C’è vita su Marte? E a Verona?

Nelle urne è Marte-dì o forse Zero-dì: le riflessioni di Bianca Menichelli partendo da un racconto fanta-elettorale di Pierfrancesco Prosperi e cercando ambigue (micro)utopie

«La prima domenica elettorale … dopo la Grande Riforma. Dopo il terremoto elettorale del 2009, la situazione politica italiana era andata stabilizzandosi, talché all’inizio degli anni Venti del nuovo millennio il rapporto fra i due grandi blocchi che si fronteggiavano, nati dal disintegrarsi e ricomporsi dei partiti tradizionali – i Progressisti al governo ininterrottamente dal 2013 e i Liberaldemocratici all’opposizione – si era imbalsamato in un 55%-45% che sembrava immutabile…Era così nata l’idea della seconda riforma elettorale, da taluni denominata Grande Riforma e da taluni, polemicamente, Controriforma. Il meccanismo era di una semplicità estrema; dal momento che – aveva argomentato il Governo nel presentare il disegno di legge – una percentuale minima, inferiore al dieci per cento degli elettori, si recava alle urne per cambiare il proprio voto, trasferendolo da un blocco all’altro, mentre tutti gli altri lo riconfermavano, col nuovo sistema elettorale sarebbe stato sufficiente che soltanto coloro che intendevano votare in modo diverso, oltre naturalmente a quelli che votavano per la prima volta, si recassero ai seggi elettorali; per tutti gli altri, si intendeva tacitamente confermato il voto precedente…».

Chi abbia voglia di leggere tutta questa illuminante narrazione può farlo; il brano è tratto da «Una domenica diversa» di Pierfrancesco Prosperi, racconto contenuto nella raccolta «Ambigue utopie – 19 racconti di fantaresistenza», a cura di Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo, 2010, Edizioni Bietti. (*)

Adesso chiedo: non sembra anche a voi un’ideona? Risparmio, innanzitutto; tutela dei giovani al primo voto; rispetto per chi cambia opinione ma anche per chi la mantiene; garantita la sicurezza sotto ogni aspetto, compresa quella dell’immediata governabilità del Paese. E solidità politica, senza se e senza ma, per continuare a lavorare alle riforme strutturali.

Ho letto questo racconto domenica scorsa, dopo aver trovato l’antologia al Libraccio di Milano (sconto 50% e che vuoi di più?).

Piangere, arrabbiarmi, affannarmi, cercare qualche conforto di carattere personale, mangiare una stecca di cioccolato equo-solidale fondente al 90%?

Ancora di più questi stati d’animo si sono accentuati dopo il bi-sabato (“di sinistra”) fra Milano e Roma. Più che un duello a distanza mi è sembrato, e forse è sembrato non solo a me, un estenuante problema di narcisismo che qualche dio giocherellone ha insufflato dionisiacamente nei protagonisti per vedere l’effetto che fa. Scusate l’inglesismo, chi ce l’ha più lungo?

E noi ciurmaglia (crew va meglio?) comunque alle prese con il lavoro (quando c’è, sempre più precarizzato), scuola (ah sì, le vacanze estive), sanità (l’ecografia a fine dicembre, ma pagando dopodomani), casa (macerie? di che, di chi, dove?), ambiente (incendi? vai con il Canadair, ah sì la Forestale è stata accorpata al corpo dei Carabinieri), terrorismo (noi abbiamo scoperchiato il vaso di Pandora? ma non fateci ridere; dobbiamo solo difendere i supremi valori occidentali) e via elencando, con tendenza all’infinito.

Per non farci mancare niente, e siamo maestri in questo, la peste (o il morbillo) del millennio: i migranti. Evvai con le molotov e con i blocchi stradali paesani e cittadini per impedire una prospettiva di vita a qualche decina (!) di persone che fuggono da fame e guerre, mentre i media fanno sapientemente lievitare la sindrome da accerchiamento e invasione.

Inoltre dobbiamo sopportare – ma quanti peccati dobbiamo scontare? – un tot di politici politicanti che hanno come supremo obiettivo la contemplazione estasiata del proprio ombelico.

Tornando al racconto di Pierfrancesco Prosperi, sarebbe un’ambigua utopia considerare “la democrazia come una cosa seria”?

Non meno importante: db aveva chiesto ad amici/amiche e compagne/i di Verona una riflessione sul risultato elettorale di questa città – e magari su un sindaco con l’ossessione del cosiddetto gender – nella quale vivo con sofferenza da parecchi anni. Dal generale al particolare: Verona è sempre stata una città sostanzialmente nera, condita da una consistente e ipocrita dose di consociativismo partitico; queste elezioni ne sono state la prova provata in maniera talmente plateale che … qualcuna/o non ce l’ha proprio fatta a votare come espressamente suggerito anche dai canali televisivi nazionali; così alla massiccia defezione alle urne – oltre il 50%, in sintonia con il dato nazionale – si deve aggiungere al computo delle schede scrutinate circa il 5% di schede bianche e annullate.

C’è vita su Marte?

Vedremo. Intanto tracce di vita potrebbero saltar fuori in Italia (pianeta Terra) solo se la protesta riuscirà democraticamente a organizzarsi, in quali tempi e modi non so: nell’immediato non scorgo alcunché all’orizzonte (Falcone e Montanari, neutralizzate gli spettri che vi assediano!) ma è scontato che non saranno offerte molte altre chances.

A proposito, cosa prevede Nostradamus?

«Se dio avesse voluto che facessimo domande, ci avrebbe fatto nascere uomini»: così

Monica Ali «Sette mari, tredici fiumi – Brick Lane», 2003, Marco Tropea Editore, traduzione di Lidia Perria

(*) cfr la mia recensione qui: Senza (ambigue) utopie non ci salveremo [db]

Redazione
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2 commenti

  • Chelidonio Giorgio

    La sintesi (del dramma socio-involutivo ) mi pare impeccabile, se poi lo spunto viene da una narrazione fanta-ambigua…. quasi, quasi mi vien da ricordare una mia antica battuta: in tempo di iper-flessibilità conclamata (come panacea) anzi pretesa (come condizione per porre i lavoratori sotto continuo ricatto) qualcuno aveva fatto richiesta “in alto loco” (alto non si sa e non si dice quanto) per avere il “dono dell’ubiquità”. Risposta dal bureau altissimo: per questa domanda ci sono file siderali, ma se nell’attesa sfibrante vi voleste accontentare è disponibile l’ambiguità …. quella si concede a piene mani !
    Solo una piccola divergenza: Verona città nera? Preciserei “nero fumo” perché non é solo un buio partitico, politico ma un buio opaco, denso dove si perde il senso della profondità spazio-temporale, dove i leader di turno (“al noster lìder l’é un làder “, recitava uno slogan milanese) altro non sono che la controfigura del precedente e via regredendo fino alla veronesità repubblichina. Brulicante di yes-man e portaborse (di lungo corso, apprendisti e aspiranti tali)….Forse Romeo si era sbagliato “there is no world inside Verona walls” o forse Shakeaspeare l’aveva “vista” …..solo per interposti viaggiatori

  • ” un estenuante problema di narcisismo”
    Quando 5 parole sono più profonde di qualsiasi analisi politica
    Una correzione: da 35 anni non sento tanto dire “io ce l’ho più lungo” ma “io ce l’ho più a sinistra del tuo”.
    Dum sinistra umbilicum mirat, Rem publicam expugnatur

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