Brasile: la sconfitta della democrazia – II parte
Seconda delle tre puntate dedicate ad analizzare il sorprendente, ma non troppo, trionfo di Jair Bolsonaro, che dal 1 gennaio è divenuto il nuovo presidente del Brasile. Al Planalto siede un uomo di ultradestra, razzista e pericoloso.
di Luigi Eusebi
Gli autogoal della sinistra
Come si spiega che dopo 13 anni di governi del PT, di stampo relativamente progressista, 57 tra i 147 milioni di elettori brasiliani, su una popolazione di 208 milioni di persone (il voto in Brasile è obbligatorio tra i 16 ed i 70 anni), elegga presidente come volto nuovo un militare di basso rango e prestigio, deputato federale per 29 anni (ovvero sette mandati consecutivi), che ha presentato nella sua “carriera” un solo progetto di legge, sconosciuto ai più e indagato (lui e famiglia) per corruzione? Più che un politico una sorta di caricatura ideologica, noto principalmente per elogiare la tortura, dispiacersi che durante la dittatura siano state uccise “solo” 30.000 persone, misogino, razzista, omofobo, impreparato in economia e nella gestione del governo (come da lui stesso ammesso in campagna elettorale, con la postilla che una volta eletto si sarebbe circondato di uno staff competente), che ha avvisato oppositori, militanti di sinistra e movimenti sociali che avranno la scelta tra andarsene dal paese o finire in carcere?
Jacques Wagner, ex Ministro del Lavoro nei governi Lula ed ex-Governatore della Bahia, una delle poche figure di sinistra a non essere finora finito nella graticola di indagini e processi, è convinto che alla fine “a cadeira ajeita” (la poltrona, la carica, aggiusta molte cose, nel senso di ridimensionare gli slogan da campagna elettorale). In effetti, nonostante la sagra degli orrori dello schieramento di Bolsonaro, finora va riconosciuto un relativo basso profilo da parte del presidente, meno carico di minacce truculente ad effetto nella fase di transizione post voto.
Ritornando alle cause del processo di imbarbarimento politico va ammesso che, nonostante le politiche di inclusione sociale dei tempi di Lula che, pur in forma non strutturale, hanno sollevato dalla miseria circa 36 milioni di brasiliani, ci sono stati errori da parte del PT, il quale ancora oggi non ammette autocritiche: “E’ evidente che diversi dei nostri hanno commesso fesserie – ammette Wagner a denti stretti – ma non è questo il momento storico per leccarci le ferite”.
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E’ provato il coinvolgimento di diversi leader del PT in casi di corruzione su larga scala, si pensi al notissimo e squallido caso “Lava Jato” (autolavaggio, un’operazione spacciata come la Mani Pulite in salsa tropicale che ha scoperchiato un sistema generalizzato di corruzione e connivenza tra politica e grandi imprese statali e private), con una gestione delle alleanze economico-politiche senza scrupoli. Finora nessun esponente del PT è stato punito, dalla commissione etica del partito o da organi di gestione. Da notare che si tratta di un partito nato sulla base delle lotte e del sangue versato nel periodo della dittatura, che ha fatto dell’etica e della democrazia le sue basi valoriali, non paragonabile a qualunque partito di sinistra europeo, se non, forse e con i dovuti distinguo, al movimento partigiano
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La poca dimestichezza con i moderni social network e dei media in genere, che da tempo governano e indirizzano le tendenze elettorali ed educative. Non ci si è soprattutto preoccupati in tanti anni di gestione della cosa pubblica di avviare un processo di alfabetizzazione anche politica della popolazione
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Non aver promosso le riforme strutturali necessarie e promesse in 13 anni di governo: sanitaria, educativa, agraria, del lavoro, previdenziale. Il PT oggi è vittima delle riforme politiche non realizzate
Le oceaniche manifestazioni di protesta del 2013, pre e post Mondiali di Calcio disputati in Brasile, erano suonate come un primo campanello di allarme, non rilevato. Milioni di persone in piazza, a volte senza sapere bene perché e per cosa, una moltitudine spesso acefala, scesa in strada rabbiosa, piena di proteste ma senza proposte, che non si considerava rappresentata da nessun partito. L’anno successivo Dilma Rousseff venne rieletta per un pugno di voti, ed anche in questo caso non venne colto il segnale politico, che avrebbe richiesto capacità di recepire le istanze delle piazze e maggiore coerenza con valori etici che per decenni avevano motivato la base del PT. Viceversa venne scelta la strada opposta, come spesso avviene in molte, troppe zone del mondo con governi suppostamente progressisti, con l’adozione di politiche neoliberiste ortodosse, specie in campo economico e sociale, incorporando programmi e ideologie delle destre.
Come ironizza Frei Betto, frate dominicano, una delle figure principali della teologia della liberazione, scrittore, giornalista, acuto osservatore politico e mio… “collega” ai tempi del primo governo Lula, in qualità di responsabile del programma “Fame Zero”: “I governi del PT sono come dei musicisti che afferrano il violino con la sinistra per suonarlo con la destra…”.
Così il PT, avendo perso progressivamente consenso e base di appoggio, è diventato fragile, isolato e vulnerabile nei confronti del golpe parlamentare che ha portato in tempi brevi all’impeachment di Dilma Rousseff, senza che in quel periodo vi fossero manifestazioni di piazza di protesta. Il vice di Dilma, il “Brutus” Michel Temer, rappresentante mediocre e corrotto delle elites più reazionarie, la cui sola presenza in un governo progressista rappresentava di per se un indizio chiaro di schizofrenia politica, una volta ricevuta l’investitura di un’inaspettata presidenza non fece che far sprofondare ulteriormente il paese nella crisi. 14 milioni di disoccupati, recessione dell’economia dopo oltre dieci anni di crescita esponenziale, riforma del lavoro contraria ai più elementari diritti dei lavoratori, 63 mila persone all’anno assassinate per le strade (il 10% del totale mondiale), militarizzazione di Rio de Janeiro per arginare il controllo della città da parte del narcotraffico, distruzione della foresta amazzonica del 13,7% nell’ultimo anno, la più alta percentuale di questo secolo, una cultura della corruzione e dell’impunità imperante nella politica e tra i politici, compreso lo stesso Temer, più volte sull’orlo dell’impeachment ma mantenuto precariamente in sella fino a fine mandato da interessi convergenti delle lobbies che avevano architettato il golpe bianco. Tutti questi fattori, uniti all’incremento delle fake news sulle reti sociali, hanno accresciuto un vuoto politico, una voragine che si è trascinata fino alle ultime elezioni.
Solo il PT all’inizio della campagna elettorale poteva contare su un vero leader politico, Lula, peraltro appesantito dall’età, 73 anni, dai due mandati già vissuti, dalla morte recente della moglie Marisa (donna forte di origini popolari, per molti vittima fino alle estreme conseguenze fisiche a livello emotivo delle accuse di corruzione di cui Lula e famiglia sono stati oggetto negli ultimi anni), da due tumori alla tiroide (poi superati). E soprattutto dalle accuse e successive indagini dell’operazione “Lava Jato”, per il teorema di corruzione di stato diffusa durante i mandati presidenziali. Lula è sottoposto attualmente a ben otto processi, di cui uno, per la peraltro mai provata utilizzazione di un attico a Guaruja, litorale di San Paolo, suppostamente ricevuto come tangente per agevolazioni offerte a imprese brasiliane in alcuni appalti pubblici. Tale accusa ha portato alla condanna in secondo grado di Lula a oltre dodici anni di carcere, pena imposta fulmineamente dall’aprile 2018, con interpretazioni giuridiche e procedure ad personam, rivolte a tagliarlo fuori dalla corsa presidenziale, come ampiamente e ripetutamente documentato da pareri di giuristi indipendenti. Ciò nonostante Lula ha goduto fino all’ultimo nei sondaggi del 39% delle intenzioni di voto e se non gli fosse stato impedito di disputare le elezioni le avrebbe molto probabilmente rivinte
Alle elites piace vincere facile
Con un panorama desolante in campo politico, in mancanza di figure di prestigio o comunque presentabili alle elezioni presidenziali di fine 2018, diventava relativamente facile occupare una sorta di prateria mediatica ed elettorale, proporre/imporre figure nuove, per quanto “originali”. Inizialmente fu tentata la carta di un noto presentatore televisivo, Luciano Huck, il quale però rinunciò quasi subito. Il PT non sembrava in grado di offrire alternative di spessore a Lula e comunque pagava la generale opposizione a tutto quanto già visto e vissuto nel paese, la principale causa del successo di Bolsonaro, da molti – forse dalla maggioranza degli elettori, che non sono radicali di stampo fascistoide – scelto a prescindere, nel senso di votare qualcuno che non rappresentasse le forze che avevano governato dell’ultimo decennio. Così è spuntato Bolsonaro, inizialmente sottovalutato da tutti.
Difficile comprendere la fulminea crescita di un candidato di un partito minuscolo, il PSL (Partido Social Liberal), insignificante anche in termini di tradizioni politiche. Bolsonaro è stato strategicamente risparmiato in campagna elettorale dal suo staff, non partecipando a dibattiti televisivi e in parte nemmeno a comizi, in quanto ritenuto dai suoi stessi sponsor incapace di gestire e reggere uno scambio di opinioni razionale, interviste/conferenze stampa su temi di gestione pubblica. In questo senso è stato a dir poco strategico, comunque provvidenziale, l’attentato subito in settembre in piena campagna elettorale, con una pugnalata all’addome ricevuta da un supposto militante del PT durante un comizio. Episodio anch’esso poco chiaro ma che ha contribuito a far aumentate i consensi di Bolsonaro e ad evitargli imbarazzi o probabili gaffes nei dibattiti pubblici.
Come detto, nulla avviene per caso! L’ex capitano ha ricevuto l’appoggio di tre importanti e strategici segmenti della società brasiliana:
1) L’unico vero settore che negli ultimi decenni si è dedicato in modo “professionale” ad “educare” e formare la gente più semplice, spesso più povera: le chiese evangeliche, o meglio, le sette religiose di tipo salvifico, alienante, iper-conservatore. Il PT non aveva mai avuto una penetrazione tanto capillare nella società, pur godendo nei decenni scorsi dell’appoggio delle CEBs (Comunità Ecclesiali di Base), movimenti sociali della chiesa cattolica schierati in campo sociale già all’epoca della dittatura e con una visione di…sinistra, rifluiti poi a causa dei cambiamenti storici e dei pontificati di Woityla e Ratzinger. Non è più stato fatto alcun investimento nella formazione di movimenti sociali, sindacati, basi di partito con una visione progressista della società (salvo che per i già citati MST ed MTST). Le chiese evangeliche hanno oggi un potere enorme, economico e mediatico, occupano il 30% della programmazione televisiva, controllano mezzi di comunicazione di ogni tipo, propongono un modello di società caratterizzato dall’individualismo, spesso alienante e superficiale, dove viene insegnato che “irmao vota em irmao” (fratello vota per il fratello…), indirizzando i temi sociali e politici verso un arcaico moralismo conservatore. Queste chiese sono cresciute del 60% negli ultimi anni ed infatti Bolsonaro, cattolico, ha pensato bene di cavalcare l’onda fondamentalista e di farsi ri-battezzare in Israele da un pastore evangelico…
2) Una delle più importanti basi di appoggio di Bolsonaro, inizialmente snobbato dagli stessi militari in quanto poco espressivo e troppo radicale, è un segmento della polizia militare nostalgico dei tempi della dittatura, quando si godeva di privilegi di stampo medievale, dove i media erano sotto controllo e nessun crimine o atrocità veniva rivelato, in un contesto di totale impunità e immunità. E’ possibile, come il presidente eletto sottolinea spesso nelle interviste, che possa essere sdoganata a breve la licenza di uccidere e il porto d’armi free…
3) Altro segmento strategico di sostegno a Bolsonaro è diventata quella parte di elite brasiliana che mal sopporta limitazione legali o amministrative per arginare corruzione e abusi, basti pensare all’agrobusiness, agli OGM, allo sfruttamento minerario dell’Amazzonia, che avviene quasi sempre illegalmente e in modo predatorio, frequentemente dentro riserve indigene. Si vorrebbe ristabilire addirittura una zona franca legale sullo sfruttamento del lavoro schiavo, prassi ancora esistente nel terzo millennio in zone rurali del Nord e Nordeste del paese, sul rispetto di criteri ambientali, sui diritti umani, sul possesso delle terre demarcate di indios e di comunità quilombolas (discendenti degli schiavi negri del periodo coloniale). Oltre a criminalizzare i movimenti sociali più organizzati nel difendere la terra e rivendicare la riforma agraria (MST) o i senza tetto (MTST), snobbare la difesa dell’ambiente, o le diversità etniche, religiose, sessuali.
Da non dimenticare infine il decisivo ruolo esercitato dalla lobby dei social network, monitorati e organizzati, di provenienza USA. Milioni di messaggi twitter e whatsapp a contenuto a volte grossolanamente falso sono stati mandati a mitraglia ogni giorno durante gli ultimi mesi di campagna elettorale a circa 120 milioni di elettori brasiliani e su questo è in corso un’indagine giudiziaria. Con l’appoggio dell’ inquietante e oscura figura di Steve Bannon, consulente di Trump nelle elezioni USA e dei movimenti antieuropei britannici in occasione del referendum che ha portato alla Brexit. Bannon, esperto di marketing elettorale, famoso per l’utilizzo massiccio di social network e fake news, è intervenuto a gamba tesa nella disputa elettorale brasiliana, riuscendo a condizionare umori e scelte con strategie di manipolazione emotiva dei consumatori-elettori partendo dall’acquisizione di profili individuali ottenuti tramite reti sociali come Facebook e utilizzando algoritmi per elaborare strategie comunicative ad hoc, per “vendere” il candidato ideale. In Brasile e non solo giustizia e tribunali non sono ancora attrezzati per combattere questo genere di attacchi alla libertà – diciamo così – di pensiero…