C’era una volta… in Nicaragua

La giustizia economico-sociale era alla base della Rivoluzione sandinista, oggi quel profondo percorso di trasformazione socio-economica è venuto meno.

di Bái Qiú’ēn

La libertà non è uno spazio libero / Libertà è partecipazione. (Giorgio Gaber)

«Per il Frente Sandinista la democrazia non si misura unicamente nel terreno politico e non si riduce solamente alla partecipazione del popolo alle elezioni […]. Democrazia […] significa partecipazione del popolo nelle questioni politiche, economiche, sociali e culturali. Più il popolo partecipa, più ci sarà democrazia». Se qualcuno tra i lettori avesse voglia di recarsi all’Emeroteca nazionale (nel vecchio Palacio Nacional) o in quella del Banco de Nicaragua, potrebbe leggere queste parole nell’articolo «Comunicado oficial de la Dirección Nacional del FSLN sobre el proceso electoral», pubblicato nell’organo ufficiale del FSLN Barricada il 24 agosto 1980. Difficilmente, quando scrissero quel documento, i sandinisti conoscevano il testo della canzone di Gaber La libertà, nonostante risalga all’inizio degli anni Settanta. Eppure l’assonanza è evidente.

Lo Statuto fondamentale della Repubblica, emanato il 20 luglio 1979 in sostituzione della Costituzione somozista, all’art. 7 affermava: «Verrà stabilita l’uguaglianza incondizionata di tutti i nicaraguensi» e all’8: «È riconosciuta la libertà di coscienza e di culto, fondata sul più ampio spirito di tolleranza e sulla illimitata libertà di pensiero parlato e scritto, di organizzazione politica e sindacale, con le uniche limitazioni che derivano dallo statuto sui diritti e le garanzie dei nicaraguensi».

Già in precedenza, nel documento firmato dalla Direzione Nazionale Congiunta Bases programáticas del FSLN para la democracia y la reconstrucción de Nicaragua del 1° gennaio 1979, si parlava dell’instaurazione del «pieno ed effettivo esercizio di un sistema di ampie libertà democratiche».

Per un decennio, quello degli anni Ottanta del secolo scorso, l’esperienza sandinista nicaraguense fu percepita a livello internazionale come un nuovo modello per quanto riguarda i rapporti tra il potere politico (il Governo e lo Stato) e la partecipazione democratica delle masse popolari. Si interpretava questo “processo” di istituzionalizzazione in termini di alternativa superiore alla democrazia borghese occidentale ma anche al rigido e ormai decadente “socialismo” dell’Est europeo.

Ci si potrebbe fermare qui, senza accennare minimamente al Nicaragua odierno, distante anni luce da quelle parole pensate e scritte all’inizio di un profondo percorso di trasformazione socio-economica, ma anche politica e culturale, a poco più di un anno dal trionfo rivoluzionario caratterizzato da un elevato livello di partecipazione popolare. Soprattutto gli ultimi due anni di lotta (1977-1978), fino all’insurrezione, la partecipazione fu veramente di massa e coinvolse in pratica tutti gli strati sociali del Paese, nessuno escluso e compresa la borghesia oppositrice al somozismo. Non a caso il FSLN ricevette in questo biennio il sostegno della solidarietà internazionale e il riconoscimento da parte di alcuni governi progressisti.

La nuova egemonia sociale propugnata dal luglio 1979 era quella dei settori popolari, attualizzando il cammino verso la democrazia integrale già indicato da Sandino mezzo secolo prima: non solo democrazia politica e sociale, ma specialmente economica (cfr Ramón de Belausteguigoitia, Con Sandino en Nicaragua [1933], Editorial Nueva Nicaragua, 1985). La libertà politica, del resto, ha il proprio fondamento in quella economica.

Se, alcuni decenni dopo, Carlos Fonseca parlava di una democrazia del popolo e con il popolo, ovvero di una democrazia di tutti e per tutti, non soltanto per i privilegiati, la “democrazia sandinista” era concepita negli anni Ottanta del secolo scorso ben al di là della pura formalità elettorale. Il comunicato del 1980 proseguiva infatti affermando che «in una fase più avanzata, democrazia significa partecipazione dei lavoratori nella direzione delle imprese, proprietà agricole, cooperative e centri culturali. In sintesi, democrazia è l’intervento attivo delle masse in tutti gli aspetti della vita sociale». Questo era il progetto originario del FSLN e, nel discorso all’Assemblea dell’Onu il 27 settembre 1983, Daniel affermò che «Il Nicaragua sta costruendo la propria democrazia e questo diritto sovrano del Nicaragua di decidere sul proprio sistema interno, sul tipo di democrazia, è un diritto del popolo nicaraguense» (Daniel Ortega Saavedra, Combatiendo por la paz, Editora Política, La Habana 1988, p. 110). Colui che pronunciò queste parole era però un altro Daniel.

Nello stesso 1983, la rivista Pensamiento Proprio di luglio-agosto pubblicò l’articolo «Pluralismo político», nel quale si prospettava la libertà dei partiti, quella d’espressione, di manifestazione, di riunione e un sistema elettorale pluri-partitico (nn. 6-7).

La base portante della Rivoluzione popolare sandinista era incarnata nello stretto legame tra la rivoluzione sociale antimperialista e la giustizia economico-sociale, tanto che nel decennio degli anni Ottanta il Nicaragua si trasformò a livello internazionale nel simbolo di dignità e giustizia. Oltreché della ricerca di un percorso verso una nuova forma di democrazia, non solo rappresentativa, ma partecipativa e partecipata, con l’attuazione dei tre punti cardine del nuovo sistema: non allineamento, economia mista e pluralismo politico.

Il 15 dicembre 1988 Tomás Borge dichiarò allo spagnolo El País: «Le elezioni si faranno qualunque cosa accada… […] Puntiamo a uno svolgimento totalmente democratico e se dovesse vincere qualche gruppo di opposizione il governo sandinista non avrà altra alternativa che riconoscere questa vittoria». Esattamente ciò che accadde nel febbraio 1990, mantenendo fede all’impegno democratico assunto nei confronti dell’elettorato nazionale e del mondo intero. Sebbene il FSLN fosse ancora un’organizzazione militare e verticista forgiata nella lotta guerrigliera, nessun dubbio vi fu sulla scelta democratica di accettare il responso delle urne e cedere il potere alla coalizione vincitrice.

Uno dei cavalli di battaglia dell’orteguismo attuale è l’indipendenza e la sovranità del Nicaragua, che ha le proprie radici nel pensiero di Sandino e negli anni Ottanta del secolo scorso. Esiste però un “però” più grande del grattacielo terremotato dell’ex Banco de América di Managua sull’Avenida Bolívar, oggi facente parte del complesso dell’Asamblea Nacional.

Solo per fare un esempio, nel suo pensiero Sandino affermò con chiarezza la propria opposizione netta e intransigente nei confronti dell’indebitamento con banchieri stranieri. Indicava infatti come alternativa l’indebitamento dello Stato con capitalisti nazionali poiché se qualcuno doveva rubare, quanto meno che il ladro fosse nicaraguense.

Scordando del tutto questa indicazione sarcastica del Generale degli Uomini Liberi, dal 2007 a oggi l’orteguismo ha accresciuto in modo abnorme il debito estero, legando strettamente il progresso del Paese a capitalisti sparsi un po’ in tutto il mondo, per poter realizzare le varie opere pubbliche (dalle strade agli ospedali e via dicendo). Eppure José M. Zelaya, nel suo saggio El Estado sandinista, affermò senza mezzi termini che «Al tempo stesso, il sandinismo si oppone all’indebitamento nazionale con banchieri stranieri» (Editorial Unión, Managua 1985, pag. 8). Non a caso, nel 1977 il debito estero contratto dal somozismo aveva raggiunto il 77% del Prodotto Interno Lordo (PIL).

Non sono ancora stati resi pubblici i dati ufficiali relativi al 2023 ma quelli del 2022 forniscono la cifra record di oltre 14 miliardi di dollari (Banco Central de Nicaragua e Ministero delle Finanze) e nel terzo trimestre del 2033 aveva già superato i 15 miliardi di dollari: oltre 2.000 dollari pro capite. Il servizio che già si pagava nel 2020 (ossia gli interessi sui crediti) raggiungeva il miliardo di dollari e nel primo trimestre del 2023 aveva superato i 556 milioni di dollari, somma che incide pesantemente sul bilancio statale, spesso costringendo a ridurre in modo drastico gli investimenti sia sociali sia produttivi. Non occorre essere degli economisti per comprendere che con la costante crescita del debito estero, aumenta in modo esponenziale anche la cifra da restituire annualmente, costringendo a ulteriori “tagli” nel bilancio e alla richiesta di ulteriori prestiti per saldare quelli precedenti e i relativi interessi. Un serpente che si morde la coda…

Alla fine del 2006 il debito estero era di un miliardo e 580 milioni di dollari. Mediamente, dal momento in cui Daniel ha assunto la carica di presidente della Repubblica (gennaio 2007), ogni anno il debito estero è aumentato di quasi 800 milioni di dollari, rendendo il Nicaragua il Paese più indebitato dell’area centroamericana, con il rapporto più alto tra debito estero e Prodotto Interno Lordo (che supera il 110%). Fattore che incide sul livello quotidiano di vita di ogni singolo nicaraguense, come rilevò a suo tempo Eduardo Galeano: «más pagamos, más debemos y menos tenemos» (Las venas abiertas de América Latina).

Per completezza dell’informazione occorre aggiungere che il Nicaragua beneficia ancora di alcune donazioni a fondo perduto, ma nel 2022 furono poco meno di 63 milioni di dollari (23,8 dall’Unione Europea, 8,9 dalla FAO, 5,6 dalla Banca Mondiale e il resto da altri organismi e istituzioni): una piccola goccia nell’oceano del debito estero. Numerose ONG soppresse dal 2018 a oggi contribuivano ad alleviare la situazione sociale di numerose famiglie, con la loro attività in numerosi settori della società civile (dalla salute all’istruzione, fino alla sopravvivenza alimentare).

Le riserve di valuta a disposizione del Governo del Nicaragua per far fronte alle emergenze sono attualmente appena superiori ai 5 miliardi e mezzo di dollari (appena un terzo del debito estero). Oltre a ciò, non esiste più quella solidarietà internazionale che, nel suo piccolo, contribuì anche economicamente alla sopravvivenza del Nicaragua rivoluzionario negli anni Ottanta.

Per quanto il servizio sul debito e la restituzione dei capitali non rappresenti nell’immediato un problema vitale per il Paese (stando agli economisti, per il momento non rischia il default), in quanto per la maggior parte si tratta di prestiti a lungo periodo e a condizioni favorevoli (in media 22 anni con un tasso d’interesse del 2,4%), neppure una volta dal 2007 a oggi il Governo ha contrattato una ristrutturazione del debito estero (fatta eccezione per quello con la Russia), che diviene sempre più impagabile e contribuisce a mantenere il Nicaragua come secondo Paese più povero del continente americano. Qualche lettore ricorderà il gioco di parole che andava di moda nella sinistra internazionale alcuni anni fa: deuda externa-deuda eterna.

Se nel 1977 il rapporto debito estero-PIL era del 77%, nel terzo trimestre del 2023, secondo i dati forniti al Banco Central è del 97,3%. Il ritmo di indebitamento mantenuto dal 2007 a oggi è pertanto del tutto insostenibile per il futuro e, sebbene alcuni economisti affermino che un aumento ragionevole del debito estero contribuisca allo sviluppo economico, una domanda sorge spontanea: a quanto corrisponde in soldoni l’aumento ragionevole? Ogni anno che passa, mantenendo il ritmo di 800 milioni all’anno di media, significa che il debito pro-capite aumenta di circa 125 dollari. Una vera spada di Damocle sulla testa di ciascun nicaraguense e «la María se lamenta que su vida nunca va a salir de la miseria» (Pobre la María, Luis Enrique Mejía Godoy).

A partire dal 1970 si ebbe un aumento costante del debito estero: dagli iniziali 174,8 milioni agli oltre 1.000 del 1978. Un ritmo leggermente inferiore a quello degli ultimi sedici anni di governo orteguista. Nel solo 1977, con Anastasio Somoza Debayle, le entrate governative furono di 1.747 milioni di córdobas mentre le uscite raggiunsero i 3.078 milioni: la differenza fu finanziata con prestiti concessi da banche estere.

Poiché è innegabile che il debito estero impedisca da sempre l’emancipazione dei popoli del Sud del mondo, il suo costante incremento rende meno indipendente e sovrano il Nicaragua, ben al di là dei bei discorsi retorici e della propaganda quotidiana: «Soberanía en mi Tierra se escribe con letras grandes y no con tinta sino con sangre» (Rosario Murillo, 25 maggio 2023). Al contempo, questa realtà economico-finanziaria non consente ai nicaraguensi un miglioramento nelle loro condizioni di vita quotidiana. Le famiglie che riescono a tirare avanti alla meno peggio sono quelle che ricevono un aiuto economico dalle rimesse di un familiare emigrato. Secondo i dati ufficiali del Banco Nacional, nei primi undici mesi del 2023 gli esuli e i migranti nicaraguensi hanno fatto arrivare in Nicaragua la bellezza di oltre 4 miliardi e 200 milioni di dollari (quasi il 50% in più rispetto al 2022). Poiché i nuclei familiari sono circa un milione e mezzo, facendo la media del pollo, si tratta di 2.800 dollari annui a famiglia, l’equivalente del salario minimo medio contrattato il 1° marzo 2024 tra il Governo e le parti sociali (imprenditori e sindacati). Secondo stime prudenti si calcola che almeno 8 milioni e mezzo di famiglie (oltre la metà) riesca a sopravvivere soltanto grazie alle rimesse. Nel frattempo, pure l’economia ne trae un beneficio grazie alla possibilità di acquisto di beni e servizi da parte delle famiglie che ricevono le rimesse.

Se le entrate previste (con la fiscalità generale e con l’emissione di “BOT” che arricchiscono senza fatica chi può acquistarli) rappresentano l’87,1%, il restante 12,9% delle uscite nella finanziaria 2024 (approvata dall’Asamblea Nacional il 7 dicembre 2023 con 90 voti su 90) si ipotizza che sarà coperto dalla cooperazione internazionale e dalla richiesta di ulteriori prestiti (nuovo debito per pagare il vecchio debito), ma soprattutto «conterà sulla benedizione di Dio e sul sostegno del popolo nicaraguense». Poiché con la fiscalità non si riescono a coprire tutte le uscite previste, Dio penserà a benedire i prestiti che saranno richiesti per pareggiare i conti. Poiché si prevede che le uscite raggiungeranno i 138.634 milioni di córdobas (circa 3.851 milioni di dollari, considerando il cambio 1:36), il ministro delle Finanze Iván Adolfo Montalván prevede la richiesta di 781 milioni di dollari al Banco Interamericano de Desarrollo BID), di 59 milioni di dollari alla Banca Mondiale e altre cifre da OPEP (Paesi esportatori di petrolio), Fondo della Cooperazione e Sviluppo Economico, Banca di Esportazione della Corea, Agenzia di Cooperazione Internazionale del Giappone, Fondo Internazionale di Sviluppo Agricolo, KFW (tedesca) e dalla Banca Indiana per l’Importazione e le Esportazioni. È consentito nutrire alcuni dubbi sul fatto che queste istituzioni e questi istituti bancari equivalgano a Dio? leggendo la Bibbia, non risulta che abbia mai svolto il mestiere di prestatore.

«È il circolo vizioso dello strangolamento: i prestiti aumentano e gli investimenti si succedono l’un l’altro mentre, di conseguenza, aumentano i costi di ammortamento, dividendi e altri servizi. Per pagarli si ricorre a nuove iniezioni di capitale straniero, che determinano sempre maggiori impegni, e così via. Il servizio del debito estero divora in misura sempre crescente le entrate derivanti dalle esportazioni […]» (Eduardo Galeano, trad. it. Le vene aperte dell’America latina).

Nel frattempo i prezzi dei generi alimentari di maggior consumo (maiz, riso e fagioli) hanno raggiunto livelli stratosferici per le entrate di una famiglia nicaraguense, che nel corso del 2023 ha subito un’inflazione del 5,6%. Alla fine dello stesso 2023 la canasta básica (che include 53 prodotti considerati il minimo indispensabile per la sopravvivenza) ha proseguito la propria costante corsa al rialzo e raggiunto quasi i 20.000 córdobas mensili (circa 550 dollari).

Di contro, il più elevato salario minimo mensile (per i lavoratori delle costruzioni, quelli del sistema finanziario e dell’assicurativo), fissato a partire dal 1° marzo 2024, corrisponde a 12.803,47 córdobas (circa 355 dollari), 7.197 meno della canasta básica. È innegabile la costante perdita del potere d’acquisto dei salari, nonostante i lievi incrementi annuali. (Per la cronaca, lo stesso accadeva nell’ultimo decennio antecedente il trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista).

Se con l’eliminazione dell’adeguamento del cambio tra dollaro e córdobas deciso nell’agosto del 2023 (in vigore dal 1° gennaio 2024) lo Stato ha un relativo guadagno, tutti coloro che ricevono rimesse dall’estero (nei primi sei mesi del 2023 furono di 2.215 milioni di dollari) subiscono una diminuzione del loro potere d’acquisto.

Se, poi, si considera che soltanto per 791.913 lavoratori su una forza lavorativa stimata in circa tre milioni di persone, si effettuano i versamenti pensionistici e assistenziali all’INSS (compresi quelli volontari), il panorama non è dei più allegri: tutto ciò è l’esempio innegabile di una democrazia economica al contrario di ciò che voleva Sandino e che auspicava Carlos Fonseca, che caratterizza la seconda fase della Rivoluzione e il sandinismo 2.0., che comunque dichiara una crescita economica prevista per il 2023 del 4,6% (dato ufficiale del Banco Nacional): «la María [y Nicaragua entera] se lamenta[n] que su vida nunca va a salir de la miseria». Ay ay ay.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *