Cento e passa pittori naif – 06
di Mauro Antonio Miglieruolo
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Prosegue la serie dei post naif con una ulteriore carrellata di pittori. Otto quadri per otto buoni interpreti di un’arte detta ingenua, ma che sa dimostrarsi molto sofisticata.
Particolarmente gradita e apprezza la prova di Carla Demegni Bececco, che oso assimilare alla raffinatissima arte astratta del primo Novecento.
Nonché l’illustrazione dantesca di Carminantonio Di Federico, che unisce la semplicità nell’esecuzione con la penuria di elementi chiamati a comporla. Notare la noncuranza usata dall’autore, noncuranza che sconfina nell’indifferenza, nell’accordare ambientazione e elementi chiamati a produrla. Quel che conta è il ricordo, il sentimento, molto più del progetto.
Un po’ patetico risulta il seguente “Ritorno a casa” di Felice Costa. Fatica, suggestione poetica e fantasia compongono bene un’istantanea che sembra rubato a un uomo che sogna. Non per rubargli il sonno, ma per fornire a tutti una meta: la nostalgia.
Fernando De Angelis. Il più classico dei temi naif. La neve, il ritorno, la serenità che incombe. Eppure sembra la prima volta. L’insincerità degli alberi è ciò che, forse, lo rende nuovo. La nitidezza dei particolari e il rosso del tramonto. O forse non si tratta di un già visto perché è un vissuto che ognuno vorrebbe vivere e molte volte poi ripeterlo nella mente, ricreandolo ogni volta, senza stancarsi mai.
Non amo i colori utilizzati da Fernando Falzone. Amo però l’effetto complessivo del quadro. Fiori, alberi stenti, alberi rigogliosi e foglie. Sullo sfondo la tranquillità di alcune case. Nonostante il titolo, i cacciatori sono un di più, messi a margine, vero e proprio scarto dell’ispirazione. Meritata punizione!
Gino Covili ritengo sia uno dei più noti, probabilmente tra i validi interpreti del naif. A me personalmente non piace. Non è per questo che lo offro al vostro (spero incuriosito) sguardo. Perché prima di porgerlo l’ho dovuto guardare e riguardare anche io. Lo offro per suffragare la mia tesi sull’inconsistenza della definizione “ingenua” assegnata d’ufficio all’arte naif. Cosa c’è di ingenuo nell’immagine che segue? Di esagerato forse (esistono uomini tanto fervidamente pelosi? Ne dubito…), ma di ingenuo, o semplice, nulla. Oppure, per non essere troppo drastico, ben poco.
Questa sì che è semplicità! aggravata dall’ingenuità. Giovanni Di Girolamo sfida i nostri occhi con una esplosione di colori e di forme maldestre che sembrano offerte con noncuranza (o dovrei dire disprezzo?) della sensibilità di chi sarà condannato a usufruirne. Una presa in giro. Questo sul momento, quando ancor il critico è preso dal mestiere suo di critico. Poi il bambino che sonnecchia in ognuno si sveglia e reclama a gran voce i suoi diritti. Ancora! Lo si sente esclamare. E l’occhio torna ancora sul quadro, se ne va e nuovamente torna!
Di Leda Codecasa non dirò nulla, perché il poco da dire, un poco che vale parecchio, è stato appena detto. “Il giardino incantato”, ha titolato. Avrebbe dovuto aggiungere, “per incantare chi guarda”.