Carcere di Bari: andare oltre l’effetto Lucifero
Al Sindaco Vito Leccese in relazione al suo ruolo di autorità sanitaria locale.
Proposte per “voltare pagina”.
di Vito Totire
Non ho buoni ricordi del carcere di Bari anche se per la verità non ho buoni ricordi di nessun carcere al mondo salvo uno a Cuba e qualcuno in paesi nordici europei.
Un giorno di Natale di diversi anni fa con l’indimenticabile Gianni Piras suonammo al carcere di Bari per consegnare un pacco di libri ma non ci aprirono il cancello gridandoci da lontano di “ripassare un altro giorno”.
In qualche modo la reazione fu anche appropriata rispetto alla nostra evidente invadenza. L’evento per dire che le sorti di questo carcere, come di tutte quelle del mondo, ci sta a cuore.
Successivamente numerosi tentativi di acquisire il rapporto semestrale sulle carceri di Bari (chiedemmo anche quello relativo al carcere di Turi) non ebbero mai risposta positiva fino al punto di esasperazione: messa alle corde la Ausl rispose “non abbiamo capito cosa state chiedendo”.
Ovviamente abbiamo seguito, anche grazie a testimonianze ravvicinate, gli ultimi eventi (precedenti a quello attuale) che hanno riguardato le carceri di Bari e anche il carcere/non carcere che è il CPR di Bari Palese (che necessita per le sue peculiarità un discorso a parte che non affronteremo oggi a causa della sua complessità).
Ora le cronache riferiscono dell’ennesimo conflitto tra “detenuti” e “detenenti”.
Premesso che sconsigliamo vivamente a chicchessia di adottare comportamenti violenti nei confronti delle cose e delle persone, e che esprimiamo la nostra solidarietà a chi è stato colpito (l’infermiera e l’agente), non ci convincono le semplicistiche e manichee interpretazioni del “giorno dopo” che propongono di dividere con una linea netta tra “buoni” e “cattivi“.
La violenza si previene lavorando il giorno prima e non con le misure del giorno dopo.
Le cronache ci informano del fatto che il conflitto potrebbe essere nato attorno al “caso” di una persona privata della libertà che avrebbe dovuto essere trasferita – da tempo- in una REMS. Se l’evento è vero ci troveremmo forse di fronte ad un abuso che in sostanza sconfina tecnicamente nel “sequestro di persona”.
Ancora: le cronache riferiscono di una asportazione di farmaci dalla infermeria.
Non sappiamo cosa sia successo esattamente tuttavia anche la questione dei farmaci e del loro uso fuori da criteri di appropriatezza è una questione del tutto aperta sulla quale non pare che le Ausl italiane svolgano una adeguata azione di controllo e vigilanza, il che da spazio ad un uso non terapeutico ma con finalità di tipo sedativo se non di contenzione chimica.
Alla luce dei fatti che portarono a Bari alla condanna per violenze nei confronti di un detenuto portatore di problematiche psichiatriche nasce inevitabile la domanda: oltre alle persone per le quali è stato decretato (e non attuato) il trasferimento in una Rems non ve ne sono forse altre, molte altre, per le quali questo trasferimento sarebbe necessario?
Abbiamo posto questo quesito con un nostro esposto alla Procura della Repubblica in relazione all’ultimo suicidio verificatosi nel carcere di Bologna. “Ovviamente” non abbiamo ottenuto nessuna risposta. Ma non è una forma di violenza e di abuso istituzionale lasciare “soli” gli agenti penitenziari a gestire situazioni difficili per le quali non hanno mezzi, formazione e soprattutto non hanno condizioni logistiche adeguate?
In un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Emilia la dirigente ci ha detto: “potremmo eliminare i mezzi di contenzione fisica …se avessimo più personale infermieristico“ dunque ne deduciamo che la generalizzazione dell’approccio “no restraint “ sarebbe materialmente possibile e persino facile.
Su questo problema (inadeguatezza dei messi di protezione e prevenzione) le cronache sono a dir poco raccapriccianti: di recente un agente ha dovuto spegnere le fiamme che un detenuto si era appiccato non avendo (l’agente) a disposizione neanche dispositivi di protezione individuale, ignifughi per cui ha dovuto spegnere le fiamme a mani nude…i lavoratori penitenziari sono, come si suol dire, lasciati “con il cerino acceso in mano” da uno “stato” che li manda allo sbaraglio con gli effetti drammatici che possiamo constatare visto che dall’inizio del 2024 risultano 7 eventi suicidari.
Si pensi poi alla arroganza e illegalità con cui in ministro Nordio ha risposto ai sindacati di polizia quando hanno sollevato il problema del rischio da esposizione a fumo passivo, per non parlare del sottosegretario con “delega alle carceri”.
Se il sovraffollamento registra (dati ufficiali) 390 detenuti contro una accoglienza teorica di 252 persone, la “forza lavoro” è ridotta a 330 contro i 449 agenti previsti: perché il Visag (Servizio di Vigilanza sull’Igiene e Sicurezza dell’Amministrazione della Giustizia) non interviene con una prescrizione come farebbe un organo ispettivo “normale”?
La domanda è retorica !
La violenza si previene (si dirà non al 100%, e siamo d’accordo) o si abbatte fortemente se si garantiscono condizioni ambientali, igienico-sanitarie e relazionali “decenti”.
Passaggio fondamentale è la bonifica dei rischi che passa attraverso la redazione di rapporti semestrali esaustivi che devono essere tradotti in prescrizioni eventualmente sostenute anche da ordinanze di bonifica.
In Italia i rapporti semestrali spesso non vengono redatti, spesso sono lacunosi (è mai possibile che siano meno informativi delle schede, meritoriamente, redatte da Antigone?) ma soprattutto sono ridotti alla “osservazione” che genera “proposte” non vincolanti.
Si deve prendere atto che sovraffollamento, rumore, caldo eccessivo, costrittività immotivate, richiamo alla obbedienza acritica, deprivazione socio-sensoriale inducono aggressività e generano conflitti evitabili.
Ai lavoratori penitenziari: avete ben compreso che siete trattati, dai massimi rappresentanti delle istituzioni, da “lavoratori di serie B”. Una fuoriuscita da questa condizione sarebbe facilitata dal superamento (reciproco, difficile che sia unilaterale) dell’effetto Lucifero e dal passaggio delle attività ispettive sulle condizioni lavorative dal VISAG alla Ausl.
Abbiamo fatto una proposta, con Maurizio Portaluri, alcuni anni fa su un progetto di decarcerizzazione che faccia appunto transitare la politica dello stato dalla segregazione carceraria ad una politica di effettiva risocializzazione.
Certo si tratta di un progetto inutile per chi subisse retaggi, più o meno inconsci, della ideologia lombrosiana, ma reiterare la visione del mondo divisa tra buoni e cattivi conduce ad una escalation foriera di nuovi lutti e nuove stragi in maniera non diversa dalle dinamiche di guerra che stanno insanguinando il pianeta.
Signor Sindaco: se vogliamo parlare delle nostre proposte siamo immediatamente disponibili.
Vito Totire, medico del lavoro/psichiatra, portavoce RETE PE LA ECOLOGIA SOCIALE (coordinamento di associazioni di volontariato) via Polese 30, 40122, Bologna 333.4147329.
Bologna, 18.8-2024
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