Bussi, Del Monte, Lonardi, Mankell…

…Ranieri Polese, il duo Cabiale-Gobetti più Autori Vari

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

Autori Vari

«Confini. Scienza, storia e cronache tra limiti, mutamenti e migrazioni»

A cura di Valentina Cabiale e Marco Gobetti

Edizioni SEB 27

158 pagine, 15 euro

Fra luoghi ed ecosistemi. Tempi diversi e mutevoli. Il 24 e 25 novembre 2018 a Ostana, delizioso piccolo comune montano di 81 abitanti (più o meno) in provincia di Cuneo, alle sorgenti del Po e ai piedi del Monviso, si è svolta fra la neve la seconda edizione della Festa dell’umanità, un evento nato nel 2016 che ha cadenza biennale (è in preparazione la terza edizione a fine autunno 2020) nell’anniversario della pubblicazione de L’origine della specie di Darwin (1859). Un anno dopo escono i testi in volume; sono saggi scientifici accurati con note e bibliografia, trattano di antropologia, biologia, astrofisica, storia, cronaca, poesia; gli autori sono vari di differente competenza, i due curatori (Valentina Cabiale e Gobetti), Biondi, Boano, Paola Bonfante, Calzolaio, Favole, Fracalossi, Elisa Nichelli, Olga Richards, Romeo, Scalfari; offrono uno sguardo esaustivo ed eterogeneo sui confini e sulle barriere della residenzialità, senza la pretesa di trovare intrecci e fili rossi.

 

Autori Vari

«Pezzi da museo. Ventidue collezioni straordinarie nel racconto di grandi scrittori»

A cura di Maggie Fergusson, traduzione di Pavlov Dogg

Sellerio

270 pagine, 16 euro

Alcuni musei negli anni scorsi. C’è sempre una buona occasione per visitarli. Intelligent Life (ora 1843 Magazine) è una rivista culturale bimestrale britannica. Anni fa chiese a scrittori di raccontare un museo che li aveva ispirati. Ne uscirono 38 interessanti pezzi, 22 dei quali sono raccolti in un bel volume. Fra gli altri: Julian Barnes, Dove Sibelius nacque ad Ainola in Finlandia (e parla anche del silenzio di Rossini); William Boyd, Tutto merito di Rudolf nel Leopold Museum di Vienna; Roddy Doyle, Il museo della gente comune a New York; Margaret Drabble, Dipinti nella pietra, il Museo dell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze; Aminatta Forna, Il museo dei cuori infranti (o delle Relazioni Interrotte) a Zagabria; Michael Morpurgo, La pietà della guerra, In Flanders Fields Museum a Ypres nelle Fiandre in Belgio; Allison Pearson, I sonetti in pietra di Rodin a Parigi; Ali Smith. Le ali di Capri a Villa San Michele; Jacqueline Wilson, Il Palazzo delle Bambole, la Poupée a Parigi.

 

Michel Bussi

«Forse ho sognato troppo»

traduzione di Alberto Bracci Testasecca

Edizioni e/o

432 pagine, 17 euro

Bacino della Senna e Parigi, Montréal, Los Angeles, Barcellona, Giacarta. Settembre 2019 (e autunno 1999, venti anni prima). Nathalie Nathy, minuta bella brunetta, chiacchierona e festaiola, occhi grigi con riflessi verdi (azzurri se si sente innamorata), ribelle ciuffo a scopino, ha quasi 53 anni e da trenta fa l’hostess di volo Air France nel mondo, quindici giorni ogni mese in perenne jet lag. Da 27 è sposata con Olivier, corpulento affascinante falegname silenzioso e affidabile che ha anche costruito la bella casa di legno in cui vivono a Port-Joie sulle rive del fiume; hanno due figlie, Laura 26enne infermiera con coniuge e due gemelli piccoli, Margot 18enne liceale conflittuale, tutti i suoi amati familiari punti fermi. Con la piccola Honda Jazz blu fa spesso i centoventi chilometri, avanti e indietro, che li separano dall’aeroporto di Roissy. Questa volta è pensierosa, stanno accadendo eventi strani e curiose coincidenze: in particolare, il calendario delle tratte del mese prevede tre successive destinazioni (Quebec, California, Indonesia) esattamente identiche a quelle toccate nel mese che le aveva cambiato la vita fra settembre e ottobre del 1999. Quel dì, prima di imbarcarsi per Montreal, al confine fra i Gate M ed N, le era capitato di sentire un esile affascinante ragazzo suonare la chitarra, berretto scozzese rosso, lunghi capelli ricci, viso raffinato, con amore reciproco a prima vista. Scoprì che era al marginale seguito dei Cure (gruppo ristretto e vero staff in business class), scambiando poi poche parole in volo, rivedendosi castamente in città senza riuscire a fare a meno di desiderarsi. Si chiama Ylian, poi per un mese si amarono e incontrarono di nascosto, non lo ha più rivisto, hanno stipulato un complicato contratto (pure di non cercarsi), ognuno per la sua strada. Fu la prima (e ultima) scappatella, mantiene pochi simbolici segni, nel cuore qualcosa di profondo conturbante indimenticabile. Improvvisamente ora tutto la riporta indietro nel tempo, forse c’è del male dietro casi e appuntamenti, qualcuno congiura alle sue spalle: lui stesso oppure amiche colleghe, altro personale di bordo, il marito, le figlie, o chi, come e perché?

Finalmente un romanzo d’amore, anzi il romanzo degli amori per il magnifico scrittore Michel Bussi (Louviers, 1965), professore universitario di Rouen (Normandia) e direttore di ricerca al Cnrs francese. In quattordici anni ha pubblicato tredici divertenti corpose avventure, oltre la metà delle quali ormai tradotte in italiano, tutte senza protagonisti seriali, ambientate in originali ecosistemi biodiversi e appartenenti al genere policier o giallo. Forse anche questo in parte lo è. Però, qui la cifra fondamentale è la travolgente passionale relazione amorosa, sessuale matrimoniale genitoriale amicale, anche se ovviamente non mancano tracce musicali, contorni noir, investigazioni dilettantesche, avventurosa epica, scientifica geografia, segreti degli affetti e colpi di scena, commedia e tragedia. Come nelle altre occasioni, la trama è ben arzigogolata, la vicenda narrata da Nathalie in prima al presente sia nel 1999 che nel 2019, con brevi incursioni in terza su altri, l’amante, il marito, il produttore, la collega. La solida professionalità scientifica consente all’autore di fare campionari delle possibili coincidenze della vita, in relazione poi a contingenti libere scelte dei personaggi in un tourbillon di ossessioni ed emozioni. Staremo sognando troppo (da cui il titolo)? Il filo conduttore è una canzone, belle sentite parole che Ylie dedicò quel dì all’amata e al loro breve incontro, lentamente ne ricostruiamo il lungo testo. Il romanzo ha una dedica significativa, “alle vittime degli tsunami in Indonesia”: si siano essi svolti nel 1999, nel 2004, nel 2006, nel 2018, nel 2019, o in tutti questi anni e in altri ancora, gli eventi meteorologici estremi climatici e geomorfologici sono sconvolgimenti che segnano di continuo grandi popoli e innumerevoli vite individuali, si facciano o meno poi concerti celebrativi.

 

Henning Mankell

«Il cervello di Kennedy»

Marsilio

traduzione di Barbara Fagnoni (originale del 2005)

380 pagine, 18 euro

Fra Stoccolma e il mondo. Autunno 2004. L’attraente archeologa 54enne Louise Cantor torna nella casa svedese dopo una lunga campagna di scavi in Peloponneso, è separata e ha avuto altri compagni (in Grecia Vassilis). Avvisa il figlio Henrik ma c’è la segreteria, arriva e sembra che si sia suicidato. Decide di indagare, capisce che non lo conosceva. Alcune tracce portano in Australia, Catalogna, Mozambico; aveva una fidanzata a lei ignota; era ossessionato dalla sparizione del cervello di Kennedy (da cui il titolo), seguiva a suo modo la tragedia di corruzione intorno al dramma dell’Aids. Il grande scrittore svedese Henning Mankell (1948-2015) narra magnificamente in terza persona le ricerche di una madre, uno sguardo competente e acuminato sui crimini sociali, sugli angoli bui degli esseri umani e sull’Africa (dove a lungo, ogni anno, visse). Alla fine spiega che il romanzo (forse) termina, ma la (brutta) realtà continua, occorre proseguire, arrabbiarsi, indignarsi. Greta docet!

 

Ranieri Polese

«Tu chiamale, se vuoi… Citazioni, echi, lasciti letterari nelle canzoni italiane»

Archinto editore

Italia, fin da quando c’è un italiano che può essere musicato. Da sempre i parolieri italiani hanno saccheggiato grandi autori della nostra letteratura, con una preferenza assoluta per Dante, subito dopo per Petrarca e Leopardi. La storia della contaminazione fra belle opere poetiche e canzonette potrebbe iniziare dai libretti d’opera, un popolare genere ottocentesco con regole e strutture rigide ove la letteratura cosiddetta alta si cristallizzava più o meno consapevolmente e s’irradiava nello stesso parlato quotidiano di uomini e donne che in parte non l’avevano prima frequentata. Termini e parole, aggettivazioni ed espressioni migrarono e migrano da eccelsi scrittori alla musica leggera (reminiscenze, imitazioni, allusioni, citazioni), per uno scambio in genere unidirezionale, salvo sporadiche eccezioni: citazioni o echi delle canzoni nei testi letterari sono cose rarissime. E, comunque, una direzione inversa dello scambio vale molto negli ultimi cinquanta anni dai brani musicali verso il cinema o i titoli dei libri. Certo è che andrebbe più e meglio studiata la lingua d’uso nei testi delle canzoni italiane, simile ai libretti d’opera e lontana dal parlato almeno fino alla prima metà del secolo scorso (rime, assonanze, tronche, accenti finali, metrica tradizionale e dislocazione irrituale): fior, cuor, sol, amor. Il bravissimo giornalista, saggista e critico Ranieri Polese (Pisa, 1946) scrive da decenni di cinema e musicultura per molti autorevoli quotidiani e settimanali. Qui ci regala una deliziosa introduzione a un tema su cui poco si riflette, il lascito culturale del componimento poetico nella musica leggera, ciò che resta della letteratura alta come eco in altre forme culturali e come influenza nell’immaginario collettivo. Scopriamo con godibile stile come tanti colti temi, parole, usi, modelli canonici si sono insinuati nelle canzoni che amiamo e canticchiamo, qualunque sia il genere musicale che ha successo di vendita in un certo periodo storico o che crediamo di preferire.

Dante è il “Top of the Pop”, il più citato fra i classici della letteratura italiana. Le tracce della Divina Commedia (perlopiù l’Inferno, perlopiù Paolo e Francesca) e dello stesso illustre personaggio sono innumerevoli (talora in connessione con riferimenti a Firenze). Polese esamina un campione di trenta testi 1922-2013 (con un antefatto del 1859), riferiti sia al tradizionale canzoniere (che vede separati compositore, autore, interprete) sia alla stagione dei cantautori: per ogni brano si riportano il verso o i versi in cui è chiara la citazione letteraria, sottolineandone gli specifici aggiornati valori linguistici e le varie possibili ulteriori funzioni (ironia, parodia, stereotipia, invettiva). Visto che per larga parte del secolo scorso la canzone fu essenzialmente e principalmente canzone d’amore (infelice, perso, artificiale), non si può poi che riconoscere un sostanziale strutturale debito verso Petrarca. Polese ricerca nomi, animali, elementi naturali e situazioni che ricorrevano allora nel Canzoniere (Rerum Vulgarium Fragmenta) e tornano ora, qua e là, nei testi delle canzoni: Laura; usignoli passeri rondini capinere; data anniversario, anno mese giorno ora, stagione in cui… ci è accaduto qualcosa di sentimentale; il tempo che passa o è proprio passato; acqua chiara come pure, talora, lacrime d’addio; il bagno di Diana (nuda quindi). Infine è Leopardi che, prima un poco usato nel melodramma ottocentesco, indi praticamente assente nel canzoniere fino alla metà degli anni cinquanta, dai Sessanta diventa una presenza costante. Polese registra l’effetto Infinito almeno dal 1956, cita e commenta cronologicamente più di trenta testi di successive canzoni, aggiungendo ancora quelle che abbinano versi leopardiani all’amore assoluto o carnale, oppure al Cosmo. Nell’appendice l’autore confronta Il sabato del villaggio e La canzone dell’amore perduto (quando De André correggeva Leopardi) e accenna alle influenze di testi stranieri nelle canzoni italiane attraverso tre casi (Françoise Sagan, Baudelaire, Saffo). La lettura è piacevole, offre un’intelligente griglia critica e suggerisce molti altri spunti o ricerche, anche per personale interesse biografico.

 

Andrea Del Monte

«Brigantesse. Storie d’amore e di fucile»

Ponte Sisto editore

188 pagine (con CD allegato) per 18 euro

Italia. Ottocento. Il brigantaggio è una delle pagine più controverse della nostra storia. Gli studi hanno riguardato quasi sempre il mondo maschile, qui vengono invece narrate giovani donne che la necessità e l’istinto di sopravvivenza trasformarono in guerrigliere. Biografie romanzate (ma non inventate) capaci di ritrarre ragazzine, precocemente fatte donne, bandite dalla società, protagoniste di gesta cruente. Scrittori e poeti hanno scritto il testo di 13 canzoni che il chitarrista e compositore Andrea Del Monte (Latina, 1983) ha poi musicato (ascoltabili nel CD allegato), gli stessi o altri hanno riassunto brevi note biografiche o versi collettanei su una trentina di “Brigantesse”. L’autore ha ritrovato foto che corredano i testi e ha intervistato insieme ad altri collaboratori una decina di personaggi competenti (Sabrina Ferilli, De Cataldo, Guerri, Bennato, Maria Rosa Cutrufelli fra gli altri), completando il volume con utili informazioni e parziale bibliografia.

 

Gilberto Lonardi

«Il mappamondo di Giacomo. Leopardi, l’antico, un filosofo indiano, il sublime del qualunque»

Marsilio

274 pagine, 25 euro

Da Recanati (anche) verso est. Leopardi (1798-1837). Sono decenni che l’ottimo professore di Storia della letteratura italiana Gilberto Lonardi (Verona, 1937) rivolge attenzione e studio al sommo recanatese, cercandolo dalla sponda della prima modernità, per varie vie, nell’antico. Questo è il terzo volume di una trilogia e riflette in particolare sulla definizione proposta da Gioberti per Leopardi e Vico, solitari risplendenti “soli nomadi”. Lo stesso titolo ne deriva, uno sguardo orizzontale, del mappamondo più che del calendario, che privilegia la forma-spazio e consente meglio di sottolineare le influenze (spesso poco approfondite in passato) dei libri presenti in biblioteca sull’Oriente, tra Persia e India, Ahriman e Buddha. Il bel libro (pur con linguaggio troppo autoreferenziale) è suddiviso in cinque parti (da cui i sottotitoli) e undici capitoli, alcuni dedicati a singoli componimenti, l’ultimo che aiuta a capire perché il titolo “Canti” fu scelto nel 1831.

 

Redazione
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Un commento

  • Daniele Barbieri

    Dice bene Valerio Calzolaio: «Henning Mankell narra magnificamente di crimini sociali, angoli bui degli esseri umani e dell’Africa…». Di solito non leggo 380 pagine del genere detto “noir” ma, riga dopo riga, «Il cervello di Kennedy» mi ha catturato. E non solo per le scomode verità raccontate come fossero fiction.
    Spero però che almeno su una cosa Mankell abbia torto. Cioè nel dialogo (pagg 300-301) sulla «coscienza». Accade spesso, come lui ha scritto, che «i poveri non possono permettersela» e che «i ricchi hanno paura che costi troppo». Spesso, NON sempre. E alla domanda «si può essere più che una brava persona?» rispondo che ho imparato – in una ormai lunghetta vita – che si può essere «più che una brava persona» perchè si può dare una mano (meglio se in compagnia) a distruggere almeno un poco di quel che vive del nostro sangue e a mettere i primi mattoni della nuova casa comune da abitare. Non è quel che servirebbe, però non è poco.

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