Catalano, Francis, Khanna, Sen, Serianni, Scibilia e…
… e Vetri
7 recensioni di Valerio Calzolaio
Paul Sen
«Il frigorifero di Einstein. Come la differenza tra caldo e freddo spiega l’universo»
traduzione di Susanna Bourlot
Bollati Boringhieri
Laboratori di ricercatori. L’ultimo paio di secoli. Nel 1824 Nicolas-Léonard-Sadi Carnot (1796-1832), brillante ingegnere militare francese, riservato e fragile, a Parigi pubblicò a sue spese un libello dal titolo Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres à développer cette puissance («Riflessioni sulla potenza motrice del fuoco») una magnifica opera di scienza, esposta lucidamente senza tecnicismi, prodotto di una fertile immaginazione unita a una mente che ragionava basandosi scrupolosamente sulle evidenze. E fu tutta un’altra storia! E fisica! All’inizio dell’Ottocento la Gran Bretagna era in pieno miracolo economico, alimentato dall’industria manifatturiera del cotone e realizzato attraverso la rivoluzionaria energia a vapore dell’industria mineraria. La Francia osservava, spiava, invidiava. Con una tiratura di seicento copie, il volumetto uscì il 12 giugno a un prezzo di tre franchi (essendone costati 460): mostrava che per generare potenza motrice c’è bisogno di un flusso termico da un corpo caldo a uno freddo e intuiva che le macchine dell’epoca producevano uno spreco increscioso. L’autore nel 1828 si congedò dall’esercito francese, nel 1832 fu ricoverato in un ospedale psichiatrico, uscì presto ma fu tra le vittime dell’epidemia di colera, morì senza sapere dell’immensa importanza del suo lavoro, aveva fondato la termodinamica, nucleo decisivo di buona parte delle nostre conoscenze sul mondo fisico per il tramite di tre fenomenali concetti: energia entropia temperatura. Senza di loro tutta la scienza – fisica chimica biologia – risulterebbe incoerente. La termodinamica spiega perché dobbiamo mangiare e respirare, come si accendono le luci e come finirà l’universo. I relativi princìpi governano tutto, dal comportamento degli atomi a quello delle cellule viventi, dalle macchine che alimentano il nostro mondo al buco nero al centro della nostra galassia. Einstein se ne occupò fin dal 1905, continuando a dare contributi fondamentali alla materia e ai frigoriferi. Non fu il solo.
All’esordio scientifico letterario, l’ingegnere giornalista divulgatore inglese Paul Sen parte dagli studi sul vapore per arrivare alle ricerche in corso. La scienza di Carnot era anche una risposta agli sconvolgimenti sociali d’inizio Ottocento, le sue acute personali riflessioni sono in qualche modo pure “prodotte” sia dalla Rivoluzione istituzionale francese che dalla rivoluzione industriale inglese. Risulta sempre così: la storia della termodinamica (in questo caso) non racconta solo come gli esseri umani migliorarono la loro conoscenza scientifica ma anche come quella conoscenza sia plasmata dalla società, che poi ne viene plasmata a sua volta. Il testo propone infatti una tesi: la storia della scienza è la storia che conta; gli uomini e le donne che fanno progredire la frontiera del sapere sono più importanti dei generali e dei monarchi. Lo svolgimento è la connessa dimostrazione: vengono narrati spunti biografici, assunti teorici fertili e percorsi intrecciati di eroi ed eroine della scienza attraverso il loro impegno nello scoprire la verità sull’universo, come massima missione creativa. Dopo Carnot: William Thomson (lord Kelvin), James Joule, Hermann von Helmholtz, Rudolf Clausius, James Clerk Maxwell, Ludwig Boltzmann, Albert Einstein, Emmy Noether, Clude Shannon, Alan Turing, Jacob Bekenstein e Stephen Hawking, ovvero alcuni tra gli esseri umani più intelligenti che siano mai vissuti. Spesso lavorarono in stanzette modeste di laboratori modestissimi con pochi mezzi, scoprirono verità fondamentali. In appendice il ciclo di Carnot, la specificità di Clausius e i quattro princìpi: se due sistemi termodinamici sono entrambi in equilibrio termico con un terzo, allora sono in equilibro tra loro; l’energia dell’universo è costante; l’entropia dell’universo tende ad aumentare; l’entropia di un sistema si avvicina a un valore costante quando la sua temperatura è prossima allo zero assoluto. Poi note e bibliografia.
Gavin Francis
«Isole. Cartografia di un sogno»
traduzione di Anna Lovisolo
EDT
246 pagine, 20 euro
In mezzo alle acque. Ciclicamente. Il medico, scrittore e viaggiatore Gavin Francis (Ayrshire, Scozia, 1975) ha iniziato a scrivere il volume sulle isole nel 2019 con l’obiettivo di trarre spunti dalle numerose che aveva visitato privatamente un po’ ovunque sul pianeta, per narrare benefici e problemi dell’isolamento con l’ausilio delle carte geografiche di ciascuna e della cospicua rigogliosa letteratura che le riguarda tutte. La successiva pandemia ha reso temi e riflessioni ancora più preziosi, essendo risultato fondamentale in ogni comunità umana apprezzare i doni dell’isolamento, sapendo al contempo trovare nuove modalità per restare vicini. Dichiara da principio di aver subìto fin da bambino il fascino delle isole e di aver scoperto che esiste per l’appunto una sorta di isolo-filia. Presto per lui la curiosità è divenuta un’ossessione: andava in cerca di isole per ricalibrare la consapevolezza di ciò che era davvero importante per lui, sia solitario malato per storie d’amore che in coppia alla verifica dell’innamoramento, sia poi con spedizioni scientifiche che con la famiglia (E. e tre figli). Gli è così capitato di alternare la professione di medico con lunghi viaggi e, talora, di accettare o cercare incarichi professionali su ecosistemi insulari lontani; significativi i quattordici mesi polari nella Halley Research Station in Antartide. Consapevolmente ripropone di continuo l’interrogativo esplicito o implicito su cosa sia un’isola: «un ambiente in cui i nodi e la complessità dell’esistenza vengono riprodotti in miniatura? Oppure un chiostro, separato dal mondo, dall’industria, dai momenti determinanti della storia?». L’ottimo affascinante testo ci consegna molti spunti per rifletterci sopra, con cultura ed emozioni. Tutti noi abitiamo un’isola.
Negli ultimi anni Francis vive fra Edimburgo e le isole del nord, ha collaborato con vari autorevoli organi d’informazione inglesi e pubblicato alcuni bei libri tradotti in tutto il mondo. Quest’ultimo è certo un successo di garbo e originalità. I primi capitoli parlano dei binomi: riverenza e trasformazione, pace e reclusione (al suo interno cita anche poche isole carcere), cui seguono i capitoli su isole lontane, rifugio, fortunate, celesti, dei gabbiani, del tesoro, cercando una chiara risoluzione dell’ossessione e dei sogni. Il disordine è funzionale: la trattazione torna spesso sui suoi luoghi (Shetland, Orcadi) e la narrazione volutamente non ha una sistematicità storica o geografica. Si parte sempre da un ricordo personale per illustrare in parallelo immagini cartografiche e citazioni letterarie, poi elencate in due lunghe note finali: la prima con l’elenco delle fonti (230 storie di e da libri, saggi poesie e soprattutto romanzi, circa un paio ogni pagina scritta, talvolta evidenziate in corsivo e in celeste), la seconda con l’elenco di carte geografiche e illustrazioni, riferite lungo il testo alla collocazione e alla morfologia delle varie isole (ben 229, colorate, spesso a tutta pagina). L’autore ha cercato con efficacia di fare una “semplice e onesta” memoria cartografica della sua ossessione (sottotitolo inglese) per il fascino speculare ma opposto delle isole e della città, dell’isolamento e della connessione. La comunicazione si concentra sulla superficie emersa di eventi e impressioni, con toni emozionati e poetici se possibile, frasi brevi, mai paragrafi organici e pesanti, di lato il nome dell’isola di cui si sta parlando nel caso specifico (e torna di frequente la sua mania per quelle più “settentrionali” e meno mediterranee), fra le italiane la laguna veneta e la sarda Tavolara. Vita sana e all’aperto, tende e sacchi a pelo. John Cage per l’isolamento totale, forse.
Vito Catalano
«Il conte di Racalmuto»
Vallecchi
110 pagine, 12 euro
Racalmuto. Aprile 1622. Pietro D’Asaro, pittore spregiudicato e donnaiuolo, beffardo e arguto, è originario di Racalmuto e sta conquistando un posto di rilievo nella pittura del Seicento in Sicilia. La bellissima contessa Beatrice lo manda a chiamare. Vuol solo dirgli di essere impressionata dai dipinti: Pietro è in grado di creare cose piene di bellezza e poesia pur essendo circondato da brutture e squallore. Entrambi sanno la causa del male: il conte Girolamo II del Carretto è uomo avido e spietato, complice di traditori e assassini, che percorrono ogni giorno vie e sentieri della cittadina. Chi può fermarlo? Leonardo Sciascia era il nonno dell’autore dell’interessante romanzo storico, d’amore e d’avventura, in terza varia, di Vito Catalano (Palermo, 1979) «Il conte di Racalmuto». Il nipote ha preso spunto da un paio di pagine dei libri di Sciascia dedicati a Racalmuto, laddove racconta brevemente l’assassinio del conte da parte del bravo ribelle servo Antonio Di Vita.
Parag Khanna
«Il movimento del mondo»
traduzione di Franco Motta
Fazi
454 pagine, 20 euro
Pianeta umano. Migrazioni e mescolanze del passato, del presente e del futuro. La geografia umana analizza il dove e il come della distribuzione della nostra specie in 150 milioni di chilometri quadrati di terra distribuita in sei continenti e comprende temi scottanti come: la demografia (la composizione delle popolazioni per età e per sesso), le migrazioni (il reinsediamento delle persone), la composizione etnografica, il nostro adattamento genetico a un ambiente che cambia ciclicamente e di continuo. Rifugiati climatici e migranti economici, matrimoni misti ed evoluzione umana fanno parte della vicenda storica e della realtà contemporanea della geografia umana. Se torniamo indietro nel tempo il continuo movimento e le grandi migrazioni permeano l’intera storia conosciuta, così come le mitologie più antiche. Muoversi e costruire: ecco l’essenza degli esseri umani. Certo, la maggior parte dell’umanità attuale non ha mai attraversato un confine. Tuttavia, i tre quarti delle migrazioni avvengono da secoli all’interno del proprio stesso paese e il fenomeno degli arrivi e delle partenze, siano o meno persone care o conosciute, riguarda comunque in vario modo anche chi resta sempre nella stessa residenza. Senza generazioni giovani che utilizzano case, scuole, ospedali, uffici, ristoranti, hotel, centri commerciali, musei, stadi e tanti altri servizi, parecchi paesi (fra cui l’Italia) rischiano la deflazione permanente, tanto demografica quanto economica. Da inizio 2020, il lockdown per la pandemia ha sostituito l’incremento delle migrazioni e degli spostamenti con un improvviso reset della popolazione mondiale: un rimpatrio di massa senza precedenti ha artificialmente riallineato cittadinanza e luogo di vita. Ma non durerà. Si annuncia presto una nuova inevitabile epoca di migrazioni di massa.
Il politologo e consulente strategico globale Parag Khanna (Kanpur, 1977) è uno specialista di relazioni internazionali. Nato in India, cresciuto negli Emirati Arabi Uniti, naturalizzato cittadino statunitense, si è laureato a Georgetown e dottorato alla London School of Economics, ha insegnato fra l’altro a Singapore e fondato la società di pianificazione FutureMap, recentemente è stato nominato da Esquire una delle “75 persone più influenti del XXI secolo”. Non è il primo libro di successo che pubblica, eppure questo sesto saggio è il più netto nella visione di prospettiva: serve una strategia collettiva di reinsediamento della popolazione mondiale, il movimento da dove ci si trova e la migrazione risultano oggettivamente destino auspicabile per molti di coloro che sono nati, stanno nascendo e nasceranno nei primi decenni di questo terzo millennio. Migrazioni di massa sono inevitabili e, oggi più che mai, sono necessarie. Muoversi significa essere liberi. Meglio saperlo e adattarsi, piuttosto che subirlo e fossilizzarsi. Il nostro mondo è già una collezione di ibridazioni regionali e cinque miliardi e mezzo di persone vivono in continenti con ragionevoli prospettive di movimento, mentre gli altri due e mezzo non hanno intenzione, o l’opportunità, di andarsene. L’autore descrive subito quattro scenari geopolitici sulla base delle forze in campo (demografia, politica, economia, tecnologia, clima), disposti lungo gli assi del movimento migratorio e della sostenibilità: “il Nuovo Medioevo” (il peggiore), “i barbari alle porte”, “Fortezze regionali”, “Luci dal Settentrione” (il migliore). Sono scenari che non si escludono a vicenda e che in parte si mescoleranno. Tanto vale allora valutare bene il posto che ciascuno vuole cercare di avere nella prossima mappa dell’umanità. Khanna motiva con informazioni e dati riferiti a tutte le aree del mondo quanto sarà importante per i giovani la libertà di migrare (che, come noto, non esclude il diritto di restare). Consegna arguti competenti capitoli illuminanti: la guerra per i talenti; la migrazione generazionale; Usa e Canada; il Commonwealth europeo; Caucaso, Russia e Asia centrale; l’estremo Nord del pianeta compreso l’Artico; il Sud ovvero Africa, Sudamerica, Australia; la geopolitica delle diaspore asiatiche; Cina, India e Giappone; le centinaia di milioni di cittadini globali Expatistan che già esistono; le reti e le città inevitabilmente sempre più sostenibili; la civiltà 3.0. Chiaro e convincente
Nino Vetri
«Lume Lume»
con una nota di Andrea Camilleri (prima edizione 2010)
Sellerio
132 pagine, 14 euro
Palermo. Non solo qualche anno fa. Un giovane palermitano con moglie e figli ha sempre in mente un’antica canzone rumena con un gran crescendo di voci e fiati, crede si chiami Lume Lume e voglia dire “gente, mondo”, gli piace, vorrebbe suonarla, ma non conosce le parole. Cerca sul vocabolario, domanda in giro. Ha come vicini quattro rumeni, non trova la risposta. Chiede incerti lumi anche all’altro vicino Mohammed, musulmano del Bangladesh. Va al mercato con una ragazza francese che ogni tanto affitta una stanza nello stesso ballatoio, uno zingaro con la fisarmonica gliela canta ma s’inventa le parole. Niente da fare, nonostante continui a incrociare le tante etnie, religioni, costumanze, credenze del quartiere. Il protagonista narra con leggerezza e acume «Lume Lume» in prima scanzonata persona e, secondo Camilleri nella nota iniziale, il libro di Nino Vetri (Palermo, 1964) è da leggere almeno due volte, per la felicità di scrittura e come manuale di convivenza col mondo. Ottimo.
Luca Serianni
«Parola di Dante»
Il Mulino
192 pagine, 15 euro 15
Dante Alighieri (Firenze 1265-Ravenna 1321). Si sa: Dante è il creatore della lingua (e della letteratura) italiana, del vocabolario fondamentale tanto della nostra lingua poetica quanto della nostra prosa scientifico-argomentativa, non solo per l’innegabile condivisione dei tratti fonetici e morfologici. La Divina Commedia non ha così mai cessato di rappresentare un serbatoio linguistico dal quale lettori e letterati hanno continuamente attinto negli ultimi otto secoli. Si può dunque partire dall’assetto testuale per assaggiare la “parola di Dante”, tenendo ben presente che è assente un autografo, che i “contaminati” manoscritti della diffusione planetaria sono oltre ottocento, che sono state effettuate rigorose verifiche critiche dei testimoni, delle biografie, delle vicende storiche e dell’iconografia dell’epoca (pur non sempre con esiti univoci). Scrivere la Commedia in volgare e non in latino fu una scelta rivoluzionaria. Per Dante, come per i suoi contemporanei, il latino non era mai stato una lingua naturale, bensì una lingua artificiale, dotata di regolarità e fissità. Dovendo far parlare insieme uomini e donne di epoche, culture, lingue, ceti distanti, Dante adotta un moderno patto comunicativo con il lettore, sperimenta una lingua comune, più da commedia che da tragedia, la più inclusiva, dialogica e mimetica possibile, alternando con sapienza registri differenti e variando le situazioni rappresentate nella narrazione (domande di un’anima ai due viaggiatori, meraviglia rispetto alla corporeità del poeta, attenzione su Virgilio e sulle altre guide come Beatrice). Proprio le singole parole usate sono il tramite per capire il valore duraturo e “finora” immortale di Dante. Vanno studiate duttilmente e meticolosamente, è una bella sfida.
Il grande linguista e filologo Luca Serianni (Roma, 30 ottobre 1947) consegna alle stampe un interessante agile testo, nell’anno delle celebrazioni dantesche per i 700 anni dalla morte del poeta. Formalmente riguarda solo il lessico, non le intere biografia e opera. Si parla con l’autentico Dante, non con i saggi su di lui. Alcune (molte) parole del lessico dantesco sono ancora le nostre; altre esistono ma hanno cambiato di significato, altre non esistono (solo) perché oggetti allora comuni non erano attinenti alla narrazione o i referenti proprio non circolavano; altre parole ed espressioni sono state stravolte dagli usi diffusi, pure in riecheggiamenti illustri non solo nazionali. Parte del lessico dantesco deriva da latinismi attinti a fonti classiche e medievali; molta altra parte costituisce una novità, si tratta di “prime attestazioni” (soprattutto per i verbi parasintetici), attinte dal parlato (muso, felicitare) o dal latino (assenso, collega) o da riformulazioni oppure – molto più di rado – inventate di sana pianta. La cifra espressiva di Dante è la plurivocità a tutti i livelli, di personaggi e di lingue (o dialetti), di dialoghi e di narrazioni (voci). Il poema adotta principalmente lo stile “comico”, in misura diversa nelle tre cantiche ovviamente, variando i registri a seconda della situazione rappresentata. Il risultato è mirabile e mirabile è pure questo lindo chiaro colto volumetto di linguistica e filologia dantesca, davvero godibile e comprensibile per una platea vasta di lettori non specialisti, ricchissimo di citazioni ed esempi. L’indice finale delle parole dantesche citate comprende ben oltre cinquecento lemmi, rispetto ai circa dodicimila diversi da lui usati. Dall’interessante sondaggio a campione su quindici canti, tre per cantica, emerge per esempio che le parole nuove, ancora “vive” nell’uso attuale sono ben il 44,8%, la stessa percentuale delle parole uscite d’uso, entrambe superiori alla percentuale di parole vive non sovrapponibili nel significato.
Paola Scibilia
«Treviso. Guida illustrata alla marca gioiosa»
Linea edizioni
152 pagine, 20 euro
Treviso. Da millenni. Ecco una preziosa utile nuova guida alla bella città veneta, brevi testi ben organizzati, oltre quattrocento immagini manuali colorate (disegni e cartine): “Treviso”, città d’acqua e di cultura, da visitare ed esplorare attraverso descrizioni storiche e letterarie, itinerari, aneddoti e curiosità. L’autrice dell’intera pubblicazione è un’illustratrice, artista e insegnante d’arte: Paola Scibilia (Treviso, 1970). L’originale struttura contiene ben una settantina di voci, non tutte urbane, un paio di pagine ciascuna: frasi celebri, canali, fontane, mulini, passaggi segreti, personalità, mercati, bambine e bambini, quartieri, Sile, marca gioiosa et amorosa, parchi, alberi sacri, asolo, castelli, abbazie, erbe spontanee, Piave, amici animali, cucina tipica, prosecco, radicchio, così, giusto per dare un’idea. In fondo un ottimo indice dei nomi, la bibliografia e la sitografia, un volume da usare in corso d’opera, imparando e divertendosi.