Carlotto, Hammett, Lepore, Malvaldi, Savatteri, Stassi e Stein
7 recensioni in giallo/noir di Valerio Calzolaio
Fabio Stassi
«La lettrice scomparsa»
Sellerio
Roma. Da settembre a novembre. Vincenzo Vince Corso è ammalato di letteratura. Laureato in Lettere, da venti anni in graduatoria e abilitato a pieni voti a insegnare materie letterarie, non è mai passato di ruolo vivacchiando fra precari incarichi e supplenze (o anche collaborazioni giornalistiche con pseudonimo) fino a che, questa volta, non è stato designato in nessuna scuola e la nuova legge ha azzerato i precedenti punteggi, così si è inventato un mestiere da sperimentare. Con i pochi soldi residui affitta un appartamentino-studio in via Merulana, un sottotetto all’ultimo piano, dove vive, lavora e si propone come facilitatore emozionale e biblioterapeuta, ricevendo le potenziali clienti senza segretaria o sala d’attesa. È cresciuto a Nizza con la madre Anna, graziosa e solare, e le sue colleghe, cassiere o cameriere o cuoche o inservienti di tante diverse strutture alberghiere, sconosciuto padre di passaggio al quale scrive tutti i giorni una cartolina senza destinatario e con l’indirizzo dell’albergo dell’incontro che lo ha concepito. Assomiglia un poco a Gérard Depardieu, fisico imponente, pelo grigio, occhi azzurri; e ha pure tradito tutte le donne amate, da ultimo Serena. Niente elettrodomestici e automobile, si arrangia, gira in motorino Malaguti, talora si diletta con il clarinetto o con gli scacchi. Nello stesso palazzo scompare l’anziana Isabella Parodi, viveva al piano sotto al suo, il marito non spiega bene cosa può esserle accaduto e quando, settimane dopo, viene recuperato un corpo dal Tevere risulta subito indiziato. Ma c’è qualcosa che allo scaltro lettore non torna. Vince è abituato a compilare schede sui personaggi dei libri letti (cataloga caratteri, modi e abitudini), ne abbozza una anche sulla signora, habitué della medesima libreria d’antiquariato, indaga.
Il bibliotecario di origine siciliane Fabio Stassi (Roma, 1962) è ormai giunto a una decina di romanzi (il primo del 2006), lindi, solidi e ben scritti, colmi di notevoli letture e densi di riferimenti ad altrui scritture. Vince narra monocorde in prima persona al passato, 26 capitoli titolati con le lettere dell’ordine alfabetico e sottotitolati da una o due righe (versi) in corsivo e in francese. In fondo al testo c’è l’appendice con “consigli di lettura” e “altri libri” da lui suggeriti, una quarantina di testi utili (forse) a curare sofferenze e insofferenze, abbandoni e stanchezze, miopia e invecchiamento, magrezza e vita di coppia. In quei due mesi lo avevano consultato a pagamento 9 lettrici, solo donne (si sa): Carla, Velia, Rosalba, Elettra, Melissa, Elena, Guendalina, Margherita, Lidia. Il romanzo scorre attraverso le loro motivazioni, dialoghi serrati sulla solitudine, sulle vicende e proiezioni di chi legge, trasferendo sempre un poco di sé nelle pagine e acquisendo sempre un poco delle pagine nella miriade di “analoghe” situazioni già verificate. Scrivere è un modo di predire il passato. E ognuno ha comunque il suo modo di leggere: infantile, analitico, empatico, diffidente; si capiscono molte cose, a scoprirlo. Specie con cioccolato fondente a disposizione. Per il resto ricette interne ai libri e cibo a buon mercato fuori casa. Con le pazienti non scattano affetti, quando rimane solo Vince ascolta canzoni struggenti, perlopiù francesi (Montand, Brel, Piaf, Greco, Dalida, cose così) ma anche gli appunti di viaggio di Paolo Conte. Sono giochi cerebrali (non sempre di scacchi) le relazioni con il librario, il portiere, il commissario e sor Gigi. Solo con la riccioluta amica bibliotecaria Marta mantiene una sicura sporadica frequentazione, dentro e fuori gli orari di lavoro.
Dashiell Hammett
«On the Way»
traduzioni di Sergio Altieri e G. L. Staffilano
Mondadori
330 pagine, 22 euro
Sergio Altieri e G.L. Staffilano
Usa. 1922-1934. Dashiell Samuel Hammett (1894 -1961) fu un uomo alto bello tubercolotico solitario e donnaiolo (oltre moglie e due figlie, ovviamente Lillian Hellman), spesso un investigatore privato tra il 1915 e il 1922, un compagno militante per metà della vita (messo in carcere sei mesi dal maccartismo), un grande scrittore per un’altra breve parte della sua e per sempre, una star per un paio di decenni. Sulla base dell’archivio acquistato da un’università texana, con l’aiuto degli eredi e in particolare della nipote Julie, il suo biografo Richard Layman ha fatto riemergere 17 racconti e 3 soggetti cinematografici, mai raccolti in antologia e perlopiù inediti: «The Hunter and Other Stories» in originale (2013), «On the Way» ora in italiano. I testi sono raramente hard-boiled, distinti in quattro sezioni (crimine, uomini, uomini e donne, storie per il cinema) e un’appendice con alcune pagine dell’incompiuto Sam Spade, con l’aggiunta di ottime introduzione e postfazione.
Gaetano Savatteri
«La fabbrica delle stelle»
Sellerio
300 pagine, 14 euro
Makari (provincia di Trapani) e Venezia. Agosto 2015. Saverio Lamanna (Palermo, 1973) è rimasto senza lavoro certo e stipendio sicuro. Giornalista, era stato portavoce di uno sciocco sottosegretario del Ministero dell’Interno, prima di essere licenziato in tronco per un’uscita sulla legalizzazione delle droghe leggere. Scrittore, aveva esordito con un buon romanzo giallo (“Il lato fragile”), per restare poi del tempo alla ricerca di nuova ispirazione letteraria. Da fine giugno è tornato a casa in Sicilia (con nemmeno diecimila euro sul conto corrente), ha svolto qualche lavoro precario e, soprattutto, si è messo con la deliziosa giovane Suleima Lynch, nata a Dublino di padre irlandese e madre friulana, laureata in architettura, che vive a Bassano del Grappa (dove sta per tornare) e, in attesa del master a Bologna, fa la cameriera stagionale in un ristorante del posto. Vivono insieme nella (seconda) casa di famiglia, dove, da quando è morta la madre, il padre settantenne non vuole più tornare, restandosene a Palermo. Gli fa da angelo custode Peppe Piccionello, cui il padre aveva lasciato chiavi e manutenzione della casa, 55 anni e passa, milioni di esperienze senza aver mai preso un aereo. Mentre Peppe gli chiede di aiutare un suo amico pescatore che non sa dove è finito il figlio diciannovenne, dal capoluogo regionale lo chiama il vicequestore Randone e gli propone un remunerativo incarico alla Mostra del Cinema. Dovrebbe fingersi addetto stampa e controllare la sorella di una sua amica, produttrice cinematografica (sono ricche figlie di palazzinaro) in procinto di presentare un film al Lido. Saverio ha bisogno di soldi e teme il giorno della partenza di Suleima, prende Peppe e si avventurano in laguna, dove (fra molto altro) ci sarà un delitto.
Il bravo giornalista Gaetano Savatteri (Milano, 1964) è cresciuto a Racalmuto in Sicilia, da parecchio vive e lavora a Roma, finalmente torna al romanzo. Il suo protagonista aveva esordito nel 2014 in un racconto (“Il lato fragile”) della raccolta “Vacanze in giallo” ed è poi apparso in almeno altri tre ottimi racconti delle successive scoppiettanti fortunate antologie a tema, pubblicate dalla stessa casa editrice. Si è visto che il personaggio funziona proprio, col Carofiglio del padre, il corso spagnolo di Teresita e i pazzi di Rds in auto. Ora l’autore ha superato pigrizie, indolenze e pudori, costruendo un divertente romanzo con un’esile trama gialla, utilissimo per raccontarci la sua isola, per introdurre, capire e commentare il clima di alcuni grandi festival multimediali e per immergersi in quello veneziano, con innumerevoli incontri di famose personalità del cinema e il divertente ruolo in scena di alcuni amici (come la giornalista Fulvia Caprara e il regista Mimmo Calopresti). Il tono è sempre e solo lo stesso dei racconti, forse questo è un limite, visto che la narrazione è in prima persona e al presente. Lamanna scherza di continuo su ogni cosa, con ironia e autoironia; immerso nell’immaginario avvolge ogni evento in parole, tic, allusioni, frasi di canzoni e libri, come se avesse già visto tutto e conoscesse già tutti; così parla bene e mostra di aver studiato (rendendo piacevole il flusso della lettura), contemporaneamente non ascolta mai e fa trasparire paura dei fatti e delle emozioni (è il sincero Piccionello a doverglielo far notare). I genitori si erano incontrati al concerto di Jim Morrison and the Doors allo stadio della Favorita nel luglio 1970. Lighea freddo col padre che svela il segreto, sauvignon con Fiorenza che lo tenta, bianco di Custoza col figlio ritrovato che si rolla una canna.
Jesper Stein
«Bye Bye Blackbird»
traduzione di Maria Valerio D’Avino
Marsilio
430 pagine per 18,50 euro
Copenaghen. Estate 2008. Il 26 giugno una telefonata dall’ufficio dna della Scientifica scuote l’ottimo ispetore Axel Scarface Steen, quarantenne di 1,90. C’è una corrispondenza fra la saliva del violentatore di Jeannette, abusata in casa 4 settimane prima e la traccia riscontrata nel berretto di Marie, una ragazza uccisa nel laghetto 4 anni prima, vicenda che gli aveva rovinato la vita. Nel giugno 2004 la vittima non era stata violentata e Axel non era riuscito a trovare il colpevole, pur buttandosi nell’indagine a corpo morto; aveva rotto con molti colleghi, la notte del ritrovamento era stato disattento verso la piccola figlia Emma, aveva continuato a trascurare la moglie Cecilie fino al divorzio, ereditò su di sé rabbia e droghe. Axel crede all’inizio che l’assassino sia anche il violentatore, riesamina tutti i casi recenti di stupri nella zona e, parallelamente, riapre i vecchi fascicoli interrogando di nuovo le persone coinvolte. Dal punto di vista della giustizia criminale e della polizia un conto è lo stupro, un altro l’omicidio; oltretutto non è il primo caso di stupro, ben presto Axel fa emergere che lo stesso sadico criminale agisce indisturbato da anni, per quanto talora gli investigatori non avessero creduto alle vittime e talaltra non ci fossero state denunce. L’ordinario amante e l’attuale fidanzato di Cecilie è il suo superiore Jens Jessen, che è ancora geloso di Axel e riceve pure una busta con foto di lui mentre compra hashish. Axel non dispera di ritornare con la donna che lo ha lasciato, ama bene e davvero la figlia, scopa con una giornalista, s’invaghisce di Ea, brava avvocata di una vittima. Tutto s’intorbida.
Il danese Jesper Stein (Aahrus, 1965), giornalista d’inchiesta e critico letterario, ha già pubblicato quattro romanzi della serie su Axel Steen (con la e). Questo è il secondo tradotto in italiano (originale del 2013) e narra in terza persona entrambe le figure maschili innamorate della bella lentigginosa avvocata Cecilie, senza far pendere la bilancia dei pro e dei contro. Da una parte c’è uno sbirro malato di lavoro e di attacchi di panico, vita normale e sincera ormai piena di cicatrici (fuori e dentro), sgarbato e istintivo, ossessionato e ossessivo, più nemici che amici, circondato da incompetenti, a tratti uno psicopatico violento, padre perfetto seppur pochi giorni al mese. Dall’altra parte un competente predestinato vicedirettore di polizia, efficiente perfezionista, atletico e sempre apparentemente gentile, a tratti simpatico, più rivali e subalterni che amici, leale seppur calcolatore. Noi tifiamo Axel, è ovvio, lui è l’eroe. Tuttavia l’altro è un vincente che corre, sbuffa, pena, un poco timido sia con i deboli che con i forti, insomma alla fine non è odioso neppure ad Axel. E l’ottima padronanza dei vari livelli del racconto e dell’umana turbolenza affettiva, l’intreccio personale-professionale, i dialoghi vivaci e interessanti in contesti relazionali diversi confermano le qualità dell’autore, pur in una ripetitiva cupezza giallosvedese. In una cena a doppia coppia Jens condivide chardonnay Puligny-Montrachet e cabernet della Napa Valley, Axel va più a birre. I suoi passi falsi riecheggiano nelle parole di “In My Secret Life” di Cohen, comunque preferisce il jazz e il merlo (soprannome di Marie) della canzone del titolo, suonata da Chet Baker.
Giorgia Lepore
«Angelo che sei il mio custode»
Edizioni e/o
254 pagine per 16,50 euro
Bari. Marzo 2016. Il mitico 32enne ispettore della squadra Mobile Gregorio Gerri Esposito, bello e impossibile, svagato e presuntuoso, è da poco rientrato in servizio dopo la convalescenza e la sospensione di 4 mesi (senza stipendio) per la vicenda durante la quale aveva rischiato la vita e gli avevano sparato alla testa, al torace, al bacino. Viene da Napoli ma non vi torna da almeno dieci anni, un esilio autoimposto. Era nato e cresciuto lì, abbandonato dai genitori, in un orfanatrofio gestito da bravi persone, un prete di strada e una suora laica, ormai morti. Si sente ovunque fuori posto, senza legami e senza senso. Affronta ogni caso arrovellandosi su complicati schematici appunti sui fatti, chi dove come quando perché, appassionandosi alle relazioni affettive che pensa di non conoscere. Gli fa da padre il vicequestore aggiunto Alfredo Marinetti, suo capo alla terza sezione. Insieme vanno a Manfredonia dove un bambino è stato trovato morto in un bosco dalle parti del Gargano: lo sgozzamento risale a due anni prima, sulla fronte ha delle incisioni, era denutrito. Cominciano a studiare i vari casi di bambini scomparsi negli ultimi dieci anni tra Puglia e Basilicata, sette femmine e cinque maschi. Arriva da Roma una specialista dirigente della sezione minori, Giovanna Aquarica, alta e statuaria, volitiva e decisa, primo amore (tanto tempo prima) di Marinetti. Gerri piace alle donne. Dopo iniziali conflitti anche alla nuova arrivata (vent’anni più grande), lui si è lasciato con la giovane collega Sara Coen, è invaghito della moglie del capo Claudia, ripensa ad Annalisa e Lavinia. E soprattutto cerca Niccolò, 7 anni, appena rapito nel cortile dell’oratorio a Bitonto. Vede che c’è un legame con il culto di San Michele. Lo rintraccia al santuario ma qualcosa frana.
Dopo saggi scientifici e un interessante esordio letterario con un eretico romanzo storico, l’archeologa e insegnante d’arte Giorgia Lepore (Martina Franca, 1970) prosegue la bella serie contemporanea di un impegnativo protagonista, segnato dalla carenza di ricordi e amore della madre e dalla invadente presenza affettiva di troppe donne, legami brevi e brevissimi. E sia Marinetti che Aquaviva stanno conducendo un’indagine personale sui fantasmi del suo passato zingaro che da una parte lo opprime, dall’altra lo rende ipersensibile, quasi folle metodologicamente. La narrazione è su di lui, terza persona (quasi fissa) al passato, qualche breve corsivo su un bimbo maschio abbandonato al buio. Accanto alla trama noir vi sono i contesti emotivi e sentimentali, praticamente assenti quelli sociali e politici. Il titolo e la copertina fanno riferimento a Michele, religioso angelo armato che pretende sacrifici; tutto il testo è ben permeato dalla competenza storica dell’autrice: simboli, riti, statue, chiese, tracce di Longobardi e Bizantini in una splendida regione. E il nuovo collega Calandrini è stato catapultato lì dalle Marche. Ovviamente Gerri beve Primitivo (e al quarto bicchiere ne risente), comunque non scorda la canzone preferita di don Mimì, “Azzurro” di Paolo Conte (con i colori, gli odori e il mare di Mergellina).
Marco Malvaldi
«Sei casi al BarLume»
Sellerio
260 pagine,14 euro
Pineta. 2011-2016. Dal 2007 Marco Malvaldi pubblica i romanzi della sua famosa serie (finora sei), alternandoli ad altri gialli (spesso storici), a saggi di divulgazione scientifica, ad articoli e recensioni sulla stampa e a deliziosi racconti seriali nelle belle raccolte Sellerio a tema. Massimo e i quattro vecchietti sono stati protagonisti di sei racconti (dal Natale al Capodanno, dal calcio alla crisi). I «Sei casi al BarLume» sono qui ripubblicati in ordine cronologico, con un’interessante introduzione. L’autore spiega che l’editore chiese ai propri autori di far confrontare gli affermati personaggi con problemi e argomenti di quotidiana attualità. E riassume l’origine autentica e familiare della propria narrazione frizzante: lo zio, il cugino e soprattutto il nonno Varisello, furbo e iracondo (come Ampelio). Da non dimenticare.
Massimo Carlotto
«Il Turista»
Rizzoli
Venezia. Marzo 2014. Il 43enne Abel Cartagena è uno psicopatico criminale che si diletta a strangolare donne con belle borsette. Si affida molto al caso ma ha un preciso rituale: le atterra, le uccide e si porta via l’oggetto ricolmo degli oggetti personali, eccitandosi nel tirarli fuori con calma su un letto. Incappa in una preda con pregiata e leziosa Legend, non gli è facile sopraffarla, non esce nessun auspicato strillo giornalistico sulla sua nuova impresa (lo chiamano “Il Turista” visto che agisce in città diverse), allora torna con rischio ulteriore sulla scena del crimine, questa volta una minitelecamera gli riprende il volto. La vittima era una persona speciale: Damianne Roussel, francese, moglie del giovane magistrato Pascal Gaillard, assassinato due anni prima, entrambi parte di un piccolo gruppo investigativo franco-italo-spagnolo nato da un accordo segreto e temporaneo tra i servizi di intelligence dei rispettivi paesi. Amici e colleghi vogliono punire il colpevole e recuperare la foto e la chiavetta USB contenuti nella borsa, erano a Venezia sulle tracce dell’organizzazione clandestina dei Liberi Professionisti, ex agenti trasformatisi in killer prezzolati al soldo della criminalità ricca. Chiedono aiuto al solitario precario intuitivo disprezzato Pietro Sambo, ex capo temuto e rispettato della locale squadra Omicidi, da oltre un anno cacciato dalla polizia per aver preso una prima e unica mazzetta in ragione dell’affetto verso una vecchia fiamma, abbandonato anche da moglie e figlia dopo l’espulsione con disonore. Per motivi ovviamente opposti, Abel e Pietro vengono arruolati rispettivamente da cattivi e buoni, in una guerra condotta da tutti in uno stesso violento modo. Trappole, ricatti, tradimenti, stragi si susseguono. E non finisce qui.
Con consueta maestria e incipit straniante, Massimo Carlotto (Padova, 1956) sceglie ancora di sperimentare nuove strade. Narra in terza, alternando capitoli con al centro uno dei due protagonisti (che da un certo momento in poi hanno pure conversazioni e incontri), primo romanzo di una serie. Principale specifica materia di descrizione risulta la vita degli psicopatici criminali. Nella band di cattivi ce ne sono molti. Abbiano o meno letto la Psychopathy Checklist, i capi li utilizzano volentieri: sono assassini perfetti, non provano emozioni né sensi di colpa, torturano con successo ed eventualmente reggono le carceri segrete di massima sicurezza. Abel è ricco di famiglia, ha una moglie e un’amante ignare in Danimarca, scrive servizi per una rivista importante di storia della musica in giro per il mondo, finge empatia (anche verso i musicisti), si traveste e recita con straordinaria abilità. Ha realizzato un’ottima autovalutazione psicologica (quand’era al riformatorio inglese la madre aveva già previsto tutto) per trarre beneficio dai tratti (egocentrici, manipolatori, criminali) della propria personalità e gestire inevitabili momenti di perdita del controllo (anche con tecnica yoga). Pietro è più simile a noi, ne trae meno benefici e più ansie. Vedremo cosa riserverà loro la penna dell’ottimo scrittore con il nuovo editore, qui le organizzazioni clandestine quasi si eliminano a vicenda, i due perdono le coperture, pur con belle donne attorno. Intanto accettiamo qualche refuso di troppo e qualche pigrizia stilistica, visitiamo angoli di una sempre sorprendente Venezia, conosciamo marca e forme di molte borse internazionali, degustiamo vini notevoli (Muscat, Marzemina, Verduzzo, Ribolla e altri ancora), ascoltiamo musicisti del passato (da Ravel a Mahler) in un contesto volutamente secco e contraddittorio.
(*) Fabio Stassi è anche il curatore – oh, che bisticcio di parole – del volume «Curarsi con i libri», sottotitolo: «rimedi letterari contro ogni malanno», di Ella Berhtoud e Susan Elderkin; cfr Guarire con i libri