Brasile, operai senza diritti

di David Lifodi

Il Brasile è il terzo maggior produttore di amianto nel mondo, preceduto solo da Canada e Kazakistan. Nel 1976 l’Organizzazione Mondiale della Sanità inserì l’amianto tra le sostanze cancerogene in grado di pregiudicare gravemente la salute dei lavoratori: tra il 1995 ed il 2005 ci furono ben 134 casi di mesotelioma, tumore causato soprattutto dalla sovraesposzione degli operai all’amianto. Il Congresso brasiliano ha più volte cercato di vietare o quantomeno controllare l’utilizzo e la diffusione dell’amianto (senza troppa convinzione), ma è sempre stato costretto a scontrarsi con le potenti lobbies industriali presenti nel paese.

Una recente indagine dell’Instituto Nacional do Câncer (Inca) ha svelato la drammatica situazione degli operai, costretti a lavorare a stretto contatto con sostanze tossiche, agenti chimici e prodotti agrotossici che diminuiscono sensibilmente la loro prospettiva di vita. Il 70% dei lavoratori deceduti nei paesi in via di sviluppo, riporta l’Inca, è dovuto al cancro: centinaia di casi di questo tipo sono stati registrati anche in Brasile ed illustrati nel rapporto “Diretrizes para vigilância do câncer relacionado ao trabalho”. Negli ultimi trenta anni l’amianto è stato messo al bando solo da otto stati e venticinque municipi, una goccia nel mare per un paese grande come il Brasile. Di recente alla Camera dei Deputati è sorto il Grupo de Trabalho do Amianto, ma il lavoro da fare è ancora lungo. Spesso i lavoratori non conoscono i rischi connessi a determinate attività, principalmente quelle connesse all’impiego nell’industria petrolchimica, siderurgica e metallurgica. Agenti chimici mortali sono presenti nell’industria tessile, del legno, della carta, della gomma e nella produzione delle tegole per i tetti: in questi casi sono frequenti leucemie, linfomi e cancri allo stomaco tra gli operai. Lo stesso discorso vale per i contadini che lavorano nelle campagne sottoposte all’irrorazione dei prodotti agrotossici, il cui utilizzo è vietato in molti paesi, ma non in Brasile. Inoltre, preoccupa l’effetto mortale degli agenti chimici anche nel caso in cui vengano messi immediatamente al bando. L’amianto è proibito per legge in tutto lo stato di San Paolo dal 2008 grazie ad una sentenza del Tribunale Supremo Federale, ma i suoi effetti possono materializzarsi decenni dopo, come successo ad alcuni lavoratori di Avibrás, l’industria aerospaziale operante nel settore della missilistica. Molte industrie insistono nell’utilizzare l’amianto, ma i loro padroni raramente intendono concedere un adeguato indennizzo alle famiglie delle vittime, nonostante le denunce dell’Associação Brasileira dos Expostos ao Amianto (Abrea), che nel 2011 si interessò delle vittime di casa nostra, quelle di Casale Monferrato. Il Brasile esporta oltre il 60% della produzione di amianto e la città di Minaçu (stato di Goiania) ospita la terza maggior miniera del mondo, Canabrava, la cui attività estrattiva è portata avanti dall’impresa mineraria Sama (del gruppo Eternit): difficile che venga messo al bando. Attualmente i due settori in cui i lavoratori brasiliani sono maggiormente sfruttati riguardano la costruzione delle centrali idroelettriche e l’edificazione degli stadi per i mondiali di calcio del 2014. Inentrambi i casi gli operai stanno portando avanti scioperi ad oltranza con molto coraggio, di fronte alla convinzione generale che dighe e Coppa del Mondo conducano il Brasile sulla strada dello sviluppo in qualità di “volano dell’economia”, una frase ormai abusata anche in Italia. La diga di Belo Monte, che sorgerà sul Rio Xingu (nei pressi della città di Altamira, stato del Pará), dà lavoro a circa settemila operai. In realtà i lavoratori impegnati nei cantieri sono sfruttati quotidianamente, tra salari da fame, mancanza di tutele adeguate, posizioni assicurative inesistenti. In poco più di cinque mesi i lavoratori hanno già proclamato tre scioperi tra le minacce delle guardie armate di Norte Energia, l’impresa che si è aggiudicata l’appalto per la costruzione della centrale idroelettrica, l’intervento della polizia, chiamata dalla stessa impresa, e la linea antisindacale del Tribunal Regional do Trabalho, che ha affibbiato una multa di duecentomila reais per ogni giorno di sciopero al Sindicato dos Trabalhadores da Construção Pesada (Sintrapav). Una situazione simile è quella vissuta dagli operai impiegati nella costruzione, o nelle opere di ammodernamento, dei dodici stadi che ospiteranno i Mondiali 2014. Nei cantieri di otto impianti sportivi i giorni di sciopero sono già novanta, ventiquattro dei quali nel mitico Maracaná, lo stadio di Rio de Janeiro. Qui i lavoratori denunciano l’assenza di misure di sicurezza all’interno dei cantieri: tempo fa sono esplosi prodotti altamente infiammabili che hanno causato alcuni feriti. La Federação Nacional dos Trabalhadores na Construção Pesada (Fenatracop) parla di operai ridotti in schiavitù  e non a torto: gli ultimi scioperi di Belo Monte hanno significato il licenziamento per una sessantina di loro che aveva bloccato la produzione. Sempre nei cantieri di una delle dighe più controverse dell’America Latina, la presenza opprimente della Tropa de Choque da Polícia Militar ha creato un clima da vera e propria occupazione militare. D’altra parte lo stato procede sulla strada delle grandi opere, a costo di asfaltare i diritti dei lavoratori, perché dietro le quinte incombe il Bndes (il Banco Nacional do Desenvolvimento) con i suoi finanziamenti: lo stop dei lavori equivale alla sospensione dei fondi stanziati ed al conseguente fallimento del Programa de Aceleração do Crescimento (Pac), giunto nella sua seconda fase sotto la presidenza di Dilma Rousseff dopo l’era lulista.

Proprio la presidenta brasiliana ha firmato di recente il “Compromisso Nacional para Aperfeiçoar as Condições de Trabalho na Indústria da Construção Civil”, ma senza l’adesione convinta delle imprese e l’adozione di politiche adeguate in merito alla sicurezza sul lavoro i diritti degli operai continueranno ad essere poco più di un optional.

Redazione
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2 commenti

  • Non bisogna dimenticare che il periodo di incubazione dell’intossicazione da Amianto è di circa 20 anni. Si può vivere pensando di non aver contratto alcuna malattia e poi morire senza un perché che abbia senso.
    In Svizzera per esempio le aziende produttrici di amianto si solo salvate perché le legge svizzera prevedeva la prescrizione in 10 anni dal fatto (e non da quando viene scoperto il fatto). Per assurdo giustizia su questo crimine lo si è avuto in Italia (di solito ci lamentiamo del nostro sistema giudiziario) e non in Svizzera. Bisognerebbe fare in modo che i brasiliani si mettano in contatto con coloro che hanno portato avanti le battaglie contro l’amianto in Svizzera e Italia. Un buon modo per aiutarli e segnalare a RSI (Radiotelevisione svizzera), trasmissione Modem, il fatto. Sono giornalisti molto bravi e competenti. Ciao Andrea

    • Ciao Andrea, grazie per le precisazioni e per aver parlato della trasmissione Modem: sono andato sul loro sito e ho visto le loro inchieste. Si tratta di un’ottima idea per aiutare le associazioni brasiliane in lotta per la messa al bando dell’amianto.

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