Breviario 5 – L’eroe
di Mauro Antonio Miglieruolo
L’eroe prima di essere ogni altra cosa è arbitrio, illusione. Non riguarda una persona, è inerente a cosa e a cose: un oggetto ideologico.
Si diventa eroi per proclama, essendo stati gettati in pasto alle genti; gettando il bando con suoni accorati e previo squillo di trombetta, dall’alto dei dirupi e delle forre. Gridando nei deserti. Alzando la voce. Iniettando la parola nelle orecchie degli ignari e inconsapevoli.
Che tutti ascoltino. Se pur non c’è nulla da ascoltare e prima ancora che arrivino assensi, lo stesso partono i rivoli dei mille discorsi. Che si ampliano ed estendono, finché non diventano alluvione.
Di un bel tacer non fu mai detto, ma qui sembra sia d’obbligo si dica, e molto.
Si dice, infatti. Molto.
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Peggio quando la parola è accompagnato da un possessivo. Il massimo che si può avere in questo caso è la benevolenza. Che muta a volte nell’irrisione. Il vuoto che contraddistingue la parola “eroe” è coperto dal crinale scherzoso nel quale la si fa precipitare. Il mio eroe. Il nostro eroe. Un eroe dei nostri tempi… L’enfasi fa gioco sulla parola, che da essa e per essa acquisisce o perde significato.
Quando non si possiede un solido dire su una o uno che è stato notevole, si dice eroe. Dicendo un nulla che sa di pieno, ma è il nulla di ritorno di una parola riempita del solo intento di non farla sembrare vuota. Neanche un inganno (o almeno non sempre lo è). Equivoco. Questo e non altro.
Essendo nulla, se non viene ripetuta, ha effetto zero. È nella ripetizione che acquisisce senso. Da cui l’obbligo di pronunciarla e ribadirla. Perché non c’è modo di farla uscire dall’ambito della leggenda, ridurla a dimensione umana. Resta e resterà, sua vocazione, nell’ambito dell’ossessione di un concetto che sa di sconcio (sconcetto, sconcerto, scurrilità).
Non giustezza. Esterna decretazione. E allora grido. Ripetizione.
Brutta cosa. Essere eroi, un gravame immenso. Occorre molta saggezza per rendersene conto. Ancor più per rifiutare la definizione. Verrebbe quasi da dire che occorre essere eroici per rifiutare di diventare “eroi”… essere zavorra, trovare il coraggio di dire in faccia agli aguzzini (tali sono i celebratori) “ho solo fatto il mio dovere”. Solo.
Dato come esempio, è bene si sappia: non è cosa bella. Strapazzare in questo modo la dignità e compostezza d’ìi una persona. Diventare eroe per obbligo e per decreto: meglio dissolversi nell’anonimato allora.
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Invenzione letteraria. Pura oratoria. Altisonanza. Inganno…
Quante se ne potrebbe dire su questo concetto (che non è un concetto) e parola che è un po’ troppo parola: bisogno di dire che emerge ahimè in ogni disperata contingenza!
Dico le prime che vengono alla mente, soprattutto svelo l’impostura.
Che l’eroe copre l’ideologia della violenza. Che l’eroe esige la disumanità. Che l’eroe è sberleffo nei confronti di tutti i non eroi che vivono eroicamente la propria condizione. E ce ne vuole per mettere al mondo figli, per figurarsi un avvenire, svegliarsi tutti i “santi” giorni senza altra prospettiva che quella di risvegliarsi sempre nella stessa faticosa condizione, decennio dopo decennio, fino alla morte.
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Al massimo possiamo ammettere che il sacrificio di sé per il bene di tutti, possa approssimativamente, in qualche speciale situazione, giustificare la parola. Ma ecco l’impostura: per legittimare un eroe in quanto tale occorre che una contingenza straordinaria costringa un essere “straordinario” a assumere decisioni straordinarie contro sé stesso, contro il diritto a vivere e prosperare. Occorre dunque una società malata per produrre la malattia definita eroismo.
Non abbiamo bisogno di eroi. Abbiamo bisogno di pace, giustizia e libertà; di uguaglianza, solidarietà, rispetto. Sono questi bisogni insoddisfatti a produrre la necessità dell’eroe. Al quale specifico e negletto eroe dobbiamo render l’onore del vero senso dell’agire corretto e dell’essere. Non eroe; non uomo d’armi; non discepolo dell’invincibilità: ma a volte volontà di riscatto, fratellanza, amore.
Tutto il contrario di quel che si intende con la parola eroe. L’opposto di quel che lasciano trasparire nomi dei quali si fa uso dissennato: Achille, Alessandro, Giulio Cesare, Napoleone… perché non definirli per quel che sono? Serial killer, ad esempio. Furibondi predatori. Raffinati oppure rozzi sopraffattori. Odisseo almeno, al termine della carriera, si batteva per difendere la moglie, la sua casa, il figlio… Ma Odisseo non aveva nome, aveva rifiutato di averne uno. Nessuno era il suo nome. Il nome vero autentico di tutti i veri eroi di questo mondo. Tra i quali mi concedo di includerlo.
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Ah, già, ma io dimentico quelli senza macchia e senza paura, coloro che pulivano accuratamente il filo della spada macchiato di sangue prima di sedersi alla tavola rotonda di Re Artù. Lancillotto era il più importante.
Con Ruggero, Bradamente, Carlo Magno, Astolfo.
Orlando.
Sia lode a lui.
Sigfrido.
Sia lode a lui.
Mettiamo la spada tra il nostro corpo e quello della sorella e il sogno osceno diventa realtà, diventa purezza.
Diventa impostura.
“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”: in risposta al “sventurata la terra che non ha eroi”.
Grazie dell’articolo. Quando ero in prima media, inizio anni ’80, in un tema scrissi che Cesare, Napoleone e compagnia uccidevano le persone e mandavano altri a ucciderle, quindi non capivo perché era celebrati come eroi, dato che tutti concordavamo che uccidere è malvagio. Il professore di italiano, un giovane insegnante alle sua prima esperienza a scuola, accettò la sfida e mi spiegò che per i “grandi uomini” spesso si passava sopra queste cose, tuttavia era corretto considerare quei gesti “crimini” e la mia notazione era “matura”; presi anche un bel giudizio (mi pare che ci fossero i giudizi e non i voti). La cosa non era affatto scontata. Pensate che alla fine degli anni ’80, per il tema dell’esame di maturità, scelsi la traccia sull’ambiente e parlai di piogge acide, buco dell’ozono, effetto serra, tutte cose di cui si leggeva già sulle riviste di divulgazione scientifica in edicola, eh, mica info secretate. Ebbene, alcuni professori della commissione NON mi volevano ammettere all’orale perché avevo scritto di “cose inesistenti”, mi telefonarono a casa (esistevano solo i telefoni fissi) per chiedermi che cosa avevo combinato, poi per fortuna mi ammisero e feci l’orale, ma mi tolsero dei punti. Pensate che cosa sarebbe successo se avessi scritto alla maturità che il grand’uomo tal del tali (c’è solo l’imbarazzo della scelta) era un criminale! Insomma, con il senno di poi, rivaluto ulteriormente l’apertura culturale del docente che ho avuto alle medie sulla questione dei “grandi uomini”. Ammetto che posso essere di parte, però. Infatti, cambiando argomento, in un’altra occasione lo stesso professore mi fece parlare in classe della mia passione per la fantascienza e poi diede a tutti, come compito delle vacanze, la lettura integrale di “Cronache marziane”. I compagni di classe grugnirono un po’, ma la presero bene, tutto sommato. Grazie prof. Cioccarelli!
Meno male che non tutti hanno ricordi negativi del loro periodo scolastico: meno male tu abbia potuto fare qualche incontro intelligente. I miei, nel primo periodo specialmente, sono fondati su esperienze che non è esagerato definire allucinanti.
Ne espongo due qui nel di là da venire del Breviario 9 e Breviario 11 (già programmati). Stenterai a crederli veri, non frutto della eccessività di un mestiere che sull’esagerazione fonda molta parte delle sue fortune: lo scrittore di fantascienza.
Mi rifugio nel luogo comune che recita, anche se utilizzando l’eleganza di una grande scrittore: ci sono più cose in terra che stelle in cileo. Sì, la realtà spesso supera anche la più fervida fantasia.