Carlotto, Defilippi, Kavanagh e Manotti
Quattro recensioni giallo-noir di Valerio Calzolaio (*)
Dominique Manotti
«Oro nero»
traduzione di Francesco Bruno
Sellerio
Marsiglia. 1973. Una domenica di marzo il 27enne possente omosessuale Théodore Daquin, occhi e capelli castani, spalle larghe e volto quadrato, laurea in legge, fra i primi alla Scuola dei commissari, dopo un anno all’ambasciata di Francia a Beirut arriva al Vescovado di Marsiglia, sede del Servizio regionale di polizia giudiziaria, dove è stato assegnato. Viene coinvolto nell’indagine su una sparatoria con due morti in un’auto, un regolamento di conti fra malavitosi; poi gli danno un piccolo ufficio e due uomini in squadra. Non c’è tregua, altro omicidio nella notte davanti al casinò di Nizza, stranamente gli chiedono di assumere il caso, la vittima è Maxime Pieri, un grande imprenditore di trasporti marini con un passato nella criminalità organizzata. Era in compagnia della bella Emily Weinstein, nipote del proprietario della Società Mineraria del Sudafrica, moglie di Michael Frickx, il creativo trader della società americana di compravendita di minerali, ora interessato al petrolio. Subito dopo viene ucciso Simon, il vice di Pieri e a Istanbul anche il capitano di una loro nave. Battesimo di fuoco per l’animalesco atletico Parigino Théo, con un triste passato alle spalle.
Dominique Manotti (Parigi, 1942), colta solida lucida ironica, già docente di storia e sindacalista, da venti anni si è dedicata alla bella e militante scrittura, oltre dieci splendidi romanzi molto apprezzati anche in Italia sugli intrecci fra criminalità e finanza nella storia europea e planetaria, con spunti francesi. L’ultimo (in terza varia al presente) è uscito nel marzo 2015 per la Série Noire Gallimard e affronta le premesse della crisi energetica del 1973, il momento in cui cresce vertiginosamente la sete di petrolio e le Sette Sorelle non riescono più a evitare raffinazione e commercio indipendenti, con conseguenze conflittuali (anche militari) all’interno di e fra gli Stati. Daquin deve scontrarsi col contesto corso-marsigliese della French Connection, con il riciclo di denaro (in Svizzera soprattutto) e i mercati mondiali della droga e delle armi, con i nuovi investimenti di banchieri e finanzieri, con le complicità di avvocati e poliziotti, con l’avversione brutale verso i “finocchi”. È un sincero combattente (buon giocatore di rugby), quietamente non esibizionista, e impara presto a muoversi, cucina bene e beve meglio.
Alessandro Defilippi
«Viene la morte che non rispetta. Un caso del colonnello Anglesio»
Einaudi
Genova. Autunno 1952. Silvio Arieti, quasi 70enne professore universitario di criminologia in pensione, viene torturato in casa e subisce un infarto, gli incidono alcune frasi fra le scapole, lo sgozzano post mortem e non rubano niente. Padre di due figli poi partigiani (ammazzati), aveva dovuto giurare fedeltà al fascismo nel 1931 ma era stato sempre considerato un serio liberale, non compromesso col regime, docente e relatore di laurea del 50enne colonnello (partigiano) dei Carabinieri bel Moretto Enrico Anglesio, che, sconvolto, arriva sul posto. L’assassino è ancora nelle cantine, ferisce ma non uccide Anglesio, riesce a fuggire. Un torturatore fascista e altri subiscono efferate esecuzioni, si rinvengono sulla scena del crimine le stesse parole (greco imbastardito da un dialetto pugliese), le regie omicide sembrano essere almeno due. Qualcuno svia le indagini, aggredisce e ostacola Anglesio, che pure ha suoi problemi, sogni, incubi. Continua a pensare alla bella malata (di mente) moglie Laura, scomparsa sette anni prima, volata dritta in curva a soli 33 anni, annegata presunta. E non si cura abbastanza della ricchissima magnifica 25enne Letizia che lo ama. Rischia la vita.
Il medico e psicoterapeuta junghiano Alessandro Defilippi (Torino, 1956) ha già all’attivo vari romanzi e racconti; sostiene che Genova è il borgo marinaro della sua città e ambienta in Liguria le interessanti storie del colonnello, con particolare giustificata predilezione per Boccadasse. Narra in terza sul pauroso lucido Enrico e sulla volitiva determinata Letizia, in prima le brevi incursioni su chi pratica vendetta; tre parti, una ventina di capitoletti titolati. Siamo ancora nell’immediato dopoguerra e il giallo di ora ha come sfondo il massacro nazista e fascista all’Abbazia della Benedicta: aprile 1944, 147 partigiani delle brigate Alessandria e terza Garibaldi uccisi al confine fra le due regioni, Anglesio si era salvato grazie ai due amici carabinieri Vercesi e Ferrari, che oggi sono marescialli e lo aiutano nelle indagini. Il titolo è una traduzione dal griko. Il colonnello gira in Lambretta, quando può. La musica è a 78 giri, sia Mozart che Sinatra. Si cucina bene (anche Anglesio, col pizzo grigio), ne vien fuori una costellazione di gustose ricette descritte nei particolari e sempre accompagnate dal Pigato: cappon magro, cipolle ripiene, zuppa di pesce.
Dan Kavanagh
«Duffy»
traduzione di Norman Gobetti
Einaudi
184 pagine, 19 euro
Londra. Fine anni settanta. Il ribelle e irriverente Dan Kavanagh è uno pseudonimo scelto dal 69enne colto forbito lessicografo, editor letterario e critico cinematografico londinese Julian Barnes. La moglie (1940-2008) si chiamava Pat Kavanagh, vi si ispirò e le dedicò il primo giallo imperniato su “Duffy” (titolo originale del 1980), in terza persona, tradotto in Italia nel 1982 fra i Gialli Mondadori (di qui l’illustrazione di copertina dell’archivio Jacono). I successivi tre romanzi della serie non sono ancora mai stati editi in italiano. Nick Duffy è un bisessuale basso e robusto, ex agente di polizia (alla buoncostume), congedatosi e riciclatosi come consulente in materia di sicurezza. Deve difendere Brian McKechnie dal nuovo boss di Soho Mr Salvatore. Sarà dura.
Massimo Carlotto
«Per tutto l’oro del mondo»
Edizioni e/o
Nord Est. Fine primavera 2015. Marco l’Alligatore Buratti, indagatore sprovvisto di licenza su casi ai confini della legalità, pregiudicato coi baffi, ossessionato dalla verità, riceve due incarichi. Da un marito convinto che la moglie 45enne Cora, alta e slanciata, capelli ricci neri, infermiera al Centro grandi ustionati, abbia un amante: in un paio di mesi il nostro capisce che non è vero, gli ridà i soldi e si innamora di lei, che la sera canta jazz in un locale. Da un bimbo 11enne, orfano dopo che due anni prima la madre era stata uccisa crudelmente nella villa dove faceva la cameriera: prende venti centesimi e si considera ingaggiato pur di scoprire come sono andate le cose, non volendo rapporti con la banda complice del padrone di casa (avevano rubato molti ori e pietre), pure lui torturato e ammazzato. Gli amici e soci fanno la solita squadra d’azione. Con Marco vive nel centro storico di Padova Max la Memoria: grasso ex militante dei movimenti sociali dei Settanta, non riesce a far diete e aggiorna l’archivio di criminali e notabili. Li raggiunge da Punta Sabbioni l’elegante Beniamino Rossini, contrabbandiere e rapinatore, l’unico ben capace di qualche fisica violenza.
In venti anni Massimo Carlotto (1956) ha scritto una trentina di bellissimi testi, perlopiù noir; dopo 5 avventure fra 1995 e 2002, una ripresa nel 2009, a forte spinta popolare la serie dell’Alligatore ha ripreso ora a marciare con foga, siamo già al secondo del 2015 e l’epilogo anticipa almeno una prossima uscita, il genio del male Giorgio Pellegrini viene spesso qui evocato. All’inizio del titolo manca il “nemmeno” del modo di dire gergale e tutta la narrazione (come sempre in prima appassionata persona) ruota intorno all’esistenza di banditi perbene. Carlotto cita l’anarchico marsigliese Marius Jacob e sostiene che ce ne sono molti (anche se sempre meno) nella storia della criminalità europea degli ultimi centocinquant’anni, rilevanti anche per la coeva corruzione politica e istituzionale. Un certo cuore fuorilegge impone di cercare a qualsiasi costo risposte veritiere, di non usare tortura e violenza sessuale oppure sequestri e assalti nelle case, di evitare sempre danni collaterali alle vittime e ai loro parenti. Il contesto sociale e politico è il Veneto leghista delle elezioni del maggio 2015, pure il film di Moretti e il referendum greco. Ovunque musica blues e gran vini.
(*) Nell’illustrazione Dominique Manotti. Le recensioni di Valerio Calzolaio negli ultimi 15 anni sono state pubblicate su «Il salvagente», che ora ha dovuto sospendere l’uscita in edicola; ma Valerio continua a inviarle, in attesa di… nuove riviste o nuove formule.