Carlotto, Castellina, Katz, Magri, Rufo, Turi e AA.VV.

7 recensioni di Valerio Calzolaio

 

Gabriele Turi

«Libri e lettori nell’Italia repubblicana»

Carocci

154 pagine , 14 euro

Italia. Dal dopoguerra. Il processo che porta a “produrre” un libro ha bisogno di apporti differenti: autori, editori, tipografi, librai, accanto a tutta un’altra serie di figure intermedie, come agenti, editor, magazzinieri, giornalisti e promotori. La storia di “intellettuali” s’incrocia con storie e tipologie di imprenditori e professionisti, artigiani e lettori, con gli apparati formativi e il mercato editoriale. In Italia manca una storia “industriale” del prodotto libro e ciò rende difficile anche la comparazione con altre realtà nazionali. L’esperto storico fiorentino Gabriele Turi da tempo riflette sul tema e ora vi ritorna con un agile testo dedicato a “Libri e lettori nell’Italia repubblicana”, sottolineando le dinamiche di concentrazione, la persistenza di specificità regionali e di piccoli editori e, soprattutto, la difficoltà di creare nuovi italiani “lettori”. Si accenna in breve alle trasformazioni degli ultimi anni, cercando piuttosto i fenomeni di lunga durata.

 

Massimo Carlotto

«Cristiani di Allah. Un noir mediterraneo»

introduzione di Amara Lakhous

Edizioni e/o (prima edizione 2008)

Algeri, coste italiane e francesi. 1541-1542. Redouane è figlio di pescatore divenuto mercenario, albanese di 31 anni, innamorato del tedesco Othmane, barbetta con le treccine alla moda. I due rinnegati si sono convertiti a Maometto, fatti tagliare il prepuzio e rasare il capo, per vivere quasi liberamente la loro omosessualità e coltivare la segreta speranza di partire per il Nuovo Mondo. Hanno tre schiavi e un servo, qualche soldo da parte, finanziatori per le scorribande. Algeri rientra nel dominio arabo delle malvagie intoccabili truppe turche. La vita da corsaro era dura, si faceva la guerra di corsa con spie e inganni per depredare porti e navi, cercando bottini e merci: schiavi e schiave, cibo, vino, gioielli, arredi, armi. I morti erano sepolti in mare. Massimo Carlotto (Padova, 1956) scrisse dieci anni fa questo magnifico noir storico, Cristiani di Allah, narrato in prima persona, riedito ora con l’introduzione dello scrittore italo-algerino che lo accompagnò lì nel 2007.

 

Lucio Magri

«Considerazioni sui fatti di maggio»

Manifestolibri

(prima edizione De Donato, ottobre 1968)

prefazione di Filippo Maone

176 pagine, 16 euro

Parigi, Francia, mondo. Maggio 1968. Soprattutto nel 2018 molti stanno riflettondo sul significato del ’68, quando accadde alcuni partirono e si rimisero subito in discussione. All’inizio di maggio la deputata comunista Rossana Rossanda (Pola, 1924) e il funzionario Pci Lucio Magri (Ferrara, 1932 – Bellinzona, 2011) decisero di andare a vedere di persona il movimento nelle città francesi, coinvolgendo l’amico “libraio” precario Filippo Maone (Napoli, 1939). Erano tre “ingraiani”, pur con autonoma esperienza e identità politica (fra l’altro in linea di principio nel Pci le correnti non esistevano). Ingrao era uscito sconfitto all’XI° Congresso del 1966, molti di quelli che avevano condiviso i suoi indirizzi culturali stavano covando idee e progetti comuni. Nessuno dei tre possedeva un’auto, l’editore barese Diego De Donato mise a disposizione una scattante pulita (solo all’inizio) Giulia Alfa Romeo. A Parigi si separarono per l’alloggio, Rossanda dal suo compagno Karol (Lodz, 1924 – Parigi 2014), giornalista di “Le Nouvel Observateur”, Maone dai coniugi Singer nel Quartiere Latino, anche loro di origine polacca, economisti. Magri prima si arrangiò, poi si organizzò con Maone in una casa vicino Gare Montparnasse prestata da un deputato Pcf. Per quasi venti giorni girarono da un quartiere all’altro, senza sosta. Seguirono le numerose occupazioni in corso, di scuole e cinema, del teatro Odéon e di altri spazi pubblici. Visitarono la fabbrica della Renault a Boulogne-Billancourt. Discussero fra loro e con tanti altri, ascoltarono e lessero, studiarono giornali libri muri cortei, facendosi domande e arrovellandosi su mille cose possibili da fare, lì e in Italia. Tornarono. In macchina presero miglior forma i libri dei “fratelli maggiori”, quello che Rossanda stava già scrivendo (sulle lotte degli universitari italiani) e quello ora riedito con le “considerazioni” di Magri, e un progetto di una nuova rivista, con un nome e cognome oggi ancora in edicola, “il manifesto” (dal giugno 1969).

Lucio Magri, intellettuale del Pci, fu uno dei fondatori del progetto del Manifesto; successivamente venne eletto deputato e segretario di un piccolo partito della sinistra italiana, il Pdup dal 1976 al 1984; ancora nel gruppo dirigente e in Parlamento con il Pci, poi con Rifondazione; sempre spirito critico e libero, comunista e unitario, bello e carismatico. Il suo pensiero politico (i soggetti che diresse, gli interventi che svolse alla Camera, i libri che scrisse) è ancor oggi oggetto di ricerca e di studio, non solo in Italia e anche fra generazioni più giovani. Cinquanta anni fa capì subito che doveva contribuire a una lettura della dinamica degli avvenimenti attraversati in quel 1968 e del loro significato profondo, “eccezionale” e forse rivoluzionario. Assistere in diretta alla cronaca per ragionarsi su, subito e in prospettiva, queste sono le sue “considerazioni sui fatti di maggio”. Così conclude l’introduzione: «gli sconvolgimenti … impongono a ciascuno di riconsiderare le proprie posizioni e di attirare l’attenzione su ciò che in concreto va corretto. La forma di dogmatismo oggi più diffusa è quella che usa una grande apertura metodologica e squillanti riconoscimenti della novità della situazione solo per conservare l’essenziale delle proprie idee o delle proprie abitudini, e dire agli altri come e perché sia ormai chiaro che hanno sbagliato. È il dogmatismo più corruttore; che per di più si possono permettere solo coloro che sempre hanno agito con sufficiente empirismo e scetticismo da poter rinunciare a molte cose. Forse anche a tutte, meno una: il potere, il proprio sicuro, particolare, rassicurante potere su alcuni uomini e su alcune cose». Di quel nostro potere (di sopraffazione “diseguale”) negli ecosistemi e nelle relazioni spesso non sappiamo fare a meno ancor oggi. Da leggere, per chi c’era e per chi è venuto dopo.

Sandor Ellix Katz

«Il mondo della fermentazione. Il sapore, le qualità nutrizionali e la produzione di cibi vivi fermentati»

traduzione di Carlo Nesler

Slow Food Editore

2018 (originale 2016, 2° ed.)

350 pagine, 18 euro

Ecosistemi alimentari umani biodiversi. Da sempre. Tutte le forme di vita sulla terra hanno origini batteriche e alcuni batteri, fra l’altro, mettono in atto straordinarie trasformazioni culinarie. La fermentazione è alla base di molti dei nostri alimenti principali e di alcune squisitezze come cioccolato, caffè, vino, birra. Il termine fermentation si usa allo stesso modo in tante lingue e, per tutte, deriva dal latino fervere, ribollire, lo spunto storico e fisico è quanto accade all’interno del mosto nel processo di vinificazione. Un insieme di microorganismi (batteri) catalizza la trasformazione di molecole (in genere carboidrati) presenti su piante o loro parti o loro derivati o su derivati di specie animali, che possono essere alimenti o cibi anche prima e, dopo, acquisiscono caratteristiche nuove e diverse, spesso “migliori” dal punto di vista del consumo umano, visto che poi risultano più digeribili e nutrienti, capaci di essere conservati a lungo e di proteggerci da malattie. Esseri umani sapienti (e forse prima anche altre specie umane) lo hanno veduto di persona in diretta, facendone ben presto un progetto e un processo, derivandone prodotti agricoli secondari, dal miele all’idromele, dal succo d’uva al vino, dal latte al formaggio, dalla farina di cereali al pane, quest’ultimo tramite il fuoco (scoprendo che la cottura induce ulteriori modificazioni). L’acqua e gli enzimi (nei lieviti, più o meno spontanei) svolgono le funzioni essenziali del percorso, che richiede anche un suo proprio tempo e che non risulta tutto evidente e lineare (tanto che spesso vi si associano accenti magici, alchimie).

Sandor Ellix Sandorkraut Katz (1962) discende da immigrati ebrei negli Stati Uniti (provenienti da Polonia, Russia, Lituania) ed è cresciuto a New York. Omosessuale, nel 1991 è risultato positivo al test Hiv, iniziando da allora ad assumere medicine antiretrovirali; dal 1993 si è trasferito nella campagna del Tennesse in una comunità queer estesa su due contee rurali, la Radical Faerie community. Ossessionato dai processi fermentativi, seguendo l’orto, studiando la foresta, sperimentando pratiche agricole e alimentari, sulla base di dieci anni di personale esperienza, nel 2003 ha pubblicato Wild Fermentation, tenendo poi centinaia di presentazioni e work shop e divenendo il catalizzatore mondiale di un vasto movimento di rinascita della fermentazione. È stato ascoltato, seguito, osannato in fattorie e mercati, università e biblioteche, ristoranti e caffè, chiese e festival, soprattutto americani e ormai di tutti i continenti. Un paio d’anni fa ha realizzato una seconda aggiornata arricchita edizione del libro, finalmente tradotto ora anche in italiano. Si tratta di un manuale vero e proprio. I primi capitoli offrono un contesto scientifico, culturale e sociale, sottolineando la salubrità microbiologica dei cibi ricchi di fermenti, possibilmente ancora vivi, contestando il terrore dei germi (e l’ossessione di un’igiene apparente) e l’eccessiva omogeneizzazione dei prodotti, valorizzando i metodi e le pratiche (molto) differenti di fermentazione sviluppate in ogni angolo (ecosistema) del pianeta. Segue una guida fai-da-te, con utensili e ingredienti di base. Poi lunghi illustrati didattici capitoli per ogni tipologia di alimenti da fermentare, corredati di foto disegni ricette: le verdure, le bevande, i caseari (con alternative vegane), i cereali, i legumi. E ancora vini, birre, aceto, per finire con cuochi e ricette italiani, sitografia, bibliografia e note. Completo.

 

Fabrizio Rufo

«Etica in laboratorio. Ricerca, responsabilità, diritti»

Donzelli

118 pagine, 17 euro

I confini culturali del (nostro) corpo. Ora e in futuro. La scienza irradia problemi, allarga un circolo virtuoso di domande e risposte. Gli avanzamenti nel campo di biologia e medicina hanno trasformato i riferimenti pratici e simbolici della vita privata e di relazione, dalla generazione alla morte. Il colto acuto docente di Bioetica (a Roma) Fabrizio Rufo (1966) porta l’«Etica in laboratorio», illustra lo stato dell’arte (scientifica) e delinea i possibili sviluppi. Il primo capitolo è più teorico: la parola “bioetica” compare nel 1971, si sviluppa accanto a biotecnologie e neuroscienze, costringe a ripensare il principio e la fine, assumendo in pieno una prospettiva evoluzionistica e radicando definitivamente le “emozioni” anche all’interno di reazioni corporee. Il secondo capitolo ridefinisce i rapporti tra scienza, politica e società: la conoscenza è un’elaborazione critica più raffinata dell’informazione, un bene in grado di determinare il grado di libertà di un individuo e la partecipazione ai meccanismi decisionali. Il terzo capitolo affronta il diritto alla salute.

 

AA. VV.

«Una mente sociale. Contributi in ricordo di Barbara Pojaghi»

A cura di Paola Nicolini e Sebastiano Porcu

FrancoAngeli

300 pagine, 32 euro

Macerata. 1949-2016. Barbara Pojaghi ha insegnato psicologia sociale a Macerata, assistente nel 1972, contrattista dal 1974, ricercatrice dal 1981, associata dal 2001, ordinaria dal 2009. Studenti e colleghi ne hanno vivida memoria, per le notevoli qualità comunicative e didattiche, per la miriade di iniziative di ricerca e per l’intensa attività sociale e territoriale dei quali sono stati testimoni, in rete con tutto quanto di civile, curioso e culturale si svolgeva nelle Marche. Fu assessore e consigliere comunale, presidente (o presidentessa) del Consiglio comunale, protagonista in commissioni pari opportunità. Un primo (ricco, variegato, costoso) volume consegna a lettori, amici e conoscenti, con note e testimonianze dei due figli e di oltre cinquanta donne e uomini, una traccia del suo multidisciplinare impegno, riassunto nel titolo: “Una mente sociale”. Troverete profili universitari e collaborazioni, l’attenzione alla comunità e alla scuola, resoconti culturali, quattro scritti inediti, accanto all’ampio elenco bibliografico di sue pubblicazioni scientifiche.

 

Luciana Castellina

«Amori comunisti»

Nottetempo

268 pagine, 16 euro

Turchia, Grecia, Usa. Novecento. La traduttrice Münevver Andaç (1917-1998) e il poeta comunista Nâzım Hikmet Ran (1902-1963) si amarono, brevemente a Istanbul e qualche anno a distanza, vissero insieme poco ed ebbero un figlio. I comunisti greci Nikos Kokovlìs (1920-2013) e Arghirò Polichronaki (1926) si amarono, in decennale eroica clandestinità a Creta (alla cui fine ebbero un figlio) e poi per il restante tempo esuli (e genitori) in Uzbekistan (attraverso l’Italia), fino alla fine. I comunisti americani Sylvia Berman (1924-2014) e Robert George Thompson (1915-1965) si amarono, quando lui uscì dalla prigione del maccartismo per alcuni anni, lui divorziato (e sempre in viaggio) lei vedova, fino alla fine (sono seppelliti accanto nel militare Arlington National Cemetery di Washington, grazie all’onorificenza avuta in guerra). La comunista italiana Luciana Castellina (Roma, 1929) ha incontrato personalmente i primi cinque dei sei (e solo la seconda delle tre coppie) nella sua intensa attività di dirigente politica e parlamentare europea. Ha covato memoria diretta delle loro storie d’amore per almeno un decennio, conservando appunti e materiali, raccogliendo testi e lettere, svolgendo ricerche e approfondimenti. Esce ora con un toccante affresco di passioni e affetti, un volume con le straordinarie biografie di sei uomini e donne, che si votarono a un comunismo militante (mai dogmatico nei rari momenti democratici, quando poterono discutere), tre coppie attratte da politica e amore, capaci di incrociare con emozione comune i drammi del secolo. Narra alla grande l’amorevole geopolitica del Novecento. Leggendola si capisce più della Turchia e della poesia universale (denuncia politica e accenti sensuali), delle Resistenze e delle dittature a Creta e negli arcipelaghi greci, della conquista dei diritti, della clandestinità non criminale e del filosovietismo statunitensi leggendo le storie personali dei protagonisti, che attraverso cento saggi di aridi dati o fatti, date o cronologie. Mitico.

Oltre la metà del godibilissimo testo è ovviamente dedicato alle due personalità più note in Italia e nel mondo, al prolifico fondamentale amore fra il leggendario Nâzım, morto in esilio per infarto 55 anni fa, uno dei più grandi poeti del Novecento, e la cugina Münevver, l’ottima traduttrice in francese (e altrove, per quel tramite) dei grandi autori turchi (Hikmet stesso, pure Pamuk e Kemal). Lui figlio e nipote di pascià, 17enne pubblicò i primi versi, bello e affascinante, occhi azzurri e capelli biondi, 20enne si impegnò volontario per l’indipendenza con Atatürk (1881-1938), diventò insegnante e comunista, transitò in Russia; poi in patria venne più volte arrestato e trascorse ben 17 anni in carcere; nel 1950 fu rilasciato e riparò presto in Unione Sovietica. Lei, figlia di una francese e del fratello ambasciatore di Celile (la mamma di Nâzım), occhi verdi e sguardo intenso, bella e colta; aveva già un marito e una figlia (Renan) quando lo andò a trovare con altri nell’ospedale del carcere, si scrissero, partecipò alla campagna per la liberazione, decise di farsi trovare là fuori quando finalmente uscì; nel momento in cui lo aiutò a scappare e rimase sola visse da reclusa con i due figli, traducendo gialli, infine in esilio insegnò Lingue orientali a Varsavia. Castellina spiega chiaramente perché sceglie Münevver fra i tanti tormentati amori (anche lunghi) del romantico orgoglioso Nâzım. Si conobbero nell’autunno 1948, poterono frequentarsi (e convivere) solo dal luglio 1950 alla forzata fuga di lui da Istanbul (e da complotti dei militari) nel giugno 1950 (nemmeno tre mesi dopo la nascita di Mehmet), rimasero lontani quasi senza notizie per oltre dieci anni (e lui si sposò in Urss con Vera), si reincontrarono poi una solo volta a Varsavia il 3 agosto 1961 (nemmeno due anni prima della morte di Hikmet per infarto). Castellina li conobbe entrambi, lei a Istanbul grazie a Joyce Lussu (che aveva tradotto le poesie in italiano dal francese), lui a Roma: “il comunismo è colmo di errori e di orrori, ma anche di dolorosissimi amori”. Sono biografie di persone nel loro contesto geopolitico (sempre premesso e parallelo). I contatti personali risultano funzionali a collegare gli eventi internazionali al comunismo italiano e a sentire la “molla” umana, non altro. Non cercate pettegolezzi o consigli amorosi, anche i rari accenni a tipici atteggiamenti dei “maschi” sono utili solo a farci capire meglio l’amore per la poesia e per l’impegno politico, le donne e i popoli, l’innamoramento come una forma di non assuefazione. E per nessuna delle tre coppie ci poté mai essere vita civile, pubblica, ordinata in democrazie parlamentari.

 

Redazione
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