Calcio spagnolo: gli anarchici del CE Júpiter

Fu la squadra che sfidò i fascisti all’epoca della guerra civile spagnola.

di Valerio Moggia (*)

 

Quel giorno di luglio del 1936, quando la notizia dell’alzamiento militare in Navarra e Marocco raggiunse Barcellona, la Confederación Nacional del Trabajo proclamò lo sciopero generale, cioè la sollevazione popolare e operaia contro i golpisti. I dirigenti cenetisti andarono a recuperare le armi nascoste dalla rivolta di due anni prima e diedero appuntamento ai militanti al campo sportivo di Carrer Lope de Vega, nel quartiere del Poblenou. Una scelta strategica, poiché a pochi passi dal campo c’era la sede di Nosotros, il gruppo anarchico più importante di Barcellona, e perché comunque Poblenou era il quartiere della città in cui gli anarchici – e in particolare i cenetistas, gli inscritti al sindacato CNT – erano più numerosi. Molte armi erano nascoste sotto la tribuna del campo sportivo, che era divenuto negli anni l’insolito epicentro dell’attività anarchica della zona. Alcuni compagni arrivarono con un paio di camion requisiti da una vicina fabbrica tessile, carichi di altre armi e militanti. C’erano tutti – da Gregorio Jover a Juan García Oliver, da Francisco Ascaso a Buenaventura Durruti – asserragliati attorno alle quattro strade che circondavano il campo di calcio.

Quel rettangolo d’erba e terra ne aveva viste di tutti i colori, nel corso degli anni. Nel maggio del 1909 due giovani operai scozzesi si erano trovati in una birreria del quartiere, la Cebrián, e avevano deciso di creare una loro squadra di calcio, ma non sapendo decidersi sul nome optarono su quello di un pallone aerostatico che avevano visto in concorso quella sera nella vicina spiaggia della Mar Bella: Club Esportiu Júpiter. Poblenou – o Pueblo Nuevo, per dirla alla castigliana – era un quartiere di nascita relativamente recente, all’epoca, sorto quando le fabbriche avevano preso a spuntare attorno alle case del vecchio borgo di San Martín de Provensals, lì nella spaziosa periferia di Barcellona. In breve, era diventato il luogo con la maggiore concentrazione di industrie di tutta la Catalogna, al punto da venire chiamato “la Manchester catalana”. Con le fabbriche erano comparsi gli operai, e subito dopo anche nuove idee che infiammavano gli animi: socialismo, comunismo e anarchismo. E così Poblenou crebbe come un quartiere popolare e operaio, di sinistra e repubblicano, finendo per inglobare incredibilmente anche il Júpiter.

“Incredibilmente” perché, in realtà, gli anarchici disprezzavano il calcio, e in generale lo sport. Li accusavano di essere passatempi inventati dall’alta borghesia, che non facendo il lavoro pesante nei campi o nelle fabbriche aveva tempo ed energie da dedicare a quelle attività – e in effetti non avevano del tutto torto. L’ascesa prepotente che il calcio stava avendo in tutta Europa era vista dagli anarchici come un pericolo politico, perché distraeva i giovani proletari dalla lotta di classe, dalle assemblee e dalle proteste sindacali. E anche su questo non avevano tutti i torti, ma quello che venne a crearsi lì a Poblenou fu un miscuglio unico tra calcio e politica che fece sì che per una volta gli anarchici, invece di disertare i campi da gioco, finirono per appropriarsene più che volentieri. Le stesse persone che una sera stavano nella sede della CNT, un altro giorno stavano allo stadio di Carrer Lope de Vega a tifare per la squadra del quartiere.

La crescita sportiva del Júpiter era stata piuttosto rapida. Nel 1917, il club già vinceva il campionato della Segunda Categoría di Barcellona, e la sua fama iniziava a crescere, affermandosi come la terza squadra della città, dopo il Barça e l’Espanyol. Gli anni Venti erano stati decisivi nella storia, sportiva tanto quanto politica, della squadra: nel 1923 era andata al potere la dittatura di estrema destra di Primo de Rivera, che aveva avviato una brutale repressione dei movimenti di sinistra, tra cui la CNT, che era stata resa illegale. Per questo motivo, il Júpiter divenne il nuovo epicentro dell’attività anarco-sindacalista di Barcellona. Il regime costrinse il club a cambiare lo stemma, che raffigurava una stella azzurra e le strisce gialle e rosse della bandiera catalana, e pertanto era visto come un simbolo indipendentista e sovversivo, ma questo non bastò a cambiarne la natura. Durante quel periodo, gli anarchici sfruttavano le trasferte del Júpiter per trasportare armi ai loro compagni impegnati nell’opposizione alla dittatura: siccome i vecchi palloni avevano una vistosa cucitura che poteva facilmente essere sciolta per tirare fuori la camera d’aria, i militanti la rimuovevano e riempivano i palloni con i pezzi delle pistole smontate.

Ma non era solo politica: il Júpiter andava forte anche sul campo. Nel 1925 conquistò il titolo di Catalogna e di Spagna del Gruppo B, quella che era allora la Segunda División, in un’epoca in cui non esisteva ancora un vero e proprio campionato nazionale spagnolo. Nell’arco di un decennio, mise in bacheca complessivamente cinque titoli catalani di Segunda Categoría, e non mancò di suscitare le antipatie del regime. Durante un incontro amichevole contro il Barcellona, presso lo stadio Les Corts, il pubblico anarchico costrinse la banda della Marina Reale Britannica a smettere di suonare la Marcha Real, coprendola di fischi. Per tutta risposta, la dittatura fece sospendere le attività del Júpiter per sei mesi. Ma neppure questo servì a fiaccare la resistenza cenetista: il Júpiter sopravvisse più a lungo di Primo de Rivera e del suo regime fascista, che cadde nel 1930.

Sotto la Seconda Repubblica, la squadra del Poblenou mantenne viva la sua identità, unica in Europa, di squadra degli anarchici. Organizzato in maniera orizzontale e non verticistica, il Júpiter era l’esatto opposto del tipico club di calcio: invece di essere emanazione della borghesia industriale, nasceva dalla classe operaia e dalla comunità del quartiere in cui giocava. Nel 1934 conquistò la promozione nella nuova Segunda División spagnola, riuscendo a ottenere un’importante salvezza, che resta a oggi il più importante risultato del club grigiorosso dall’istituzione del moderno campionato di calcio spagnolo. Nel corso della stagione successiva, a febbraio 1936, il Frente Popular vinse le elezioni, portando la sinistra al potere anche con l’appoggio della CNT. Una delle prime proposte del nuovo governo fu di organizzare a Barcellona delle Olimpiadi Popolari, una celebrazione dello sport come strumento sociale e di lotta per i diritti umani, in opposizione alle Olimpiadi del CIO che si dovevano tenere nella Berlino nazista. Sotto l’influenza della CNT, si decise che la finale del torneo di calcio si sarebbe svolta sul campo simbolo della sinistra catalana: proprio quello sito in Carrer Lope de Vega.

Poteva essere l’inizio di una stagione di riforme sociali e rinnovamento in Spagna, ma durò poco. Ad aprile, la retrocessione del Júpiter suonò come un brutto presagio, e in estate arrivò infine il colpo di stato dei militari fascisti. Le Olimpiadi Popolari di Barcellona non si tennero mai: il giorno prima dell’inizio della manifestazione, la destra era insorta nel tentativo di rovesciare il governo. E si era di nuovo lì, in quel quadrato di vie attorno al campo sportivo, arroccati coi fucili puntati e la bandiera nera e rossa che sventolava da uno dei camion espropriati. Quando i golpisti si palesarono in fondo alla strada, vennero accolti dalle note di Hijos del Pueblo e dai proiettili, e dovettero ripiegare. Dal Poblenou le barricate si sparsero per tutta la città. I cenetistas assaltarono ed espugnarono anche la vicina caserma di Avenida Icaria. La mattina di lunedì 20 luglio, dopo 30 ore di battaglia, i fascisti erano prigionieri o in fuga: Barcellona era libera e repubblicana.

Lo sappiamo tutti come andò a finire quella storia, e non serve qui rievocare la guerra, ignorata dai paesi democratici ma non dalle potenze nazifasciste. Non serve raccontare delle battaglie, delle sconfitte, della caduta della Repubblica e del campo di Carrer Lope de Vega trasformato in un luogo in cui venivano fucilati i dissidenti politici. Per una volta, il narratore pensa che valga la pena di sospedere questa storia qui, con l’eroica resistenza di Barcellona, animata a partire da un piccolo club di calcio di anarchici talmente ribelli da aver piegato i principi dello sport borghese alla lotta di classe. Viva il Club Esportiu Júpiter!

(*) Link all’articolo originale: https://pallonateinfaccia.com/2023/02/05/ce-jupiter-club-anarchico-barcellona-guerra-civile/

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