Con i Brics l’Occidente si restringe

articoli, video, musica di Pierluigi Fagan, Manlio Dinucci, Remocontro, Giuliano Marrucci, Alessandro Visalli, Pepe Escobar, Domenico De Simone, Phil Ochs, Jesús López Almejo, Laura Tussi, Fabio Marcelli, Gianni Tortoriello, Giuseppe Masala, Zhang Xiaoyu

 

Complessi parti multipolari – Pierluigi Fagan

È terminato il summit dei BRICS in Sud Africa. Star dell’incontro il presidente indiano Modi. Putin era in remoto e sappiamo in quali altre faccende affaccendato, Xi ha saltato senza dare ragioni il primo incontro pubblico dei leader, Lula si è preoccupato di rilasciare dichiarazioni che spegnessero l’impeto competitivo del gruppo contro l’Occidente cui è legato anche in ragione di recenti incontri ed accordi (USA ed UE). Per dire, era stato proprio Lula che aveva annunciato nei mesi scorsi la volontà di varare la valuta alternativa al dollaro. Occorre che s’impari a leggere questa complessa trama delle nuove relazioni mondiali, a volte fai una dichiarazione prima di certi incontri per ottenere qualcosa, è “politica”.

Il vertice, come spiegato nel nostro scorso post, aveva al centro un punto, la questione dell’allargamento del gruppo ad altri partner, una ventina in esplicita richiesta di ammissione, un’altra ventina interessati a seguire. Poiché molti seguono la geopolitica come seguono il calciomercato ovvero seguendo “storie”, s’erano prematuramente eccitati immaginando roboanti annunci di valute alternative al dollaro, ma nessuno aveva anticipato tale intenzione nella preparazione del vertice, anzi era stato esplicitamente escluso da indiani e sudafricani.

Prima si fanno i soggetti, poi i soggetti deliberano le proprie comuni intenzioni, semmai vi riescono.

I primi due giorni, a parole, erano tutti entusiasti ed uniti nel dichiarare la volontà di allargamento. Mercoledì notte, riuniti a specificare i dettagli, si sono incagliati su punti presentati da Modi, fresco di gloria spaziale. Come detto, Modi gioca una complessa partita in cui occorre tener conto anche del fatto che l’anno prossimo va ad elezioni per il terzo mandato, con alta frizione interna che ha portato addirittura ben 26 diversi partiti, che più eterogenei non si possono immaginare, a creare un cartello unico contro di lui sotto la bandiera del terzo Gandhi, Rahul.

La complessa partita sulla politica estera di Modi è relativa a molti punti: 1) ottenere il prestigioso seggio al Consiglio di Sicurezza (India è il più grande paese del pianeta ed è -al momento. La quinta economia, ma la quarta più o meno l’anno prossimo, la terza per Pil PPA); 2) calibrare i delicati rapporti con la Cina, sia localmente (confini), che arealmente (Asia), che dentro i BRICS dove l’India vuole presentarsi come reale capofila dei Global South dicendo la Cina è ormai un paese non più “in via di sviluppo”. Da segnalare come il successo lunare dia all’India una immagine assai attraente dal punto di vista tecnologico, chiave importante per le ambizioni di sviluppo di terzi; 3) combattere proprio contro Cina e Russia sul senso da dare ai BRICS ovvero una unione economica e non una unione geopolitica o non del tutto. L’India, infatti, intrattiene ottime e proficue relazioni con il Giappone, l’Unione europea e soprattutto gli Stati Uniti d’America (anche militari e nel Pacifico), senza per questo trascurare la vecchia amicizia con la Russia; 4) in subordine al punto 2), una crescente attenzione all’Africa che l’India ha per il momento colonizzato con una apparentemente innocua diaspora di sarti e commercianti per la parte sudorientale. C’è anche, poco notato, un crescente problema di rapporti con certo mondo musulmano, problema etnico interno piuttosto sensibile, che però ha riflesso sui codici di fratellanza islamica che è un mondo altrettanto complesso.

Modi allora, mercoledì sera, si presenta con due nuovi criteri limite per accettare le domande di ammissione dei nuovi candidati: a) non esser sotto sanzioni; b) avere un Pil PPA di un certo livello. Entrambi, vanno in direzione di dar ai BRICS il senso di unione di cooperazione economia e meno geopolitica. Non vuole trovarsi annegato in una pletora di paesotti senza senso imbarcati da cinesi e russi solo per far “massa”, non vuole trovarsi in imbarazzo nel suo gioco su più tavoli con gli occidentali. È probabile che -in parte- avesse anche dalla sua parte il Brasile altrettanto sensibile a non urtare troppo gli occidentali. Il Sud Africa ha giocato il ruolo di mediatore, padrone di casa interessato al successo del vertice, a sua volta orientato a rappresentare gli interessi continentali. Modi, sapendolo, ha stabilito in un incontro bilaterale, che si farà promotore dell’annessione dell’Unione Africana al G20 e forse poi, nel più generale riassetto del Consiglio di Sicurezza, anche lì.

Si può immaginare come la seconda richiesta possa esser stata valutata forse contrattabile dai cinesi (i russi, in questo momento, non hanno un grande peso o meglio lo hanno comunque e per varie ragioni, ma non sono proprio nel miglior loro momento di far geopolitica), la prima no. A parte escludere a priori le candidature di Iran e Venezuela, avrebbe creato anche un imbarazzo palese con la Russia stessa e forse domani con la Cina stessa. Non solo, avrebbe dato agli americani l’arma perfetta per mettere sotto sanzioni chiunque a loro piacimento pur di interdire le politiche interne lo stesso BRICS. Era evidente Modi avesse presentato il punto per ottenere qualcos’altro, il punto non era realistico ma contrattualistico.

Com’è finita la battaglia nelle segrete stanze?…

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I BRICS crescono: da cinque a undici, un terzo del Pil mondiale e metà della popolazione – Remocontro

I BRICS crescono: da cinque a undici, un terzo del Pil mondiale e metà della popolazione. Da BRIC a quella ‘S’ in più con l’adesione del Sudafrica nel 2010. Adesso saranno invitati ad aderire sei nuovi paesi: Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. I Paesi che finora hanno presentato domanda di adesione ai Brics sono 22

Cambio di dimensione e di nome

Sei nuovi soci dei nuovi ‘non allineati’, e di che portata: Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, invitati a diventare nuovi membri a partire dal 1° gennaio 2024. A voler stare sul politicamente facile, primo problema, quello di trovarsi un nuovo nome perché a questo punto il nome dall’Acronimo ‘BRICSAEIEASEAU’ diventerebbe impronunciabile. Ma torniamo alla sostanza. Che il gruppo avesse deciso di allargarsi lo aveva anticipato mercoledì la ministra degli Esteri sudafricana Naledi Pandor alla radio statale Ubuntu Radio, durante la riunione del gruppo in corso fino a oggi a Johannesburg: l’estensione a nuovi paesi era uno dei principali argomenti da discutere.

Secondo quanto detto ai giornali dall’ambasciatore sudafricano Anil Sooklal, già 22 paesi hanno chiesto formalmente di entrare nel gruppo, e altrettanti che hanno avviato dei contatti informali.

Il 36% del pil e 46% della popolazione mondiale

Il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, ha evidenziato che con i nuovi ingressi il gruppo arriverà a rappresentare il 36% del Pil mondiale e il 46% della popolazione globale. «La Repubblica Islamica dell’Iran è diventata un membro dei Brics. La piena adesione al gruppo delle economie emergenti del mondo è uno sviluppo di portata storica», ha scritto su X Mohammad Jamshidi, vice capo dello staff per gli affari politici della presidenza iraniana, confermando ufficialmente la piena adesione di Teheran al gruppo delle economie emergenti. I Paesi che finora hanno presentato domanda di adesione ai Brics sono 22, compresi i sei che entreranno a gennaio. Si tratta di: Algeria, Argentina, Bangladesh, Bahrein, Bielorussia, Bolivia, Venezuela, Vietnam, Honduras, Egitto, Indonesia, Iran, Kazakistan, Cuba, Kuwait, Nigeria, Emirati Arabi Uniti, Palestina, Arabia Saudita, Senegal, Thailandia ed Etiopia.

Dal 2000 a crescere

I BRICS esistono dagli anni Duemila: nacquero come gruppo informale, su iniziativa della Russia, principalmente per contrastare l’influenza mondiale degli Stati Uniti e dei suoi alleati occidentali. Il gruppo si strutturò in maniera più definita negli anni successivi, ma sino ad oggi comunque i BRICS non hanno uno statuto formale, come altre organizzazioni internazionali, ad esempio le Nazioni Unite o l’OPEC, l’organizzazione di paesi esportatori di petrolio. Non ci sono nemmeno criteri precisi sulle procedure di adesione.

Come strutturarsi

Sembra che parte della riunione molto partecipata di Johannesburg (non solo i sei nuovi aderenti, da decine di altri Paesi vicini e interessati ad un mondo più multipolare), sia stata dedicata proprio a come strutturarsi in modo più preciso, e qualcosa sembra sia stato raggiunto. Sempre il premier sudafricano Ramaphosa ha informato che gli stati membri hanno «raggiunto un accordo sui princìpi fondamentali, gli standard, i criteri e le procedure del processo di espansione dei BRICS», anche se per ora non ha dato altri dettagli…

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Arabia Saudita nei BRICS: un punto di svolta simile a quello degli anni ’70 – Alessandro Visalli

Punto di svolta simile a quello degli anni settanta. Si completa il passaggio dell’Arabia Saudita in nuove alleanze, preludio per l’annunciata chiusura delle basi americane (a giugno annunciata da Bin Salman), con l’ingresso nei Brics. Insieme al gigante arabo entrano anche altri attori di primo piano come l’Egitto, gli Emirati Arabi e l’Iran, in Sud America l’Argentina.

Impossibile sottovalutare l’evento, se pure atteso (e che spiega lo sforzo per escludervi Putin incriminandolo): l’Occidente collettivo (ed in particolare l’Europa) perdono ogni residua influenza sull’Opec+ e quindi sulla geopolitica dell’energia, aspettiamoci benzina a parecchi euro ed energia alle stesse (con buona pace di coloro che si attardano contro il cambiamento climatico ‘inventato’); in Africa a questo punto abbiamo da Nord a Sud tutte le principali potenze schierate contro l’Occidente, o almeno con maggiore e rivendicata indipendenza da questo, nessuno può immaginare anche militarmente di andare contro Egitto, Algeria e Sud Africa; si saldano due colossi d’ordine come Arabia Saudita e Iran (capolavoro della diplomazia cinese) e con Egitto e Emirati diventano il polo inaggirabile della regione, in Medio Oriente ne vedremo molte, e non saranno belle; nel cortile di casa degli Usa si saldano Brasile e Argentina, in pratica il centro ha cambiato collocazione…

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BRICS, il fattore Cina-India e la prossima “psyop” occidentale – Pepe Escobar

Dopo una lunga preparazione, segnata da grandi aspettative in tutto il Sud Globale, la Maggioranza Globale o il “Globo Globale” (come ha coniato il Presidente bielorusso Lukashenko), il vertice BRICS in Sudafrica ha rivelato, nel suo primo giorno, un incidente “lost in translation” che dovrebbe essere preso come un serio avvertimento.

Il feed del BRICS Business Forum sulla rete sudafricana SABC si è trasformato in una Babele linguistica dei BRICS. La voce di tutti i traduttori, simultaneamente, si scontrava. Le spiegazioni variano dal desiderio di forgiare un nuovo esperanto (poco probabile), alla semplice incompetenza del team di ingegneri del suono, all’isolamento dei traduttori in una cabina separata, che non sono stati avvertiti di spegnere i loro microfoni, o infine, ma non meno importante, all’interferenza della NSA [l’Agenzia per la Sicurezza Nazionale degli USA], che ha disturbato le frequenze dei microfoni dei traduttori.

Qualunque cosa sia accaduta, si è trasformata in un serio impedimento per il pubblico sudafricano – e internazionale – di capire cosa si stesse discutendo online. Anche se il “lost in translation” non vanificherebbe l’ambizioso programma di cambiamento dei BRICS, di certo sarà sfruttato al massimo dai soliti sospetti del Divide et Impera per incrementare la loro guerra ibrida a tutto tondo già in atto contro i BRICS.

 

Il dramma shakespeariano della de-dollarizzazione

Qualunque siano i risultati concreti finali di queste giornate potenzialmente rivoluzionarie a Johannesburg – ho analizzato i temi chiave qui – i fatti fondamentali sono immutabili.

La Cina e la Russia, in qualità di motori principali, sono intenzionate a espandersi verso il BRICS+ per resistere alla prepotenza imperiale, diplomatica e non; costruire alternative a SWIFT; promuovere l’autosufficienza economica tra i membri e l’autonomia dalla demenza delle sanzioni (che non potrà che aumentare); e, infine, forgiare un’alleanza contro le minacce militari imperiali – con la possibilità che il BRICS+ si fonda in futuro con l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO).

Il fattore Cina è probabilmente il vettore chiave di tutti questi processi complessi e intrecciati. Non c’è da stupirsi che il presidente Xi, nella sua seconda visita di Stato all’estero nel 2023 (dopo la Russia), convocherà una riunione speciale a Johannesburg con decine di capi di Stato africani.

L’opinione pubblica cinese è totalmente avvinta dal vertice dei BRICS, con un “interesse superiore a quello del G7”. C’è un ampio dibattito su tutta l’agenda che sfida l’Impero – dalla de-dollarizzazione all’aumento dell’influenza sul mercato dell’energia – e sulla divisione Cina-India, con Nuova Delhi spesso additata come agente ostile all’interno dei BRICS.

Gli sherpa, in via ufficiosa, così come i diplomatici degli attuali cinque BRICS (che presto si allargheranno) sono stati molto cauti nell’inquadrare l’intero dibattito non sulla de-dollarizzazione – una prospettiva ancora lontana – ma su sistemi alternativi di commercio/pagamento in valute locali.

Eppure, nel suo discorso in videoconferenza – salutato come una rockstar – il Presidente Putin è stato categorico: il processo di de-dollarizzazione all’interno dei BRICS è irreversibile.

Tuttavia, sono le contraddizioni interne a emergere quando si parla di BRICS+. Nuova Delhi è stata estremamente cauta – anche se gli sherpa hanno fatto sapere che le principali regole di ammissione sono state concordate.

I proverbiali guastatori del Divide et Impera hanno affermato che Pechino vuole che il BRICS+ sia un concorrente del G7. Fesserie. La geopolitica cinese è molto più sofisticata – e non presenterebbe mai ai partner un imperativo di ferro. Pechino vuole solidificare il suo ruolo de facto di leader geoeconomico del Sud Globale seducendo il maggior numero di partner, non intimidendoli.

Da qui l’importanza dell’incontro Cina-Africa. Il Sudafrica è stato il primo Paese africano a sottoscrivere la Belt and Road Initiative (BRI). Pechino e Pretoria stanno celebrando 25 anni di relazioni diplomatiche. Xi e Ramaphosa parleranno dell’integrazione economica africana nel suo complesso, nei dettagli, con tutti questi capi di Stato…

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L’Europa è appendice di un Occidente in caduta libera. E intanto il mondo cambia coi Brics – Fabio Marcelli

Tempi duri per i popoli europei. L’Unione europea non ha mai brillato per i risultati raggiunti nel corso della sua storia ormai quasi settantennale, ma mai aveva toccato il fondo come negli ultimi due anni, specie in connessione coll’avvio della fase conclamata del conflitto ucraino.

Ci troviamo di fronte a un’orrenda caricatura sfigurata di quello che fu il nobile modello enunciato a suo tempo da Altiero Spinelli e dai suoi compagni. Gli artefici di questa progressiva decadenza sono molti, ma senza dubbio i peggiori sono i suoi attuali dirigenti: a cominciare dall’attuale presidente del principale organismo europeo, la Commissione: la signora von der Leyen che è stata denunciata dal New York Times per aver occultato i messaggi che aveva inviato all’amministratore delegato di Pfizer nel contesto dei rapporti che portarono all’acquisto a caro prezzo di un numero evidentemente eccessivo di vaccini per il Covid. Una vicenda che appare fortemente emblematica del disastro neoliberista indotto dalla subalternità alle lobby che, abbarbicate come sanguisughe sulle finanze europee, le volgono a proprio esclusivo beneficio, mentre le politiche di bilancio impediscono di provvedere alla tutela dei fondamentali diritti sociali della popolazione, dalla sanità all’istruzione, a tanti altri ancora. Miliardi di euro vengono buttati per sovvenzionare le lobby in questione.

Oltre a quelle farmaceutiche occorre tenere conto di quelle degli armamenti, oscenamente beneficate col programma Asap, che consente di investire in ordigni di morte i fondi originariamente destinati alle spese sociali. E di quelle energetiche, che continuano a puntare sulle energie fossili a dispetto del disastro climatico che hanno provocato e che stanno bloccando, grazie alla destra negazionista, che da noi sta al governo, le timide misure a favore delle energie alternative – bloccate anche dalle rigidità di bilancio rilanciate alla grande dopo l’apparente tregua dovuta alla pandemia Covid.

Ma il neoliberismo dell’Unione europea non è per nulla un fatto astratto, esso infatti è strettamente connesso alla collocazione internazionale dell’Unione, che rappresenta un’appendice, sempre più periferica e irrilevante, dell’Occidente in caduta libera. La stessa disperata, sanguinosa e pericolosissima guerra in Ucraina, a ben vedere, va intesa alla stregua di manifestazione evidentissima di tale declino irreversibile e non è per nulla casuale che i Paesi dell’Unione che sono in prima fila nella difesa del verbo neoliberista, che si celano sotto la mistificatoria etichetta di “frugali”, lo siano anche nel rinfocolare le impossibili aspirazioni revansciste dell’Ucraina, in particolare mediante le truffaldine promesse degli armamenti che, secondo loro, dovrebbero determinare il rovesciamento delle sorti della guerra, in primo luogo gli F-16.

Assumendosi questo ruolo di guerrafondai sulla pelle altrui, degli Ucraini ormai allo stremo – ma anche dei Russi – Danimarca, Olanda, Polonia e, sia pure più che altro a chiacchiere, l’Italia della Meloni hanno deciso di fare fino all’ultimo il gioco sporco per conto degli Stati Uniti, a loro volta sempre più incerti e contraddittori, specie nella prospettiva delle elezioni presidenziali dell’ottobre 2024, le quali, comunque vadano, segneranno l’inevitabile registrazione degli umori popolari contrari alla continuazione dello sperpero delle risorse per continuare l’insensato massacro.

Lontano dal sanguinoso pantano ucraino il mondo sta nel frattempo cambiando a vista d’occhio coll’emergere dei Brics, che si rivelano in grado di attrarre nuovi membri, di natura ed estrazione disparata, ma accomunati dalla consapevolezza della necessità di porre fine all’ordine internazionale di stampo neocoloniale che ha retto i destini del mondo negli ultimi cinque secoli. Nessuna eco significativa pare destare questo sommovimento epocale nell’Europa, troppo attenta a contemplare il proprio ombelico autoincensandosi e proclamando in modo sempre più meccanico e infondato la propria presunta superiorità di “giardino nella giungla”.

Certo, fra i candidati ad essere ammessi tra i Brics c’è anche il regno del rinascimento saudita di renziana memoria, autore in questi giorni di un’efferata strage dei migranti che premevano alle sue frontiere. Ma con quale credibilità può tale strage essere condannata da chi da anni fomenta il respingimento dei migranti con ogni mezzo necessario, alimentando regimi come quello saudita colla fornitura delle armi e in tanti altri modi?

La verità è che il passaggio a un mondo multipolare che si sta concretizzando costituirà un quadro utile e necessario per una migliore trattazione e soluzione dei problemi globali che ci troviamo di fronte, dalle guerre al cambiamento climatico alla stessa questione migratoria. Per recuperare un ruolo significativo in questo nuovo contesto che si va prospettando, si richiede un rovesciamento totale del posizionamento politico dell’Europa e dell’Italia al suo interno e quindi la liquidazione di una classe dominante alla frutta che non ci deve trascinare nella sua inevitabile rovina.

da qui

 

QUI il testo, con la traduzione di Riccardo Venturi

 

I Brics e la rivoluzione finanziaria – Domenico De Simone

La rivolta del mondo contro il dominio occidentale sta compiendo un passo decisivo proprio in questi giorni. Si tratta di oltre l’80% della popolazione del mondo, di circa il 50% del PIL del mondo, e di oltre il 73% del PPPA, ovvero del PIL Per Potere di Acquisto, che poi è il dato che conta davvero. [Un veloce esempio per chi non ricordasse la differenza tra PIL e PPPA: un operaio in Svizzera prende 3.000 franchi al mese, mentre in Italia ne guadagna 1.000 (semplifico per facilitare la comprensione dei conti). Si dirà, accidenti, gli operai in Svizzera sono ricchi tre volte quelli italiani! Il problema è che poi un caffè a Lugano costa 3 franchi e a Roma ne costa 1. E una simile proporzione esiste, ovviamente, per un largo paniere di beni necessari per vivere. In altri termini, per campare decentemente in Svizzera 3.000 franchi sono a mala pena sufficienti, così come lo sono mille franchi in Italia e 500 franchi in Bulgaria, dove la vita costa più o meno la metà di qui, oppure in Cina, dove con 500 euro al mese vivi dignitosamente. Ci sono quindi metodi di misurazione del Prodotto Interno di un paese che depurano i dati dalle distorsioni monetarie e lo ancorano all’importo effettivo necessario per vivere.

Che poi è la funzione del Prodotto Interno, ovvero la quantità di ricchezza che viene prodotta in un paese dai suoi abitanti per soddisfare le loro necessità].

L’insoddisfazione verso il sistema finanziario mondiale e le sue istituzioni era palese e diffusa ovunque nel mondo già da alcuni decenni, soprattutto a seguito delle gravi crisi finanziarie e le conseguenti ricadute economiche che hanno caratterizzato i primi venti anni di questo secolo. Ma la necessità di una rivoluzione del sistema si è manifestata con urgenza dopo l’improvvida decisione occidentale di sequestrare i fondi della Banca Centrale Russa depositati presso le istituzioni bancarie internazionali, come avvisavo in questo mio articolo del settembre scorso. La presuntuosa arroganza degli USA e dei loro lacchè occidentali di usare le istituzioni finanziarie come uno strumento politico ha scatenato il panico nei paesi non occidentali e le conseguenze si sono viste subito. A partire dal fallimento della Silicon Valley Bank, dalla quale sono stati ritirati di colpo decine di miliardi di depositi di arabi, indiani e cinesi, al fallimento di Credit Suisse, che la Banca Centrale Saudita si è rifiutata di supportare ulteriormente dopo aver ritirato decine di miliardi di depositi dalla sera alla mattina causandone il crollo per mancanza di liquidità. Due segnali precisi mandati al sistema finanziario dominante per esprimere il proprio disaccordo sulla gestione politica della finanza e congelare la situazione in attesa di sviluppi. E poi le vendite continue dei titoli del debito pubblico USA che Standard & Poor è stata costretta a declassificare dalla sua storica tripla A, a causa dei continui rialzi di interesse che il Tesoro americano è stato costretto a promuovere per vendere questi titoli nel mondo cercando di evitare la finanziarizzazione del proprio debito pubblico. I ripetuti e ridicoli inchini della Yellen davanti a Xi Ping, stigmatizzati da tutta la stampa americana, erano l’iconografia delle preghiere americane alle autorità monetarie cinesi di smettere di vendere titoli del debito pubblico USA sul mercato, in un contesto in cui anche la tradizionale idrovora degli investitori giapponesi si sta inaridendo per il recente rialzo dei tassi di interesse operato dal governo giapponese. Non ne sappiamo molto, ma pare che sia andata malissimo, visto che la Cina continua bellamente ad acquistare sul mercato meno titoli del debito Usa di quelli che vende. Persino il centenario Kissinger è volato a Pechino, dove è stato ricevuto con tutti gli onori, per cercare di perorare la causa del suo paese, ma senza molti risultati. D’altra parte, gli Usa hanno dichiarato guerra economica, con sanzioni limitazioni commerciali e attacchi palesi alle loro esportazioni, e minacciato ripetutamente guerra reale alla Cina, ed è quanto meno paradossale pretendere che poi i cinesi supportino finanziariamente la guerra contro di loro…

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La doppia morale dell’occidente – Gianni Tortoriello

…Visto che pare ci piaccia così tanto parlare di guerre perché non farlo per tutte? Perché ci sono guerre di serie A e guerre di serie B? Pensate che ad oggi: 31 Stati e 291 tra milizie-guerrigliere, gruppi terroristi-separatisti-anarchici sono coinvolti in scenari di guerra. Il sito https://www.guerrenelmondo.it/  imparzialmente ne fa l’elenco più esaustivo reperibile non da archivi militari, ovviamente.

Direte: si certo, ma quello russo ucraino è un conflitto nato da un’invasione. Tutti i conflitti che troverete in elenco sono tutti conflitti d’invasione. Magari, non solo d’invasione ma in tutti c’è un territorio conteso o che crea problemi.

La Palestina

Ecco prendiamo il caso più eclatante: quello della Palestina invasa costantemente e ridotta progressivamente ad un lembo di terreno. Da chi? Da una politica espansionistica dello Stato di Israele con il conclamato appoggio statunitense che ha fatto del medio oriente una pentola sempre pronta ad esplodere.

Conflitto di etnie? In Palestina c’è così come in Ucraina. Sconfinamenti ed invasioni territoriali? In Palestina sono in atto dal 1948 e sono quotidiani. Volontà di pace? Inesistente sia in Ucraina che in Palestina. Eppure il conflitto russo ucraino campeggia, giustamente ovunque, e quello israeliano palestinese è scomparso dai radar.

Eminenti colleghi, ma anche semplici lettori diranno come hanno già detto: ovvio, il conflitto russo ucraino ce lo abbiamo in casa in Europa. Quindi ne dobbiamo dedurre che la nostra scala di giudizio è micragnosamente egoistica? In Africa, in Asia, in Medio Oriente fate quello che vi pare tanto non ci tange? Non toccate però i sacri confini della vecchia Europa?

Serietà e rispetto

Siamo seri, per favore, chi muore nei conflitti, nelle guerre in tutto il mondo è uguale a tutti gli altri. Non ci sono né guerre né profughi di serie diverse. La morte, la distruzione e la disperazione sono il denominatore comune di chi è investito da questi cataclismi.

Siamo ancora capaci di schierarci contro la guerra tout court o dobbiamo sempre alzare il ditino e fare il nostro meschino distinguo, che altro non è che il quotidiano esercizio aerobico del nostro egoismo? La Pace dovrebbe essere il nostro fine in ogni momento, in ogni racconto che porta agli occhi di tutti la barbarie delle guerre.

Se muore un ucraino o un palestinese, un russo o un israeliano o chiunque in Myanmar come nel sud Sudan non fa alcuna differenza a perdere siamo noi tutti come umanità intera.

da qui

 

L’espansione dei BRICS rafforza la voce del “Sud Globale”

di Zhang Xiaoyu – Global Times

…Ci sono due ragioni per cui così tanti paesi hanno chiesto di unirsi al BRICS. Da un lato, politicamente, non vogliono più sottostare all’egemonia degli Stati Uniti, ma desiderano plasmare un ordine mondiale multipolare con un dialogo equo. Dall’altro lato, sperano di ottenere fondi dalla Nuova Banca di Sviluppo e rafforzare gli scambi economici e la cooperazione con i paesi membri. Questo è particolarmente importante per il Sud del Mondo nell’era post-pandemica.

Ci sono voci che sostengono la de-dolarizzazione e il lancio di una valuta BRICS, ma questa questione è complessa e impegnativa, poiché il dollaro statunitense è stato a lungo valuta di riserva globale dominante. Tuttavia, è un fatto indiscutibile che la dipendenza dei mercati emergenti dal dollaro statunitense si sta indebolendo. Ad esempio, India e Bangladesh utilizzano lo yuan cinese per i pagamenti quando acquistano petrolio russo, mentre Brasile e Cina hanno annunciato l’introduzione graduale di un accordo di compensazione in yuan per alcuni scambi tra i due paesi. Il Sud Globale si attende un sistema monetario indipendente e stabile.

I paesi del Sud del Mondo hanno da tempo avvertito il costo del supporto delle istituzioni finanziarie guidate dagli Stati Uniti, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Alcuni paesi africani ritengono che allinearsi a queste istituzioni finanziarie non sia nell’interesse dei loro popoli, ma una scusa per l’Occidente per interferire nei loro affari interni. Trovare istituzioni alternative è necessario per salvare questi paesi dalla situazione di sviluppo attuale.

Non c’è dubbio che il BRICS ampliato diventerà un gruppo eminente sulla scena mondiale e persino un importante agente di cambiamento. Questa espansione è una pietra miliare storica. Sarà un nuovo punto di partenza per la solidarietà e la cooperazione dei paesi del BRICS e inietterà nuova vitalità nello sviluppo del Sud del Mondo.


L’autore è un ricercatore presso il Centro per gli Studi del BRICS dell’Università della Comunicazione della Cina.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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Pepe Escobar – Come si è arrivati al BRICS 11 (e reso insignificante il G7)

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

Ci vorrà del tempo prima che il Sud Globale, o la Maggioranza Globale, o il “Globo Globale” (copyright del Presidente Lukashenko), per non parlare dello stordito Occidente collettivo, comprendano appieno l’enormità delle nuove poste in gioco strategiche.

Il Presidente Putin, da parte sua, ha descritto i negoziati sull’espansione dei BRICS come piuttosto difficili. Ormai si sta delineando un quadro relativamente preciso di ciò che è realmente accaduto a quel tavolo a Johannesburg.

L’India voleva 3 nuovi membri. La Cina ne voleva addirittura 10. Alla fine è stato raggiunto un compromesso, con 6 membri: Egitto, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti (EAU), Argentina ed Etiopia.

D’ora in poi, si tratta quindi dei BRICS 11. E questo è solo l’inizio. A partire dalla presidenza russa a rotazione dei BRICS, il 1° gennaio 2024, saranno progressivamente inclusi altri partner e sicuramente un nuovo ciclo di membri a pieno titolo sarà annunciato al vertice dei BRICS 11 che si terrà a Kazan nell’ottobre del prossimo anno.

Potremmo quindi arrivare presto ai BRICS 20 – sulla strada dei BRICS 40. Il G7, a tutti gli effetti, sta scivolando verso l’oblio…

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Come i BRICS 11 stravolgono gli equilibri geopolitici mondiali (PRIMA PARTE) – Giuseppe Masala

Finalmente il tanto atteso vertice del BRICS – l’organizzazione dei cosiddetti paesi emergenti – si è svolto la settimana scorsa a Johannesburg in Sud Africa. Lo dico subito, il tanto atteso annuncio della nascita dell’unità di conto comune che avrebbe dovuto regolare i commerci dei paesi aderenti al posto del Dollaro americano non c’è stato: ma ciò non rende meno importante il vertice stesso che ha visto altri risultati importanti se non cruciali.

Per molti aspetti infatti questo vertice è stato più rilevante che se fosse stata annunciata l’unità di conto per regolare i commerci internazionali alternativi al dollaro. I messaggi chiaramente mandati al mondo e in particolare all’Occidente da Johannesburg sono importantissimi e oserei dire di portata storica.

Innanzitutto il messaggio che è stato mandato al mondo è che il BRICS non è solo un associazione temporanea di paesi che ha come focus l’economia ma una vera e propria alleanza e “coordinamento” tra paesi che hanno l’ambizione di scalzare il G7 come organizzazione egemone a livello mondiale. E’ chiaro che se questo è l’obbiettivo strategico dell’organizzazione BRICS l’unico criterio sulla base del quale prendere le decisioni non può essere la misura del Pil. Con la mentalità bottegaia non si costruisce l’egemonia a livello mondiale, tantomeno scalzando un blocco ancora potente e coeso come quello occidentale. Al massimo con l’economicismo si riesce a costruire un organizzazione come l’Unione Europea che si è rivelata nulla più e nulla meno che uno strumento utile solo a mascherare il pieno dominio americano sull’Europa dando ai popoli europei l’illusione di essere liberi e padroni del proprio destino.

Si può estrapolare questo punto di vista analizzando la decisione più importante presa a Johannesburg; quella dell’allargamento dell’organizzazione ad altri sei paesi. Innanzitutto questi sei paesi  – tra i tanti che hanno fatto formalmente domanda di entrare – sono: Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Argentina ed Egitto. I detrattori hanno subito sottolineato come paesi quali l’Etiopia, l’Argentina e l’Egitto hanno poco da dare essendo in costante crisi economica e spesso scossi da instabilità politica, sociale e addirittura anche geostrategica. E’ chiaro che – come dicevo – l’unico criterio di valutazione utilizzato dai paesi fondatori non è stato solo quello della misura del Prodotto Interno Lordo, ma una serie di elementi certamente più pregnanti e di prospettiva…

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Il diritto alla pace per superare il duopolio globale – Laura Tussi

L’ultimo vertice Brics si è svolto dal 22 al 24 agosto 2023 a Johannesburg in Sudafrica. I cinque paesi fondatori, ossia Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica si sono riuniti per decidere l’ingresso e se accettare la richiesta di adesione dei primi 13 paesi richiedenti l’entrata nell’alleanza Brics come gli Emirati arabi uniti, Arabia Saudita, Bangladesh, Venezuela, Argentina, Indonesia, Etiopia, Bahrain, Messico, Nigeria, Algeria, Egitto, Iran.

I 13 Paesi e l’incremento demografico a dismisura e insostenibile

Se questi 13 paesi entrano nella coalizione Brics l’unione degli abitanti potrebbe raggiungere quasi 5 miliardi di persone. Una operazione simile e questa eventualità potrebbero rappresentare un colpo estremamente pesante e duro per l’economia americana e europea con il dollaro sicuramente depotenziato a livello economico e commerciale.
La rivoluzione economica non consiste più in una moneta forte che detiene il controllo dei beni, ma di tante valute native che diventano più potenti grazie a un uso altamente diffuso. Risultano esserci altre 22 nazioni interessate a entrare nei Brics tra cui Cuba, Kazakistan, Indonesia, ad esempio.
Da tenere in considerazione anche la prevista crescita demografica molto elevata tra Asia e Africa e questo evento fa pensare che i paesi occidentali non potranno mantenere la loro potenza economica e commerciale.
Una delle ragioni del processo di accelerazione della crescita e del consolidamento dei Brics avviene perché questi paesi economicamente forti detengono anche gran parte delle materie prime del mondo. Anche l’accordo di libero scambio tra i paesi dell’Asia e dell’Oceania chiamato RCEP sposta molto l’economia verso est.

La guerra in Ucraina: fattore di squilibrio globale

Questo conflitto attuale in Ucraina sta ulteriormente cambiando gli equilibri e gli assetti globali.
Con gli Stati Uniti che cercano di essere sempre presenti e egemoni in Europa.
Ma i segnali giunti indicano che i BRICS vogliono contrapporsi a questo tentativo. Un’alternativa al monopolio statunitense può essere un’opportunità di sviluppo di ampie aree che attualmente risultano essere molto depresse.
La contrapposizione potrebbe sfociare in una drastica spinta dittatoriale e radicalizzazione dei rapporti tra NATO e Stati Uniti contro i paesi come Cina e Russia e altre nazioni. Per questo si parla costantemente in materia geopolitica internazionale della necessità non di un duopolio, ma di un mondo multipolare e libero dalle armi e dagli ordigni di distruzione di massa nucleari…

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redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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