Brown, più veloce della luce
di Erremme Dibbì (*)
Faster than light (più veloce della luce) e l’astronave passa nell’iperspazio. Lo scrittore ftl è Fredric Brown (1906-1972) e non perché abbia «inventato» l’iperspazio ma per i suoi racconti fulminanti. Uno è l’osannato «Sentinella» (del 1954) di due pagine scarse ma che bastano per distruggere ogni illusione: Brown – e chissà con lui quanti altri – è disposto a passare dall’altra parte perché l’alieno non è più il nemico e il bipede terrestre non è la gemma dell’universo. Giù la cresta.
Ora Mondadori-Urania offre tutti i racconti di Brown in due volumoni: per cominciare 34 nel primo (dal 1941 al ’50), alcuni cortissimi e altri quasi a misura di romanzi.
C’è il passaggio dai vecchi bem (Bug Eyed Monsters, mostri dagli occhi a insetto) ai temi più maturi. Un sentiero che fa incrociare i diavoli incendiari battuti dallo «zio Sam» («The New One»), una macchina compositrice «intelligente» («Etaoin Shrdlu»), una gatta «parlante» («Il topo»), altri insoliti «animali» («Tutti i Bem di buona volontà»), nientemeno che un diavolo ucciso dall’acquasanta («Armageddon»), terrestri violenti, prevaricatori, con una moralità da calabroni, contrapposti a insetti molto «umani» («Disciplina»), persino un «Ultimosasuro» (dolorante tanto quanto è “imbroglione” il sopravvissuto di Calvino nei dinosauri delle «Cosmicomiche») e ancora la bellissima Gera che danza felice nell’argon e a volte anche nel metano («Ma che bel Frinz», un racconto scritto da Brown per scommessa con un amico disegnatore).
In questo percorso può anche leggersi («E gli dei risero») un dialogo così:
«Ho visto le foto della spedizione. Gli indigeni portavano orecchini».
«No – dissi – erano gli orecchini a portare loro».
E si viene a sapere il motivo per cui «L’ultimo marziano», un «mezzo deficiente», può ambientarsi sulla Terra (invasa, ma non è il caso di spiegare da chi): il suo «è il livello medio dell’intelligenza terrestre, perciò se la caverà benissimo».
Una piccola notazione per «Gli ondicoli»: scorreva meglio la traduzione di Enrico Cecchini apparsa – con il titolo «Gli oscillanti» – sulla rivista «Gamma» nel 1966.
Insomma dall’alieno distruttore fino alla nostra «alienità» che ci distrugge, attraversando vari generi: dalla fantasy alla space opera, da Topolino (in 2 racconti) ai lombrichi che ascendono al cielo.
C’è anche una breve «introduzione» di Robert Bloch (ai profani si ricorda che fu sceneggiatore per Hitchcock e a sua volta autore di short story anche horror; valga per tutti l’ormai introvabile racconto «Treno per l’inferno», premio Hugo nel 1959) dove si parla dei “mille” segreti di Brown, che poi sono due: ha scritto anche molti gialli e per anni è stato correttore di bozze. La professionalità tipografica, il gusto del refuso, le parole storpiate che mutano significato a reale si avvertono in numerosi racconti e soprattutto in «L’angelico lombrico», racconto lungo del 1943. Ma ironia ha voluto che proprio a pagina 113 dove Brown svela l’errore tipografico «cosmico», Mondadori abbia infilato due note che andavano invece a pag 96 e 111: il refuso vince e vincerà.
Soprattutto Brown pensa, quindi si contraddice e si contraddice perciò pensa. Così proprio in «L’angelico lombrico» scrive che, di fronte all’improbabile, «la gente cerca sempre di spiegare»; invece in «Dentro il cappello» un personaggio annuncia che «la mente umana è del tutto incapace di assimilare l’incredibile». Se questa vi basta, è una spiegazione di come mai una persona intelligente come Brown si trovò nel 1968 in compagnia di noti scrittori reazionari in un appello (diffuso fra scrittori e scrittrici di fantascienza) perché gli Usa «rimanessero» in Vietnam contrapposto all’altro perché gli Stati Uniti «se ne andassero». Ma se anche non fu nella vita il rivoluzionario che spesso appare nei racconti, ciò nulla toglie alla sua importanza come scrittore «innovativo» e le lodi che di recente (su «La stampa» del 29 settembre) gli ha dedicato Oreste Del Buono sono del tutto meritate.
Un’ultima veloce osservazione. E’ molto diffusa, fra coloro che non amano la fs, l’idea che questo “genere” sia costituito da un buono (magari geniale) spunto e nulla più. Quest’antologia sembrerà a volte confermare il pregiudizio ma altrettante volte lo smentisce perché Brown scriveva – a volte – divinamente nei racconti come in alcuni romanzi («Marziani andate a casa» e «Gli strani suicidi di Bartlesville» per dirne solo due di fantascienza).
Fredric Brown, «Cosmolinea B-1», Biblioteca di Urania (numero 11) 1982: pagine 540, lire 8mila; traduzioni di Giuseppe Lippi e altri.
(*) Erremme Dibbì è il buffo acronimo con cui per anni io – dunque db – e Riccardo Mancini – ovviamente rm – ci siamo firmati sul quotidiano «il manifesto». Questa recensione è uscita il 10 ottobre 1982 e mi pare che meriti di essere riproposta visto che a inizio febbraio la collana Millemondi di Urania ripropone «Cosmolinea B-1» (e a seguire suppongo anche «Cosmolinea B-2»: non saprei dire se la scelta antologica è la stessa – ma controllerò – però in ogni caso i racconti di Fredric Brown (alcuni geniali ma quasi tutti almeno di buona fattura) vanno letti o riletti. Insomma: occhio all’edicola. (db)
Ho fra le mani la ri-edizione, targata Urania-Millemondi numero 62: sono 448 pagine per 7,50 euri, copertina grigia. Non c’è l’introduzione di Bloch ma una di Giuseppe Lippi. Sto rileggendo… con immutato piacere. Anche nei racconti più leggeri Brown si fa amare per l’ironia o per una scintilla di genio (beh, sarò sincero: due o tre sono da buttare).
«Cosmolinea B-2» non sarà in edicola a marzo (Millemondi ha cadenza semestrale, se non sbaglio).
Già che ci sono faccio il punto. Urania annuncia per marzo: «La compagnia del tempo» di Kage Naker (I capolavori-ristampa) e «La tigre della notte» di Alfred Bester (in Collezione). Attualmente in edicola c’è l’Urania di febbraio (numero 1591: 276 pag per 4,90 euri) cioè l’avventuroso «I pirati e l’astronauta» di Mike Resnick, un seguito: Resnick è autore piacevole ma discontinuo.
(db)