Carbone e petrolio, veleni assicurati

La francese Axa disinveste, l’italiana Generali no

di Luca Manes (*)

Potevamo immaginare cifre da capogiro ma non sapevamo poi molto sugli investimenti dei colossi mondiali delle assicurazioni nell’energia fossile. La cosa ci riguarda, perché per chiunque utilizzi un’auto assicurarsi è obbligatorio. La pubblicazione di una ricerca di Re:Common mette ora in luce le dimensioni mastodontiche di una delle relazioni più pericolose e nefaste per la salute del pianeta. Grazie a Kuba Gogolewski, attivista polacco, il 27 aprile se ne è parlato anche all’assemblea degli azionisti di Generali, che nel 2016 ha investito almeno due miliardi e mezzo di euro in combustibili fossili e – solo per fare un esempio – almeno 33,8 milioni di dollari nella Polska Grupa Energetyczna, che produce l’85% della propria energia dal carbone. Generali è di fatto sponsor dell’espansione del peggiore carbone esistente, non solo ma soprattutto nei confini europei, dalla Repubblica Ceca alla Polonia, probabilmente il paese più inquinato d’Europa, dove il 70% dell’acqua utilizzata finisce al comparto carbonifero

L’ultima pubblicazione di Re:Common ha come oggetto un binomio non esattamente ideale e che spesso viene ignorato dal grande pubblico: quello tra compagnie assicuratrici e il comparto dei combustibili fossili. “Passo Falso”, questo il titolo della pubblicazione, svela infatti come 11 dei più grandi gruppi assicurativi mondiali, tra cui la nostrana Generali, investano i loro soldi nell’estrazione di petrolio e carbone.

Il lavoro di Re:Common è frutto dell’attualizzazione di uno studio realizzato dal Sunrise Project , in collaborazione con varie realtà della società civile internazionale ed è stato lanciato proprio in concomitanza con l’assemblea degli azionisti di Generali, svoltasi a Trieste il 27 aprile.  Sebbene in base ai dati a disposizione si sia potuto tracciare solo il 10% degli investimenti complessivi del gruppo, risulta che nel 2016 Generali ha investito almeno 2,53 miliardi di euro nei combustibili fossili.

Il rapporto si concentra su alcuni casi, tra cui quello della Polonia, che, all’inizio del 2017 l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) ha etichettato come il Paese più inquinato d’Europa. Nel 2016 Generali ha investito almeno 33,8 milioni di dollari nella PGE, Polska Grupa Energetyczna (PGE), che produce l’85% della propria energia dal carbone, incluso un 30% dalla lignite, il carbone di più bassa qualità e più inquinante. Generali è di fatto sponsor dell’espansione del peggiore carbone esistente all’interno dei confini europei, estratto nelle miniere di Bełchatów, tra le più grandi di lignite del Vecchio Continente, e quella di Turów, che ha pesantissimi impatti transfrontalieri con la Repubblica Ceca.

 

E i danni non sono solo al clima. “Il 70% dell’acqua usata in Polonia finisce al comparto carbonifero”, ha ricordato Kuba Gogolewski, attivista polacco intervenuto in assemblea. “Praticamente ogni tre anni per l’estrazione della polvere nera consumiamo risorse idriche pari alla portata del più grande lago del nostro Paese” l’amara riflessione di Gogolewski.

Rilevante anche il caso dell’utility statunitense Duke Energy, coinvolta in cause milionarie legate all’alto livello di inquinamento provocato dalle sue attività. Nel 2014, a causa della sua discussa gestione della polvere di carbone (coal ash management) e soprattutto di un grosso sversamento nel fiume Dan, in North Carolina, la Duke Energy è stata accusata di negligenza, imperizia e violazione della normativa nazionale sui fiumi. Due anni dopo, la compagnia ha patteggiato sanzioni pecuniarie per oltre 100 milioni di dollari e si è assunta l’obbligo di svolgere servizi per le comunità impattate. La Duke ha stimato il costo delle bonifiche che deve affrontare in 4,5 miliardi di dollari. Un conto salato, che intende far pagare in parte alle compagnie assicuratrici che l’hanno sostenuta in questi anni, tra cui Generali, tutte citate in giudizio tre settimane fa. La società triestina ha quindi deciso di sfilarsi. “Da 100 milioni di euro di investimenti siamo passati a 6 milioni”, ha riferito il presidente Gabriele Galateri in assemblea, dopo essere stato incalzato per il secondo anno consecutivo dall’esponente del Waterkeeper Alliance Donna Lisenby.

Ma su politiche più organiche e un cambio di passo sui combustibili fossili Generali ha nicchiato. “Faremo un’analisi dell’impronta ecologica legata ai nostri investimenti e riporteremo al riguardo l’anno prossimo”, ha proseguito Galateri, che allo stesso tempo ha ribadito come cancellare del tutto il sostegno al settore carbonifero non sia una strada percorribile.

Più confortanti le notizie che arrivano da Oltralpe. La più grande compagnia assicuratrice al mondo, la francese Axa, dal 2015 ha una politica specifica sui combustibili fossili e ha già disinvestito 500 milioni di euro dal carbone. Inoltre mercoledì, durante la propria assemblea degli azionisti, ha annunciato un ulteriore impegno pubblico, ovvero che non offrirà più la copertura assicurativa sulle proprietà e sui danni (se non in casi eccezionali) a società da cui ha disinvestito in quanto oltre il 50% delle loro entrate deriva dal carbone. Un esempio virtuoso, che gli attivisti impegnati nell’azionariato critico hanno invitato Generali a seguire. Per ora senza troppo successo.

(*) testo ripreso – con la foto (DNAIndia) – da «Comune-info».

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