche di sicurezza pubblica dal volto umano.
Inoltre, il governo si trova spesso in difficoltà quando parla del rapporto tra sicurezza e forze di polizia, come risulta evidente dalle parole del ministro della Giustizia Flávio Dino, che ha parlato di un numero esagerato di morti in azioni come l’Operação Escudo, come se un numero minore di persone uccise fosse giustificabile.
Purtroppo non bastano i moniti di Lula ai governatori affinché puniscano i comandi militari colpevoli di aver ucciso favelados e giovani afrobrasiliani, ma serve, piuttosto, l’attuazione di misure di protezione utili a tutelare realmente le comunità minacciate.