Bussi, Castronuovo, Ferrante, Peruffo, Roveda, Spadaccia e…
… Autori Vari
7 recensioni di Valerio Calzolaio
Beatrice Peruffo
«Raffa e Margot nella villetta degli orrori»
Terra Nuova
96 pagine per 8,90 euro
Uno spicchio d’orto. L’estate scorsa. Raffaella e Margherita sono grandi amiche, hanno nove anni e vivono in case adiacenti, un caseggiato la prima, una villetta con orto la seconda, il cui padre mette loro a disposizione un piccolo rettangolo di terra per provare a coltivare qualcosa. Cominciano dai lombrichi e poi li portano al negozio di Caccia e Pesca in confezioni definite: “Raffa & Margot, vermini da pesca”. Inizia così una gran bella avventura, fra piante e animali, esseri micro e macro, divertimenti intelligenti e scoperte paurose. “Raffa e Margot nella villetta degli orrori” è il nuovo libro per ragazzi (ben illustrato da Federico Zenoni) della sarda Beatrice Peruffo (Arborea, 1964) da tempo insegnante di Scienze Naturali in un liceo di Vicenza. In realtà, può essere utilmente letto a ogni età: la storia è godibile, una fiaba ecologica che, senza mai annoiare, orienta bambini e genitori su piacevoli attività scientifiche. In fondo appunti e notizie per farlo davvero un orto!
Michel Bussi
«I due castelli. NEO, libro due»
traduzione di Alberto Bracci Testasecca
Edizioni E/O
574 pagine, 18 euro
Parigi e Senna. Post Apocalisse. Sono trascorsi 14 anni da quando tutti morirono eccetto alcuni neonati. Avevamo incontrato i sopravvissuti 12enni quando erano diventati ragazzi, in due distinte conflittuali tribù, quella del Tepee sulla Torre Eiffel tappezzata di pelli, pescando nel fiume e cacciando al Bois de Boulogne, autodidatti e onnivori, quella del Castello negli edifici e nelle ricche sale del Louvre, dove avevano trovato i video degli antenati, istruitisi a quel modo e perciò vegetariani. Li ritroviamo ora 14enni e alleati, con il desiderio di scoprire se qualcun altro vive fuori dalla ex metropoli. Il grande scrittore Michel Bussi (Louviers,1965) continua la sagace fantasiosa distopia per adolescenti e curiosi, il secondo volume si chiama “I due castelli”. Le due tribù conoscono lotte interne e nuovi protagonisti nei padiglioni dei Serpenti, delle Scimmie, dei Soldati e nella foresta, sempre con capi e spie, infiltrazioni e tradimenti, amori e turbamenti, amicizie e lotte.
Elena Ferrante
«I margini e il dettato»
Edizioni e/o
156 pagine, 15 euro
Napoli. 1992-2021. Trent’anni di Elena Ferrante, chiunque sia! L’amore molesto uscì nel 1992 ma l’autrice scriveva da molto prima, dai tempi della scuola, come tante e tanti. I suoi primi ricordi di scrittura hanno a che fare con i quaderni delle elementari. Erano diversi da quelli di oggi (come ai miei tempi, all’incirca). Avevano righe nere orizzontali, tracciate in modo da delimitare spazi di diversa misura, dalla prima alla quinta i segmenti si riducevano, visto che la mano avrebbe dovuto sempre più disciplinarsi a tenere allineate lettere piccole e tonde, possibilmente in corsivo. A delimitare il foglio bianco c’erano anche due righe rosse verticali, una a sinistra, una a destra: occorreva iniziare continuare finire dentro, lasciando intonsi i bordi, disciplinando le andate a capo e l’ordine della pagina intera (ora con il computer si fa più o meno lo stesso, si progetta la pagina come la si vorrà vedere, si stabiliscono i caratteri e i parametri del paragrafo). Scrivere era muoversi all’interno di quelle righe, vergare le parole di un dettato entro quei margini. Ciò dava soddisfazione e, al contempo, segnalava una perdita, uno sciupio, un desiderio di sregolatezza. Per tutta la sua vita di scrittrice Elena Ferrante ha sofferto e goduto di entrambe le modalità di scrittura: l’acquiescente e l’impetuosa. Si è sentita una voce di donna sempre sballottata fra la consueta scrittura ben calibrata e tranquilla e un’altra che irrompe di rado, refrattaria a generi e punteggiature. In realtà, non sono separate: la prima ha dentro di sé la seconda, pazientemente attende di esserne svirgolata, grazie al continuo frastuono ordinato-disordinato in cui è immerso il nostro io fatto esclusivamente di parole. Scrivere è divenuto disporre frammenti in un incastro e aspettare di scombinarlo: la propria bella scrittura diventa (più) bella quando perde la sua armonia e acquista la forza disperata del brutto.
Su Wikipedia il luogo e la data di nascita di Elena Ferrante sono: Napoli, 5 aprile 1943. Perché no? Sul luogo i dubbi sono pochi, almeno come contesto d’infanzia e adolescenza, napoletano di fatto e diritto. Per l’anagrafe, invece, resta più ferma la data del 1992, quando uscì L’amore molesto, il primo romanzo con quel nome e cognome autorale. Da allora è una figura pubblica, incontrata da tanti in vari luoghi (a Napoli e non solo) con età e aspetto di sapiens in carne e ossa, conosciuta da molti più come autrice di bellissime narrazioni, basta e avanza. È con questo ruolo che rilascia interviste a distanza, subisce ricerche identitarie, paga comunque le tasse, esprime opinioni da stampare, collabora con quotidiani e riviste, continua a editare testi, risultando da tempo probabilmente la più brava scrittrice italiana, certo quella di maggior meritato successo, nazionale e internazionale. I suoi romanzi sono ruvidi e trasudano lividi, slabbrature, smargini. Narra meravigliosamente in prima, un continuo flusso di coscienza momentanea e retrospettiva, turbamenti e dolori arruffati e senza redenzione. Li ho recensiti tutti, dopo una lettura a tratti mesta e voluttuosa, a tratti lieve e ironica. Il Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” le chiese di preparare tre lezioni da tenere all’Università di Bologna nell’autunno 2020, lei scrisse “La pena e la penna” (l’autrice prima di Elena, in genere in terza persona), “Acquamarina” (Ferrante in prima fino alle riflessioni per la quadrilogia dell’Amica geniale, iniziata nel 2011), “Storie, Io” (l’ultimo decennio). La pandemia ha reso impossibile rispettare tempi e modi. A metà novembre 2021 l’attrice Manuela Mandracchia ha portato ottimamente in scena, nei panni di Elena Ferrante, i tre testi al Teatro Arena del Sole di Bologna ed è uscito lo splendido volumetto cartaceo che contiene anche il saggio “La costola di Dante”, letto il 29 aprile 2021 dalla studiosa Tiziana de Rogatis all’interno di un convegno dantesco. Imperdibile.
Anselmo Roveda (a cura di)
«Atlante dei viaggi straordinari e degli inconsueti mezzi di trasporto per compierli (oltreché di bizzarre città e di curiosi marchingegni). Con brani delle opere di Jules Verne»
illustrazioni di Marco Paci
Edt-Girangolo
60 pagine per 19,50 euro (cartonato, grande formato)
Futuro passato. 1863-1919. Il grande scrittore francese Jules Gabriel Verne (Nantes, 8 febbraio 1828 – Amiens, 24 marzo 1905) nel 1863 ottenne un contratto per pubblicare tre libri l’anno per venti anni. Andò oltre. Venne fuori una serie di 62 romanzi e 18 novelle (alcuni pubblicati postumi a cura del figlio) dedicati a I viaggi straordinari, testi noti a ragazzi e ragazze di quasi tutto il mondo, innumerevoli edizioni traduzioni adattamenti trasposizioni illustrazioni. Erano scritti di fantascientifica geniale visionaria immaginazione sia per gli spostamenti planetari e spaziali narrati, sia per alcune immaginarie destinazioni (città americane e isole oceaniche, soprattutto), sia per ecosistemi e specie incontrate, sia, infine, per i mezzi di trasporto ipotizzati e inventati: sui mari artici in brigantino, in slitta nel Grande Nord, lungo il Rio delle Amazzoni con una zattera, dall’America all’Europa sulla Belle-Roulotte, dall’Islanda a Stromboli nelle viscere della terra, in volo (pallone aerostatico) su Zanzibar, in groppa a elefanti (uno pure d’acciaio) attraverso l’India, alla scoperta della Cina con ogni mezzo “possibile”, nel profondo di abissi marini a bordo del Nautilus, oltre le nubi su un vascello volante, intorno alla luna dentro un enorme proiettile, nello spazio a bordo di una cometa, di tutto di più. Sentenziava Verne in Ventimila leghe sotto i mari: “Quel che serve alla terra non sono dei nuovi continenti, ma degli esseri umani nuovi”. Pare non avesse torto e, così, portò dovunque i lettori con travolgente fantasia (dopo un’adolescenza benestante, irrequieta e girovaga, prima di una vecchiaia amara, acciaccata e diabetica).
Lo scrittore e giornalista Anselmo Roveda (Genova, 1972) molto ha curato e pubblicato per ragazzi e ragazze. Per questo atlante dedicato a Verne prende spunto da sedici testi dell’autore, individua altrettante connesse straordinarie destinazioni (continenti, mari, spazio, città, isole) e seleziona (e ritraduce) brevi passi particolarmente significativi, senza ulteriori commenti. A splendido corredo vi sono le suggestive illustrazioni con varie tecniche dell’esperto comunicatore Marco Paci (Ravenna, 1975): riquadri grafici eleganti, schizzi di oggetti animali persone, una grande immagine paesaggistica colorata nelle pagine accanto ai brani e alle frasi citate. Spiega Roveda nell’introduzione: «Immaginazione e fantasia vanno a braccetto con geografia e scienza: il ricorso di Verne al fantastico, immaginare cose mai viste e fino ad allora impossibili, è, infatti, sempre nutrito da una curiosità ben informata dell’autore sulle novità tecnico-scientifiche e le acquisizioni geografico-astronomiche del proprio tempo». In fondo al volume la sinossi dei sedici romanzi e l’iscrizione al Circolo dei viaggiatori e degli esploratori (da Salgari). Al tempo dei cambiamenti climatici antropici globali, appare utile ricordare un’altra “sentenza” di Verne (sempre tratta da Ventimila leghe): «Si possono sfidare le leggi dell’uomo, ma non si può resistere alle leggi della natura». Un bel volume da affiancare ai testi scolastici e alle letture personali di narrativa e poesia.
Antonio Castronuovo
«Dizionario del bibliomane»
Sellerio
510 pagine, 16 euro
Dalle nostre parti. Da secoli. Il bel volume di Antonio Castronuovo (Acerenza, 1954) racconta una nutrita serie di fatti inerenti all’amore per i libri, e tutti comprovano che si tratta di un mondo zeppo di ossessioni, frenesie, capricci e irragionevoli stramberie. Dire che chi acquista e accumula libri, forse anche chi li scrive, sia un invasato è quasi un pleonasmo. Già. Confermo. Il “Dizionario del bibliomane” svela lo sfaccettato cosmo dei morbi che affliggono chi ama i libri. Il saggio contempla 225 voci in ordine alfabetico, abbastanza brevi, prendendo sempre spunto da uno o da un paio di testi editi nel passato più o meno recente e riferibili appunto alle potenzialità patologiche del o della sapiens appartenente al tipo bibliomane. La lettera più rappresentata è la C: da “calde pergamene” a “crudele tramonto”, una voce per H (“Harem di carta”) e Z (“Zyklon”). Utile per autocoscienza collettiva: chiunque frequenta i libri può maturare dimestichezza con propri malanni diffusi.
Gianfranco Spadaccia
«Il Partito Radicale. Sessanta anni di lotte tra memoria e storia»
Sellerio
758 pagine, 24 euro
Italia. 1955-2016. Mancava una storia del Partito Radicale, nonostante pubblicazioni su singoli vicende e fasi, soprattutto sulla figura di Marco Pannella (1930-2016). Ora Gianfranco Spadaccia (Roma, 1935), autorevole protagonista di gran parte di quella storia da dirigente, deputato e senatore, realizza un volume distinto nelle varie parti cronologiche: gli esordi da tre differenti componenti culturali (1955-1963); il partito dei diritti civili e dell’alternativa di sinistra (1964-1976); i radicali in Parlamento (1976-1984); il partito dei diritti umani e della riforma democratica (1985-1989); la scelta transnazionale e transpartitica con la crisi della Prima Repubblica (1989-1996); i radicali tra Berlusconi e Prodi di fronte alle nuove crisi internazionali (1996-2005); la Rosa nel Pugno (2006-2008), l’ultima legislatura radicale (2008-2013), con un cenno finale ai tre attuali tronconi della galassia dopo la morte di Pannella. Bibliografia ristretta e indice dei nomi significativo.
AA. VV.
«Dizionario che cura le parole. Secondo volume»
Rete italiana di cultura popolare (Torino)
130 pagine, 10 euro
Italia. 2018-2021. Da quattro anni presso il Fondo Tullio De Mauro di Torino si svolgono incontri su “Il potere delle parole”: giornalisti, studiosi e docenti di varie discipline presentano in una conferenza e poi inviano un breve testo scritto su una singola parola della lingua italiana, sostantivo o verbo, singolare o plurale. Nel 2019 furono raccolte definizioni e riflessioni su 14 lemmi: Biblioteca, Contatti, Coraggio, Cura, Educare, Famiglia, Multiculturalismo. Odio, Plurilinguismo, Politica, Populismi, Razza, Riconnessioni, Verità. A novembre 2021 è uscito il secondo volume, ognuno dei 20 lemmi (quasi tutti nuovi) è stato illustrato anche con un bel disegno a colori: Amore, Comprensione, Comunicazione, Comunità 1, Comunità 2, Cura, Democrazia, Empatia, Esclusione, Fake News, Forza, Giornalismo, Ignoranza, Innovazione, Libertà, Merito, Migrare, Potere, Pubblico, Resistenza. Il grande linguista Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 1932 – Roma, 2017) molto rifletté sull’analfabetismo funzionale, che in parte prescinde dal livello di scolarizzazione e dalle classi sociali: circa la metà degli italiani liberamente non legge libri, due terzi non capisce quello che legge (anche sugli organi d’informazione, pure sui social ora), alcuni milioni di italiani hanno una completa incapacità di lettura. Nel 1980 pubblicò una Guida all’uso delle parole che in appendice elencava quasi 5000 parole non fondamentali ma “di base”, tutte insieme minimo comun denominatore da costruire per cittadini che avessero fatto anche le medie inferiori, o usate con maggiore frequenza in un campione di testi italiani scritti (non stanno necessariamente nei nostri pensieri ma stanno nell’uso di tanti nostri concittadini) o legate a oggetti, fatti, esperienze ben noti a tutte le persone adulte nella vita quotidiana (stanno nei nostri pensieri anche se non le utilizziamo quasi mai). Il dizionario di oggi si muove sul solco del maestro.
Il Fondo Tullio De Mauro è nato dalla donazione del linguista e della moglie Silvana Ferreri nel 2011 alla Rete Italiana di cultura popolare e riassume un decennale lavoro di ricerca, comprendendo dizionari e grammatiche dialettali, saggi di linguistica, dialettologia e antropologia, testi letterari di narrativa, poesia dialettale e teatro, raccolte di filastrocche, canti e fiabe, che includono in particolare una significativa presenza bibliografica relativa alle lingue di minoranza. Nel settembre 2017 al patrimonio bibliotecario è stato attribuito lo status di eccezionale interesse culturale da parte della Sovrintendenza ai Beni Archivistici del Piemonte e della Valle d’Aosta, su designazione ministeriale. La Rete italiana di cultura popolare è un’associazione di promozione sociale che ha sviluppato sul campo progetti capaci di ascoltare e di affiancare le comunità locali, a partire dallo studio dei riti e delle feste tradizionali, al modo in cui si costruiscono sentimenti di appartenenza o viceversa di estraneità, alle condizioni e risorse di integrazione e inclusione. La Rete è un laboratorio composto da enti, associazioni, scuole, gruppi e singoli cittadini che partecipano all’ideazione e (re)invenzione di nuove forme di comunità, partendo dai bisogni che emergono dalle narrazioni di chi abita i territori. Fondo e Rete hanno sede a Torino e svolgono iniziative anche in molte altre realtà sociali (https://www.reteitalianaculturapopolare.org/chi-siamo.html). Nell’introduzione al secondo volume del dizionario, la sociologa Chiara Saraceno spiega il viaggio collettivo per prendersi cura delle parole: l’uso appropriato, la consapevolezza delle sfaccettature, le comunicazioni dialoganti di senso fra più parlanti e ascoltanti, i testi presentati come carte di navigazione parziali ed aperte. Fra gli autori Marco Aime, Eva Cantarella, Sabino Cassese, Federica Patti, Bruno Segre,